martedì 1 maggio 2012

Il Cammino di Santa Croce - di Elisabetta Iurilli


Il cammino di S. Croce.

Ponch non mi vede, mentre con fare professionale da vigile urbano in servizio gestisce gli ultimi istanti prima della partenza nel piccolo borgo marinaro di Bogliasco. Alberto è con gli occhi fissi nel suo obiettivo, per immortalare i fremiti e le speranze degli atleti delle corse in montagna. Sono arrivata in tempo per vederli partire. Minuscoli zaini sulle spalle, grandi fasce in testa, pettorale sulla coscia, sguardi cattivi, tanta agitazione nell’aria. Quegli uomini e quelle donne schierati sanno di quei 50 km duri su e giù per i sentieri di questi monti aspri di Liguria. Sanno che soffriranno, che malediranno il cielo che li
flagellerà con il suo vento e che li bagnerà con la sua pioggia. A loro piace mettersi alla prova, solo così si sentono vivi. Eccoli liberarsi al via. Tendo una mano, mi viene battuto un cinque. E’ un saluto,un “buona fortuna”. Anche io ne ho bisogno …
Perché, come succede ogni anno, S. Croce mi frega, non so resisterle. Eppure … io sono una di quelle che fatica in salita, che soffre di vertigini, che non è agile come si conviene e che di fronte a certi ostacoli deve ragionare un po’ per vedere dove è meglio mettere il piede. E poi S. Croce da quando l’hanno inventato significa certezza di eventi atmosferici avversi sugli intrepidi e dissennati podisti, pioggia, grandine, neve, vento, nebbia, tutto in dosi abbondanti e ben distribuite nei due anni delle precedenti edizioni. Anche quest’anno il cielo sembra voler continuare la tradizione, ma gli amanti di questo sport non hanno dubbi sul fatto di partire o stare, io inizio con il rito del bendaggio protettivo alla caviglia fragile. Però, a pensarci bene, forse mi sento un po’ poco in linea con le così dette “persone normali” …
Cerco Claudio. Non lo vedo, mi ha mollata. E’ vero, ho deciso all’ultimo di venire, ma lui sembrava tanto convinto di partecipare. Era l’on-line che non gli andava giù, questo modo tecnologico di iscriversi, a nulla è valso il mio far leva sulla non competitiva, lui della classifica ha bisogno. Ma c’è Enzo, anche se il suo passo è più veloce del mio, almeno i primi tratti li faremo insieme, poi la paura si scioglie, subentra l’impegno, i nuovi compagni di viaggio, altre gambe davanti alle tue ad insegnarti il percorso.
Il breafing è irresistibile, l’organizzatore sembra uno show man, smorza la tensione, poi arriva il nostro momento, quello della partenza dei 25 km. Mi sento emozionata. Finchè la corsa mi darà tutto questo io non la mollerò per niente al mondo. E’ conto alla rovescia. Si parte, inizia l’avventura.
La creuza sale inesorabile fra gradini di pietra larghi a sfidare il nostro fiato, le nostre gambe ancora troppo fredde, a darci l’assaggio di ciò che ci aspetta. Sembra non finire più. Ecco una curva d’asfalto, ci fanno attraversare, ma lei inesorabile riprende all’altro capo della strada, dura, arcigna, inospitale. Hai la sensazione che non ti voglia, che ti affronti, che ti chieda “dove credevi di andare?”
Conosco qui Tiziana, i nostri passi, il nostro fiato si somigliano. E’ bello avere un compagno con cui correre un trail. Oggi sono particolarmente fortunata, ne avrò tre, tutte donne.
La creuza finisce, si corre quasi in discesa, un sentiero in mezzo agli ulivi, il mare davanti, il cielo sopra che sembra sul punto di scoppiare. Lo farà quando la strada si metterà a salire, quando le pietre selvagge fra l’erba incominceranno a rappresentare un grande pericolo per gli scivolamenti, quando alla destra sento il burrone. Lo percepisco solamente, perché se lo guardassi le mie gambe si bloccherebbero, non potrei più continuare a correre. Mi sento un po’ come una eroina greca che lotta contro Medusa. In realtà lotto solo contro le mie paure, le tengo a bada, le combatto, faccio vedere loro che sono più forte di come mi vorrebbero. E continuo a salire. Con le pietre incerte sotto i piedi, con la pioggia tanto attesa e prevista che riga il mio corpo, col naso che cola … e mi sento viva, ingorda di emozioni.
Tiziana mi segue passo passo, incontriamo Alessandra e Raffaella, due sue amiche. Sono più veloci di noi, ma la nostra andatura ad elastico fa sì che ci si raggiunga spesso sul percorso, finché non decideremo di continuare tutte insieme, aspettandoci e sostenendoci a vicenda.
