Il
cammino di S. Croce.
Ponch non mi vede, mentre con fare professionale da vigile
urbano in servizio gestisce gli ultimi istanti prima della partenza nel piccolo
borgo marinaro di Bogliasco. Alberto è con gli occhi fissi nel suo obiettivo,
per immortalare i fremiti e le speranze degli atleti delle corse in montagna.
Sono arrivata in tempo per vederli partire. Minuscoli zaini sulle spalle,
grandi fasce in testa, pettorale sulla coscia, sguardi cattivi, tanta
agitazione nell’aria. Quegli uomini e quelle donne schierati sanno di quei 50
km duri su e giù per i sentieri di questi monti aspri di Liguria. Sanno che
soffriranno, che malediranno il cielo che li
flagellerà con il suo vento e che
li bagnerà con la sua pioggia. A loro piace mettersi alla prova, solo così si
sentono vivi. Eccoli liberarsi al via. Tendo una mano, mi viene battuto un
cinque. E’ un saluto,un “buona fortuna”. Anche io ne ho bisogno …
Perché, come succede ogni anno, S. Croce mi frega, non so
resisterle. Eppure … io sono una di quelle che fatica in salita, che soffre di
vertigini, che non è agile come si conviene e che di fronte a certi ostacoli
deve ragionare un po’ per vedere dove è meglio mettere il piede. E poi S. Croce
da quando l’hanno inventato significa certezza di eventi atmosferici avversi
sugli intrepidi e dissennati podisti, pioggia, grandine, neve, vento, nebbia,
tutto in dosi abbondanti e ben distribuite nei due anni delle precedenti
edizioni. Anche quest’anno il cielo sembra voler continuare la tradizione, ma
gli amanti di questo sport non hanno dubbi sul fatto di partire o stare, io
inizio con il rito del bendaggio protettivo alla caviglia fragile. Però, a
pensarci bene, forse mi sento un po’ poco in linea con le così dette “persone
normali” …
Cerco Claudio. Non lo vedo, mi ha mollata. E’ vero, ho
deciso all’ultimo di venire, ma lui sembrava tanto convinto di partecipare. Era
l’on-line che non gli andava giù, questo modo tecnologico di iscriversi, a
nulla è valso il mio far leva sulla non competitiva, lui della classifica ha
bisogno. Ma c’è Enzo, anche se il suo passo è più veloce del mio, almeno i
primi tratti li faremo insieme, poi la paura si scioglie, subentra l’impegno, i
nuovi compagni di viaggio, altre gambe davanti alle tue ad insegnarti il
percorso.
Il breafing è irresistibile, l’organizzatore sembra uno show
man, smorza la tensione, poi arriva il nostro momento, quello della partenza
dei 25 km. Mi sento emozionata. Finchè la corsa mi darà tutto questo io non la
mollerò per niente al mondo. E’ conto alla rovescia. Si parte, inizia
l’avventura.
La creuza sale inesorabile fra gradini di pietra larghi a
sfidare il nostro fiato, le nostre gambe ancora troppo fredde, a darci
l’assaggio di ciò che ci aspetta. Sembra non finire più. Ecco una curva
d’asfalto, ci fanno attraversare, ma lei inesorabile riprende all’altro capo
della strada, dura, arcigna, inospitale. Hai la sensazione che non ti voglia,
che ti affronti, che ti chieda “dove credevi di andare?”
Conosco qui Tiziana, i nostri passi, il nostro fiato si
somigliano. E’ bello avere un compagno con cui correre un trail. Oggi sono
particolarmente fortunata, ne avrò tre, tutte donne.
La creuza finisce, si corre quasi in discesa, un sentiero in
mezzo agli ulivi, il mare davanti, il cielo sopra che sembra sul punto di
scoppiare. Lo farà quando la strada si metterà a salire, quando le pietre
selvagge fra l’erba incominceranno a rappresentare un grande pericolo per gli
scivolamenti, quando alla destra sento il burrone. Lo percepisco solamente,
perché se lo guardassi le mie gambe si bloccherebbero, non potrei più
continuare a correre. Mi sento un po’ come una eroina greca che lotta contro
Medusa. In realtà lotto solo contro le mie paure, le tengo a bada, le combatto,
faccio vedere loro che sono più forte di come mi vorrebbero. E continuo a
salire. Con le pietre incerte sotto i piedi, con la pioggia tanto attesa e
prevista che riga il mio corpo, col naso che cola … e mi sento viva, ingorda di
emozioni.
Tiziana mi segue passo passo, incontriamo Alessandra e
Raffaella, due sue amiche. Sono più veloci di noi, ma la nostra andatura ad
elastico fa sì che ci si raggiunga spesso sul percorso, finché non decideremo
di continuare tutte insieme, aspettandoci e sostenendoci a vicenda.
