venerdì 8 aprile 2011

Seregno - La cento della Brianza di Gilberto Costa

La cento chilometri è annegare nei conati di vomito della propria tempesta. Un dare di stomaco senza farlo. Una corsa senza gambe, un viaggio senza meta. E’  mentire alla menzogna.
La cento chilometri è la meravigliosa visione notturna del soffitto bruno tempestato di stelle.
… è un’orgia, groviglio di corpi senza sesso. Un orgasmo senza erompere, un andare senza godere.

SEREGNO: LA CENTO DELLA BRIANZA

< La primavera domenica era in compagnia dell’estate... si sono sfiorati i 30°. Ad ogni sosta mi bolliva il “muro”.
 Calura che saliva dal motore attraversava le guance sino alla testa seccando le tempie. Durissimo fermarsi ai ristori, altrettanto ripartire. Impossibile rinunciare, imperdibile prova di coraggio  >

Il primo inchiostro che desidero mescere  sul foglio ancora vergine  è per Simone. In una giornata per
lui sportivamente drammatica, vuoi per le condizioni meteo nelle quali si è svolta la gara … nonostante ciò è li sul traguardo ad applaudire il nostro arrivo. Regalarci un tenero sorriso quantunque  la sua prima cento sia naufragata al 68 esimo chilometro. Condividere la nostra gioia, non sentendosi estraneo ad essa. 
E’ da questi particolari  che si evince la sua grandezza.
<Simone è di poche parole, un ligure schivo e misurato (ora in auto ) è seduto al mio fianco, fuori è buio. Si abbandona ad un sonno sereno, il capo appoggiato al finestrino.  Nell’abitacolo cala il  silenzio, Simone sappiamo sta sognando il Kima. Glielo si legge nelle rocce del suo volto>

Marco è stato  fantastico,  il suo esordio nella cento chilometri lo ha visto protagonista assoluto. Finire, uscire vittorioso nel mitologico scontro versus i demoni che s’attardano nell’intimo della sua anima. Nel mio vagare lo ho immaginato guerriero a piedi, combattere spavaldo i “titani del suo io” .
Affrontarli nudo di armature  nel parco di Monza, scalzo di certezze. Lui con la sola forza della sua corsa, del non volergliela dare vinta; loro pezzi di fango, sadici carnefici a cavallo di  bestie roboanti.
Luridi mostri, scatenare fetenti l’attacco dall’adiacente agone motoristico lombardo.
Lo  scruto dallo spioncino del sedile posteriore dell’auto condotta da Alessandro, fiero di conoscerlo.
E’ sfinito, il viso asciugato dalla fatica, tuttavia  brilla di luce bianca.  Gli occhi si fanno  lucidi quando, nel  raccontare un aneddoto del recente passato una lacrima gli crolla sul viso.  Racconta di esser stato sorpreso dal figlioletto  con in braccio l’urna contenente le ceneri di sua mamma (nonna). Alla domanda su  cosa fosse quell’involucro ...
“Andai in cucina, mi bevvi una Ceres alla “goccia”, tornai da lui spiegandogli la verità. Gli dico sempre la verità”.                                                                                                                                                                                                      Marco è questo semplicemente vero.

Alessandro conduce l’autovettura nel casino della Milano che rientra a casa dall’Italia (li trovi ovunque) con padronanza e destrezza. Sembra  non abbia corso per 50 km.
(Un mese fa alla maratona di  Piacenza destava  la stessa sensazione).
Sorridente, il suo tono di voce è imperturbabile sembra parli ad una conferenza, impossibile non ascoltarlo. Il suo aneddoto  Comenciniano riguarda una escursione estiva  in montagna con il piccolo Francesco:
“Fummo colti da un temporale improvviso; ci grandinò addosso il Colle dell’Agnello. Ricordo che feci da ombrello  a mio figlio”.
In gara l ’ho incrociato al momento del secondo passaggio dal parco di Monza. Le sembianze del turista tedesco, oppure giapponese.  Di quelli appena scesi  da un torpedone, la  macchina fotografica al collo, desideroso di fotografare il passaggio del vecchio mono vagone, ferro arrugginito del trenino che da Genova risale il suo scheletro  verde, impalcatura  che la sorregge a pelo del mare; affettando arterie e  muscoli fino a Casella.
Per Ale ogni gara è un esordio.

La cento chilometri non è correre  è sopravvivere. Non è sorpasso, variazione dell’andatura, ma pazienza.
 I sorpassi, certamente che …  in realtà avvengono, di continuo. Non sono tuttavia comandati dalla ragione. Sono frutto del momento; dello stato passatemi il termine catatonico nel quale  si muore e si risorge in continuazione.  Distanze abissali inghiottite in un baleno nell’asfalto.
 Non è gesto atletico, falcata ampia, bellezza, non è fisico perfetto. E’ cattiveria, resistenza.
Non si corre esclusivamente con le gambe, ma con l’ostinazione. Ci vuole rabbia, ed un pizzico di pazzia.
  La cento chilometri è un lento tormento, fino allo stravolgimento, addirittura all’astenia.
La cento chilometri è una corsa buia  come una stanza che pur senza le finestre lascia entrare il cielo. Si muore mille volte senza morire mai. E’ cadere restando in piedi; rialzarsi senza in realtà riuscirci. Precipitare schiacciati al suolo senza sfracellarsi. 
Cento chilometri ti isolano dagli altri, ti trasformano in spirito, scavano il volto, ti rendono lo spettro di 
Si viene trasformati nella consistenza delle zolle di terra, zappati dall’aratro della distanza. Rubati al catrame per i capelli, baffi, barba, e sopracciglia;  scrollati e sbriciolati disseminati  nell’aria.
 Fiori di ciliegio nevicare nell’alito del vento. Una corsa di puro piacere, estremo dolore. Sofferenza, arroganza e disperazione. Esploratori dell’anima, alla ricerca delle proprie Colonne d’Ercole, il limite estremo della propria coscienza. Massimo tentativo di avvicinarlo, volesse il cielo varcarlo.


