lunedì 16 luglio 2012

Trofeo SOMS - di Elisabetta Iurilli


Trofeo Soms

C’è una coda lunga lunga all’iscrizione. E’ domenica mattina e noi siamo lì ad aspettare un cartoncino da spillare alla canotta che riporti il nostro nome e la categoria di appartenenza. Il mare è a qualche chilometro, poi ci si andrà, prima le cose importanti, prima la corsa.
Non avevo mai corso il Trofeo Soms, troppo caldo in questo periodo, di solito preferivo i percorsi ombrosi del mio paese o l’alzataccia nelle prime ore del mattino per gustarmi il fresco della riviera, quando il sole è
ancora amico e il mare diventa il giusto premio alle fatiche sulla strada.
Ma c’è sempre una prima volta e l’affluenza numerosa a questo trofeo è indice di una bella gara.
Qualche battuta con i “colleghi”, le chiacchiere con le amiche che non mancano mai, poi l’allineamento in partenza. Veniamo condotti in un tratto di strada di solito percorso dalle auto, il traffico viene fermato per farci passare. Mi sistemo nelle retrovie conscia dei miei limiti. Intorno i compagni della domenica, quelli che sudano e macinano strada col mio stesso ritmo.
Via, si parte! Ed è subito un allungarsi del gruppo nel primo tratto in pianura. La strada per Novi, i primi dettano l’andatura, noi li inseguiamo agguerriti. Poco dopo un bivio. Si prosegue per Tagliolo, è l’inizio della salita. Nei ragguagli che ho avuto sul percorso di gara questo tratto in pendenza veniva descritto con molto rispetto. E’ dura, è lunga, finita quella salita sono finite le difficoltà.
Accorcio il passo, cerco di mantenere il ritmo, ma non sempre ci riesco. Si affacciano nella mente gli alibi. Ho fatto tardi la notte passata, ho ballato tanto, dormito poco, se fossi più magra, se fossi più allenata … e che palle, una scusa sempre pronta per tutto! Ma quelli davanti a me resistono e io devo fare come loro, forza, un piede dopo l’altro come sempre, ci vuole grinta, ci vuole costanza, determinazione, a cedere son buoni tutti. E intanto lo sterrato prende il posto dell’asfalto. I cancelli aperti ci consentono di entrare in un’azienda agricola, una fattoria stupenda, ordinata, si intuisce la presenza degli animali nelle stalle, poi pian piano si vedono anche i segni che alcuni di loro hanno lasciato nel terreno. Per noi un’allegra gimcana!
La salita continua, sempre dura, sempre pretenziosa, e noi siamo sempre più provati, ma per fortuna l’ombra è amica, gli alberi con la loro chioma ci riparano col loro preziosissimo fresco.
Pian piano Tagliolo prende forma. Più che gli edifici riconosco le strade del percorso delle Sette Cascine. Mi sento chiamare. Alzo gli occhi, è Dorothee con la sua macchina fotografica. E se non ho una visione quello vicino è proprio Beppe suo papà! Quanto ci manca in tutte queste garette estive!
La strada continua in discesa. Chissà se me l’hanno raccontata giusta quelli che dicevano che dopo Tagliolo tutto è più semplice … Intanto godiamoci questa pendenza favorevole.
Colline verdi tutto intorno. Intravedo paesi cascine, filari di viti. Tutto è tranquillo, niente che somigli ai ritmi frenetici della città.
Veniamo deviati su di un tratto di sterrato che ho già percorso in qualche altra gara. Si passa in mezzo ai campi, si vede lassù in alto Tagliolo, che ora sembra decisamente lontano. Eppure non è tanta la distanza percorsa. Poi giù in picchiata in mezzo ad una vigna, filari da entrambi i lati, tra qualche mese questo sarà un passaggio off limits!
Belforte è qui sotto, il percorso costeggia per un tratto l’autostrada, una rotonda di fronte al grande supermercato dove di sicuro mio marito starà facendo i suoi acquisti sbagliati mentre mi aspetta, ed è di nuovo campagna, sterrato, campi vicini al fiume. Mi dicono che alla fine lo dovremo oltrepassare, che ci sarà una scaletta … ma che fatica, non finisce più questo pezzo! Guardo l’orologio, mi conferma che c’è ancora un po’ di strada da percorrere, che non è ancora finita. Eppure il tratto è piano e all’ombra, perché mi sento uno straccio? Perché questa scala maledetta non arriva mai? E da domani inizia la preparazione della maratona … ah ah mi viene da ridere a pensaci, 42 km e non riesco a chiudere dignitosamente questi dieci … Mauro è sempre lì, davanti a me come dai primi metri della partenza. Un punto di riferimento bisogna prenderselo. Mi rendo conto che però fatica anche lui, e da un certo punto di vista questo fatto mi rincuora.
Adoro passare sopra i corsi d’acqua, il rumore delle tavole sotto i nostri passi, il loro flettersi sotto il nostro peso. Poi c’è la scaletta, con tanto di due ometti ai lati a dare una mano se necessario. Una salitina di tre metri e poi si sbuca in centro Ovada. “Manca tanto?” chiedo a Mauro. “No settanta metri!” Ma chissà perché mi sa di balla. Come tutte quelle che raccontano quelli che hanno già portato a termine la loro gara e che affrontano il defaticamento in senso contrario al percorso appena svolto, incontrandoci nel tratto finale. Ce ne fosse uno che dice: “E’ un tratto lungo e bastardo quello che ti manca, farai una fatica becera”. No. Tutti falsi e bugiardi “C’è poco!” “Hai finito!” E soprattutto la frase più in voga, a qualsiasi distanza ti incontrino “Sono gli ultimi 500 metri!”
Supero Mauro, ben consapevole del fatto che prima del traguardo mi prenderà di sicuro. Ma è giusto, praticamente mi ha tirato per 10 km!
E invece il traguardo è lì dietro l’angolo, più vicino di quanto mi aspettassi e Mauro è ancora dietro … lo taglio, consegno il cartoncino, ma sento in cuor mio che nessuno mi salverà dal “menaggio” per quel sorpasso a tradimento, né in questo immediato dopo gara, né per le prossime a venire … aiuto!!!

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