lunedì 18 aprile 2011

La mezza di Genova - di Elisabetta Iurilli

La mezza di Genova
di Elisabetta Iurilli


“Cavoli quant’è lunga …” al volante la sopraelevata sembra dilatarsi nello spazio. Ora poi, con i tutor, a percorrerla ci vuole una vita. E a piedi … anzi, di corsa … Perché mi ritrovo sempre a correre nel cemento io che amo i boschi …
Ho con la Mezza di Genova un rapporto di amore e odio. Odio profondo perché con lei ho scoperto

quant’è debole la mia caviglia, perché tutti i suoi sali scendi e falsi piani mi sfiancano troppo, perché so in partenza che qui non migliorerò il mio tempo, perché la parte di Fiumara è incredibilmente grigia … amore perché io Genova infondo la amo, è la mia città, che si arrampica sui monti e si affaccia al mare, che, Superba, dischiude il suo cuore solo a chi la corteggia, non a chi la guarda distrattamente, Genova te la devi un po’ guadagnare …
Correre qui non è come correre altrove. Qui il cuore batte più forte. E pazienza se alla fine sarò più stanca delle altre volte …
Siamo in tanti, in tantissimi, perché la mezza è solo una delle gare che qui si disputano oggi, c’è la 11 km e la family run, un’occasione per tutti per calcare l’asfalto libero dalle auto della propria città. Anche il sole da una mano, strizzandoci un occhio con il dono di una bella giornata.
Gli amici che incontro sono tanti. Le amicizie tra podisti nascono sulla strada. Si condivide la fatica di un tratto di percorso e capisci che l’altro ha in comune qualcosa con te, in un certo senso conosce parte del tuo mondo, della tua anima. Quello stare nelle scarpe o desiderare di starci, quel pensare di farlo incastrando l’allenamento o la gara tra i mille impegni di lavoro e famiglia. Quel parlare sempre di corsa che gli altri non capiscono e ci fa passare per noiosi o fissati …
Gli amici podisti di Genova mi mancano tanto quando corro mezze fuori “confine”.
Cerco il mio posto in partenza. Raggiungo cioè il gruppetto con cui di solito mi trovo a correre le mie gare tra Liguria e Piemonte. Mi accoglie subito Beppe, fiero e carico come non mai “Accompagno una che conta …” e mi presenta una bella signora bionda, Roberta, alla sua prima mezza. Penso che il mio amico oggi non faccia nessuna fatica a seguire la politica …
Li incontrerò lungo il percorso tra il tredicesimo e il sedicesimo, i chilometri di una mezza in cui da sempre ho un netto calo fisico e, conseguentemente, psichico. La loro compagnia, gli scambi di battute, un dono prezioso al mio andare. Grazie.
L’inno d’Italia, noi che cantiamo, alcuni con la mano sul cuore e poi via, lo start, l’imbuto, i piccoli passi perché siamo in tanti, le gambe che friggono, la prima salita, quella dell’Annunziata …

La mia città dagli amori in salita,
Genova mia di mare, tutta scale
E, su dal porto, risucchi di vita
Viva …[1]

Ci muoviamo come un’enorme massa uniforme, il colpo d’occhio è bellissimo, quando, dopo via Garibaldi e sbucati in Piazza de Ferrari ci si ritrova a guardare giù in via Venti. La strada è nostra, della Genova che corre. Nessun rumore tranne quello delle scarpe sull’asfalto. Coloriamo la via principale della nostra città come un arcobaleno impazzito, una tavolozza di mille colori, col cuore che batte forte e la gioia sui nostri volti. Chi corre di solito è felice …
Ci si addentra ancora tra le strade principali per poi sbucare in Corso Italia. E’ una strada maledetta, che sale dolcemente e che dolcemente stanca le tue gambe ed accorcia il tuo fiato. Il sole poi ha deciso che oggi tingerà la tua pelle con la sua abbronzatura e nel farlo sprigiona raggi caldissimi …
Però ad un certo punto si vedono passare i primi. Un gruppetto di uomini tutto ossa e muscoli, dalla pelle scura, che sembra volare ad ogni passo, non correre … hanno il dono della velocità e della grazia, non sembra che fatichino nel loro incedere.
Io invece fatico eccome, e inizio a fare autocritica “Non ti bastava la Vivicittà, vero? Di nuovo qui, di nuovo a faticare, e la tua caviglia sta bene? Ti ricordi come si è gonfiata due anni fa?”
Ma uno sguardo al mare, uno ai tanti partecipanti, uno al pettorale che indosso sempre con fierezza, e capisco che in questo momento sono esattamente al posto giusto, a gareggiare nella mia Genova.
Un sorso d’acqua, mano gentili, sorrisi che non aspettano un grazie, ma che sono contenti se glielo porgi, e si imbocca la sopraelevata.
Correrci sopra è parecchio diverso dal percorrerla in macchina. E’ come guardare un quadro da una prospettiva diversa. E che quadro!