Finisce il burrone a destra, il sentiero diventa migliore, si apre la sensazione di un nuovo precipizio a sinistra, la pioggia finisce ed è la volta di “Fratello vento”. Saliamo ancora un po’, poi sarà un piccolo tratto di bosco ad accoglierci, finchè non veniamo sbalzate sull’asfalto. Ci avvertono che il percorso ha subito una variazione per via degli agenti atmosferici avversi, che dobbiamo proseguire per questa via. Ci suggeriscono anche di stare attente alle auto, cosa che trovo un po’ bizzarra, perché qui, di certo, non passa nessuno …
Primo ristoro. Uomini e donne imbacuccati che stanno prendendo freddo per noi, per darci da mangiare e da bere, tutto con quella gentilezza gratuita a cui sempre meno siamo abituati.
Piccola sosta poi si riparte, per monti questa volta, su sentieri scivolosi attraversati da nuvole basse che rendono la visibilità sempre minore. Corriamo avvolte da queste masse umide e grigie, sembra una situazione paradossale, è solo un fantastico trail.
Le nuvole pian piano ci mollano, ma anche la pioggia e il vento si arrestano. Hanno lasciato però sentieri insidiosi. Le nostre scarpe sono piene di fango sotto la suola, tutto diventa molto difficile, anche la pietra che sembra asciutta, su cui il piede appoggia deciso, si rivela invece un pericolo insidioso. Alessandra è quasi sempre in testa, è lei a darci l’allarme nei tratti peggiori. Il più brutto sarà di sicuro quello di una lunga discesa a zig zag. Cadiamo quasi tutte a turno, nonostante il passo rallentato per studiare meglio l’appoggio. E’ un tratto in comune con i ragazzi della 50 km. Quando arrivano li lasciamo passare facendoci di lato. Loro non corrono, volano, appoggiano pochissimo i loro piedi sulle pietre, sono perennemente sospesi nei loro balzi come eleganti caprioli. Li invidiamo un po’ e ci sentiamo molto piccole in confronto a loro, però con una buona dose di dignità da difendere. Anche noi corriamo e ci arrampichiamo,e le sfide non ci fanno paura!
Intanto ci scambiamo frammenti di vita, di corsa, inizia la progettazione di gare insieme a venire, consigli sull’abbigliamento (sempre argomento importante per noi donne …) Si è instaurata quella confidenza che spesso si crea quando si percorrono km difficili insieme.
Altro ristoro, wafer (ligure fru-fru), grana, banane, cioccolata, acqua e sali. Ce n’è per tutte le esigenze. Si sale ancora, maledetta salita, si scende, discesa scivolosa ed insidiosa, ormai siamo un po’ stanche, ma reggiamo. E’ un tratto d’asfalto in discesa a piegare Tiziana. E’ visibilmente dolorante, un ginocchio le cede, eppure non si ferma, cade ma si rialza, corricchia piegata in due, rifiuta qualsiasi farmaco ed aiuto che le offriamo. E’ tosta Tiziana, non appena la discesa finisce riprende una posizione corretta e prosegue come prima. Decide però di non fermarsi al successivo ristoro. Noi beviamo alla svelta e poi ci diamo da fare per raggiungerla. Lei è sempre davanti a noi, un po’ affannata per quel ginocchio che di sicuro non ha smesso di farle male, ma sono gli ultimi chilometri, Tiziana ha deciso di stringere i denti.
Il paesaggio è stupendo, un boschetto tranquillo, poi sono gli ulivi sulla collina che si affaccia sul mare, il golfo con le casette abbarbicate, un cavallo ed un asino che brucano tranquilli. Poco più avanti inizia ad avvicinarsi S. Bernardo. Qui una grande sorpresa ed un attimo di esaltazione ci prende tutte e quattro. Una comitiva numerosa di escursionisti nel senso opposto al nostro si fa di lato per lasciarci passare liberamente. E nel farlo ci battono rumorosamente le mani, ci incitano, sono sorpresi di vederci in tante tutte insieme, sentiamo i loro commenti, ci fanno piacere anche se un po’ ci imbarazzano, è una comitiva lunghissima, i complimenti sembrano non aver fine …
Scendiamo, è l’ultimissimo tratto. Da sotto il cavalcavia sento urlare il mio nome, E’ Claudio che parcheggia il suo scooter. “Vergôgna traditore!” gli urlo ridendo “Com’era il percorso?” mi dice sbucandomi all’improvviso davanti “Un bijoux!” gli rispondo “E quel fango che hai attaccato alle gambe?” Vorrei rispondergli che è solo un mio nuovo tatuaggio, ma cavoli, siamo al traguardo, il fiato serve per non sembrare troppo spompata all’arrivo, casomai ci fossero fotografi.
Chiudiamo insieme. Alessandra, Raffaella, Tiziana ed io. Vedo la mia gioia riflessa negli occhi delle mie compagne, ma anche la fatica nel fare una banale scaletta per salire agli spogliatoi. Scopriamo che abbiamo una fame da lupi davanti ad un piatto buonissimo di trofie al pesto. Intorno a me visi di amici, di finischer e di campioni. Tutti stanchi ma felici.
Chissà se nel 2013 il sole ci onorerà della sua presenza …

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