“L’ultra distanza è una corsa all’inferno e ritorno”!
< La 100 km è la cima di un monte, o il posto al finestrino di una aereo, da cui vedi tutto rimpicciolito e possibile > -la Vale-
Ognuno è artigiano dei suoi manufatti, rispondendo così a tale logica … Posso affermare con gioia e compiacimento di aver corso  da coglione. In realtà ho corso quattro  gare in una. Ho fatto la maratona in circa 3h 40’, la 50 km in 4h 30’ insieme ad un simpatico podista  profeta in patria   Abbiamo parlato tanto che non  abbiamo nemmeno potuto scambiarci i nomi.  Mi ha colpito dicendomi: “Certo che una cinquanta chilometri di fronte alla cento è da sfigati”. Per non sapere ne leggere ne scrivere gli ho risposto: “E’ un po’ come ci si sente a correre una mezza dentro ad una maratona”.

Sono riuscito anche nell’impresa di smarrirmi. Avere la tenacia di tornare indietro, reagire. Non ho dato ascolto a  quella voce che supplicava il ritiro. L’ho mandata a fan...
Mi sono ritrovato nel finale della mezza, al fianco di una cordiale  signora di Bergamo. Solcava il mare  dell’ora e trenta; mi sono messo ai remi della sua galea, vogato per la sua causa senza risparmio. Quindi  una volta pagato pegno ho iniziato a correre la cento. Mi sono ritrovato in acque sconosciute. Non avevo mai corso tre gare insieme. Ora una quarta. Non avevo più nulla da dare, nulla da chiedere, nulla di niente. Completamente assente. Solo, pugile suonato barcollare sul precipizio del silenzio. Desueto  in balia del destino. Superato, vecchio, da buttare. Terminato!

Ecco come per un lieto fine Davide, mi tende la sua mano: “Ti va di andare insieme … ?”  
Mi accoglie nel suo scafo, mi presta un po’ del suo coraggio, della sua forza. Scaccia gli avvoltoi che aleggiano sopra la mia testa pregustando i brandelli di quel che resta della mia sostanza, consistenza, sono pelle, qualche muscolo  ed ossa.  Ho un sussulto, riprendo a funzionare balbettando come una vecchia pipa che tossisce  fuori il fumo. Ecco riaffiorano i miei demoni.  Accelero, per sfuggirgli, scappo ho paura.  Ingrato lascio Davide. Per fortuna sono uno zombie …  mi trascino poco lontano.  Vengo ripescato poco distante cianotico, quasi agonizzante. Mi  invita nuovamente a salire sulla sua zattera;  cerco di spiegare, di giustificarmi. Mi sorride, “non importa”. Ci raccontiamo fette di vita, come si fa con una fila di salame, una spessa l’altra sottile come vengono passando dalla strada alla vita. Dalle corse fatte e a quelle da sognare. Ci accomunano tante cose. Mi distrae facendomi notare le belle donne. Andiamo avanti così per chilometri, ora correndo, ora camminando.  Correndo piano, poco alla volta, un passo dopo l’altro arriviamo al parco della Porada gremito di famiglie, ragazzi e biciclette. Immersi nella  folla  domenicale, confusi ma felici, eroi distrutti terminiamo la nostra folle corsa per mano, sorridenti.

Seregno mi ha preso a calci nel sedere strappato il cuore dal petto, centrifugato il fisico; succhiato via ricordi  e pensieri, presente e passato. Mi ha reso clandestino, un fuggiasco senza casa. Mi ha  aspirato l’anima dal profondo. Vestito di niente, nudo di tutto.
Seregno è stato chiudere un conto. Un contenzioso lungo un anno!

Di Gilberto Costa gilbertocosta@hotmail.it

“Senza la scrittura le parole non hanno presenza visiva, possono solo essere recuperate, ricordate”.
(Walter Ong)

Chiudi gli occhi immagina una gioia molto probabilmente penseresti a una partenza ah si vivesse solo di inizi di eccitazioni da prima volta quando tutto ti sorprende e nulla ti appartiene ancora penseresti all'odore di un libro nuovo a quello di vernice fresca a un regalo da scartare al giorno prima della festa al 21 marzo al primo abbraccio a una matita intera la primavera alla paura del debutto al tremore dell'esordio ma tra la partenza e il traguardo nel mezzo c'è tutto il resto e tutto il resto è giorno dopo giorno e giorno dopo giorno è silenziosamente costruire e costruire è potere e sapere rinunciare alla perfezione ma il finale è di certo più teatrale così di ogni storia ricordi solo la sua conclusione …
(Estratto dal testo de Costruire di Nicolò Fabi)

Nessun commento:

Posta un commento