Genova città pulita
brezza e luce in salita.
Genova in verticale
vertigine, aria, scale …
Genova che mi struggi
intestini. Caruggi …
Genova mercantile,
industriale, civile …
Genova di torri bianche
di lucri, di palanche …
Genova palpitante
Mio cuore. Mio brillante …[2]

Genova abbarbicata tra cielo e mare, i suoi monti che dischiudono un verde primaverile, i suoi palazzi variopinti, i mugugni dei cittadini che hanno trovato le strade chiuse, i passi stanchi di noi podisti, la nave sul mare, grande e bella a promettere sogni esotici e tanto riposo … e sulla carreggiata opposta alla mia osservo l’andare dei tanti più bravi. Mi sento chiamare rispondo e penso ad un incontro di due anni fa tanto simile a quello odierno. All’arrivo, di sfuggita, sotto la pioggia.
Ma mi distoglie subito la mente una donna che corre con uno splendido abitino viola, con tanto di arricciatura finale e schiena nuda. “Lo voglio!” è splendido, il mio cuore se n’è innamorato all’istante. So che lo cercherò in tutti i negozi di sport nei prossimi giorni, fino a quando lo troverò, lo acquisterò spendendo una cifra pazzesca, lo indosserò più volte a casa davanti allo specchio trovando mille difetti sulla mia persona, e finirà per marcire nell’armadio senza che l’abbia mai indossato in gara o in allenamento … lo devo avere!
Sono a Fiumara, la parte grigia della gara.
Lungo mare Canepa, la sua fine coincide con il tratto più duro di questa gara. La rampa della sopraelevata. Noto una ragazza che corre col mio stesso passo. Mi dico che se ce la fa lei ad arrivare fino in fondo senza smettere di correre, ce la posso fare anche io. E lei non molla. E’ tosta. Mi chiede a che velocità stiamo correndo. Glielo dico aggiungendo un “Siamo stanche”. Lei non commenta ma corre. Decisa. Dritta su quella strada che ci porterà al traguardo. “E’ dietro la nave” dice qualcuno” No, cazzo, è inutile barare ce n’è ancora troppa di strada, altro che dietro la nave …
Ma la mia compagna non molla, è lì, al mio fianco a mettere i piedi uno dietro l’altro. E io non posso cedere. Se cedo lei che fa? Cede anche lei? La vedrò avanzare mentre io sarò irrimediabilmente lontana? “Abbiamo lo stesso passo, mi stai facendo correre …” mi dice lei “No sei tu che mi tiri …” dico a mia volta.
Scendiamo al Porto antico in festa. Mio marito mi chiama, la Rita mi chiama, mi gaso, mi sento come se a vincere fossi io … taglio il traguardo e abbraccio la mia compagna di corsa.
Questa gara, risultato cronometrico a parte, è stata bellissima, ricca di emozioni.



[1] Sirena Giorgio Caproni
[2] Litania Giorgio Caproni




1 commento:

  1. Ciao Elisabetta, non ci conosciamo ma siamo dello stesso gruppo. Non e' la prima volta che leggo i tuoi scritti..... che dire!? Grazie perche' sai esprimere quello che davvero si sente dentro. Io non corro da molto tempo, ho fatto per la prima volta la corrigenova, non conoscevo questo mondo, cosi'faticoso ma cosi' ricco di palpitanti emozioni, e di fatica e di mal di pancia alla partenza!!
    Brava!! Speriamo di conoscerci presto- Paola Frati

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