Finisce il burrone a destra, il sentiero diventa migliore,
si apre la sensazione di un nuovo precipizio a sinistra, la pioggia finisce ed
è la volta di “Fratello vento”. Saliamo ancora un po’, poi sarà un piccolo
tratto di bosco ad accoglierci, finchè non veniamo sbalzate sull’asfalto. Ci
avvertono che il percorso ha subito una variazione per via degli agenti
atmosferici avversi, che dobbiamo proseguire per questa via. Ci suggeriscono
anche di stare attente alle auto, cosa che trovo un po’ bizzarra, perché qui,
di certo, non passa nessuno …
Primo ristoro. Uomini e donne imbacuccati che stanno
prendendo freddo per noi, per darci da mangiare e da bere, tutto con quella
gentilezza gratuita a cui sempre meno siamo abituati.
Piccola sosta poi si riparte, per monti questa volta, su
sentieri scivolosi attraversati da nuvole basse che rendono la visibilità
sempre minore. Corriamo avvolte da queste masse umide e grigie, sembra una
situazione paradossale, è solo un fantastico trail.
Le nuvole pian piano ci mollano, ma anche la pioggia e il
vento si arrestano. Hanno lasciato però sentieri insidiosi. Le nostre scarpe
sono piene di fango sotto la suola, tutto diventa molto difficile, anche la
pietra che sembra asciutta, su cui il piede appoggia deciso, si rivela invece
un pericolo insidioso. Alessandra è quasi sempre in testa, è lei a darci
l’allarme nei tratti peggiori. Il più brutto sarà di sicuro quello di una lunga
discesa a zig zag. Cadiamo quasi tutte a turno, nonostante il passo rallentato
per studiare meglio l’appoggio. E’ un tratto in comune con i ragazzi della 50
km. Quando arrivano li lasciamo passare facendoci di lato. Loro non corrono,
volano, appoggiano pochissimo i loro piedi sulle pietre, sono perennemente
sospesi nei loro balzi come eleganti caprioli. Li invidiamo un po’ e ci
sentiamo molto piccole in confronto a loro, però con una buona dose di dignità
da difendere. Anche noi corriamo e ci arrampichiamo,e le sfide non ci fanno
paura!
Intanto ci scambiamo frammenti di vita, di corsa, inizia la
progettazione di gare insieme a venire, consigli sull’abbigliamento (sempre
argomento importante per noi donne …) Si è instaurata quella confidenza che
spesso si crea quando si percorrono km difficili insieme.
Altro ristoro, wafer (ligure fru-fru), grana, banane,
cioccolata, acqua e sali. Ce n’è per tutte le esigenze. Si sale ancora, maledetta
salita, si scende, discesa scivolosa ed insidiosa, ormai siamo un po’ stanche,
ma reggiamo. E’ un tratto d’asfalto in discesa a piegare Tiziana. E’
visibilmente dolorante, un ginocchio le cede, eppure non si ferma, cade ma si
rialza, corricchia piegata in due, rifiuta qualsiasi farmaco ed aiuto che le
offriamo. E’ tosta Tiziana, non appena la discesa finisce riprende una
posizione corretta e prosegue come prima. Decide però di non fermarsi al
successivo ristoro. Noi beviamo alla svelta e poi ci diamo da fare per
raggiungerla. Lei è sempre davanti a noi, un po’ affannata per quel ginocchio
che di sicuro non ha smesso di farle male, ma sono gli ultimi chilometri,
Tiziana ha deciso di stringere i denti.
Il paesaggio è stupendo, un boschetto tranquillo, poi sono
gli ulivi sulla collina che si affaccia sul mare, il golfo con le casette
abbarbicate, un cavallo ed un asino che brucano tranquilli. Poco più avanti
inizia ad avvicinarsi S. Bernardo. Qui una grande sorpresa ed un attimo di
esaltazione ci prende tutte e quattro. Una comitiva numerosa di escursionisti
nel senso opposto al nostro si fa di lato per lasciarci passare liberamente. E
nel farlo ci battono rumorosamente le mani, ci incitano, sono sorpresi di
vederci in tante tutte insieme, sentiamo i loro commenti, ci fanno piacere
anche se un po’ ci imbarazzano, è una comitiva lunghissima, i complimenti
sembrano non aver fine …
Scendiamo, è l’ultimissimo tratto. Da sotto il cavalcavia
sento urlare il mio nome, E’ Claudio che parcheggia il suo scooter. “Vergôgna
traditore!” gli urlo ridendo “Com’era il percorso?” mi dice sbucandomi
all’improvviso davanti “Un bijoux!” gli rispondo “E quel fango che hai
attaccato alle gambe?” Vorrei rispondergli che è solo un mio nuovo tatuaggio,
ma cavoli, siamo al traguardo, il fiato serve per non sembrare troppo spompata
all’arrivo, casomai ci fossero fotografi.
Chiudiamo insieme. Alessandra, Raffaella, Tiziana ed io.
Vedo la mia gioia riflessa negli occhi delle mie compagne, ma anche la fatica
nel fare una banale scaletta per salire agli spogliatoi. Scopriamo che abbiamo
una fame da lupi davanti ad un piatto buonissimo di trofie al pesto. Intorno a
me visi di amici, di finischer e di campioni. Tutti stanchi ma felici.
Chissà se nel 2013 il sole ci onorerà della sua presenza …
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