giovedì 28 aprile 2011

XXVIII Attraverso i colli Novesi - di Elisabetta Iurilli

XXVIII Attraverso i colli Novesi
di Elisabetta Iurilli

Lunedì di Pasqua e 25 aprile, due feste concentrate in una giornata.
Non si lavora, almeno i più non lo fanno, e ogni scusa è buona per concedersi una sgambata.
Alcuni è da venerdì che non mollano un calendario ricco di eventi podistici. Adesso che la stagione si fa più mite abbondano le gare più o meno lunghe o impegnative alle quali non riusciamo a sottrarci. C’è quella di cui si ricorda il percorso incantevole, quella in cui si è fatto il risultato, quella col pasta party degno di un ritorno con amici, quella di cui si è solo
sentito parlare, ma che non ci ha visto mai protagonisti … per me quella di oggi è una gara che affronto appunto per la prima volta. Parto avvantaggiata dal giudizio di chi mi conosce: “Betta qui non puoi fare altro che divertirti, è il tipo di percorso che piace a te …”
Tutto è perfetto nel pre-gara. Il gruppo di atleti novesi che ci accolgono con sorrisi e con quella precisione e cortesia tipiche dei piemontesi è ben affiatato e ti fa sentire al contempo in famiglia e partecipe di un grande evento. Tra loro alcuni visi che noto nelle competizioni podistiche cui partecipo di solito. Mi viene da pensare: “Oggi loro non corrono, ma grazie a loro corriamo noi …”
Ho un freddo cane quando decido di rimanere in canotta poco prima dello start. Guardo i raggi luminosi uscire poco convinti dal fitto della foschia mentre la mia pelle si accappona. Però siamo quasi tutti smanicati, sappiamo che fra poco la temperatura dei nostri corpi sotto sforzo salirà, e che il sole, se si decide a mostrare il suo aspetto più fiero, ci darà solo un gran fastidio.
Claudio mi saluta presto. Lui parte sempre qualche fila prima di me, correndo più forte. Io, conscia dei miei limiti, scelgo le retrovie. Sapendo anche che essere sorpassata troppe volte può incidere sul morale, mentre trovarsi ad essere artefice di superamenti aumenta la propria autostima.
Con me Gian Piero. Da tanto non si corre insieme, mentre lo scorso anno abbiamo sognato insieme per ben due volte sui 42 km. Ora lui è reduce da Roma e vive ancora nello stato di grazia che ti lascia una maratona come quella. So che mi abbandonerà presto al mio andare, ma so anche che aspetterà che sia io a dirgli di andare veloce, di non aspettarmi, di mettere le ali ai piedi …
Lo start e la gara inizia. Il gruppo si allunga in discesa. Avevo avuto ragguagli sui numerosi dislivelli di percorso, ma penso che un inizio in discesa sia comunque ben augurante. Poco dopo, infatti, arriva la salita, il primo strappo, in odore però di verde, di uscita dalla città.
Corriamo per lo più sull’asfalto di strade secondarie, quello con la carreggiata che spesso due macchine in direzione di marcia opposta fanno fatica a passarci, quello rotto in più punti perché intanto non c’è convenienza a ripararlo, qui ci passano in pochi, non è strada principale … è l’asfalto che conosciamo molto bene noi podisti, che sulle strade più belle ma trafficate abbiamo paura a passare perché gli automobilisti vanno troppo veloci e ci fanno “il pelo”. Ai lati tanto verde. Quello di queste colline dolci, che si estendono con le loro curve a perdita d’occhio, mostrando qua e là viti e colture varie.
Corriamo nella campagna tempestata da fiori variopinti e petali di alberi di ciliegi ai nostri piedi. Le nostre gambe faticano a cambiare spesso i ritmi a cui le sottoponiamo nell’alternarsi di salite e discese di questo percorso. L’asfalto cede allo sterrato, strade bianche di terra con buche enormi scavate dalla pioggia o chissà che altro. Si corre sui bordi, ma spesso si ha la sensazione di correre sempre su quello sbagliato, quello maggiormente accidentato. La fatica si sente dentro di noi e nel rumore del fiato altrui. Si sta spesso zitti per “risparmio energetico”. Ma quando la pendenza cambia in positivo o in negativo una battuta o un’imprecazione aleggia nell’aria e strappa un sorriso. I fotografi da dietro il loro obiettivo fanno il tifo, così come quasi tutte le persone che vediamo lungo il percorso.
Ad un certo punto passiamo in mezzo ai campi da golf. Penso che due sport più differenti non possano esistere … i signori con le mazze discorrono tranquillamente tra un tiro e l’altro o recuperando le palline, imperturbabili al momento del lancio, sono raffinati ed eleganti. Noi abbiamo dentro il fuoco, il sentimento dell’urgenza, fuori il sudore ed i suoi effetti collaterali, i nostri vestiti sono spesso souvenir di pacchi gara … Ma oggi i due mondi si sfiorano per un attimo. Le signore eleganti guardano i giovani in canotta, i signori con la mazza, tra una buca e l’altra, si fermano ad ammirare da dietro una rete il gesto atletico e la fatica del podista, ci si saluta, si scambiano veloci battute, occhiate fugaci.
L’ultima salita sullo sterrato è certamente la più dura. Quella che toglie il poco fiato rimasto e manda a farsi benedire le gambe. Mentre la percorro la guardo con rabbia. Ma in realtà è amore profondo per questo genere di sport che non regala niente, che ti devi sudare fino in fondo, che ti mette costantemente alla prova con te stesso e con i tuoi limiti.
Sono quasi arrivata. La Santa mi viene incontro, mi dice che deve recuperare un altro podista, ma che all’arrivo mi aspettano … guardo l’arco gonfiabile ormai vicinissimo pensando alle sue parole, qualcuno mi aspetta all’arrivo … sono belle parole, anzi bellissime. Se qualcuno ci aspetta, ovvero perde il suo tempo per noi, vuol dire che, infondo, ci vuole bene.

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