mercoledì 21 marzo 2012

Corritalia a Rocca Grimalda - di Elisabetta Iurilli

Corritalia a Rocca Grimalda

Il muro d’acqua s’era fermato nella mia adorata Valle Stura. Qui a Rocca il cielo era sereno, solcato ogni tanto da qualche nuvola spinta dal troppo vento, ma la giornata era decisamente bella. Una mattina adatta per correre insomma.
Tra i partenti si nota l’assenza di tanti genovesi, ma anche di qualche locale. La Dodici per un’ora e la Maratona di Roma si contendono i mancanti. Vorrei esserci anche io nella
capitale, per quei 42 km di fatica e di emozioni. E’ stata la mia prima maratona, un ricordo indelebile nel cuore.
Ma anche stare qui è bello. E’ la prima volta in Piemonte quest’anno. So già che ci correrò la maggior parte delle gare a cui parteciperò. Vedrò la natura rinverdire i campi, far crescere l’uva nelle vigne, scaldarci con un sole assurdo, bagnarci con una pioggia calda. Oggi mi aspetta il regalo degli alberi in fiore.
I runner piemontesi sono quelli con cui la sera ci si ferma al pasta party, con cui ci si prende in giro fino a tarda notte e con cui si intrecciano sogni di chilometri a venire. Tutto dopo lotte furibonde e sgomitate in gara. 
Eccoci qui in partenza, percorso già collaudato lo scorso anno, so che mi divertirò.
Al via giro del paese. Rocca Grimalda è bellissima, antica nel suo borgo dominato da un castello, ci sono ampi spazi e stretti vicoli, una discesa ripidissima e una salitina isidiosa, un belvedere che spazia sui colli che non riesco a godermi. Ci si penserà a corsa finita a gustarsi il panorama. Ora bisogna andare, seguire quel gruppo colorato che si sta scatenando in questa campagna al risveglio.
Corriamo tra cappelle poste ad incroci di strade, alberi rosa, alberi bianchi col vento che manda il mio ciuffo di capelli là dove non deve stare. Villette sparse, con qualche bambino che ci osserva da dietro i cancelli e qualche cagnetto che mostra il suo disappunto al nostro passare. Riconosco qualche percorso, pezzi di strada già fatta con l’auto di Claudio che d’estate mi viene a prendere in negozio per portarmi a gareggiare in serale. Siamo sempre sul punto di perderci, arriviamo tardi e trafelati all’iscrizione, ma intanto quante risate …
Giù il discesone … lo ricordavo lunghissimo, mentre non mi era chiaro se a tanto scendere corrispondesse altrettanto salire. O l’avevo rimosso o non era poi così dura la pendenza contraria.
Ma ecco che si inizia a salire, riconosco S. Giacomo, la frazione dove abita la mia amica Ale. So che passerò davanti a casa sua, ma non ho voluto dirglielo, da due mesi la sua sveglia si chiama Lorenzo, meglio lasciarla riposare in santa pace. Ma suo marito è sulla soglia di casa con la piccola Lisa. E mentre lei mi fa ciao con la mano, lui prende una sedia e me l’avvicina al mio passaggio: “Ma vieni a riposarti va’ .” E ha ragione, sto arrancando, ma il fiato per mandarcelo ce l’ho ancora!
Saliamo fino ad un ristoro poi inizia lo sterrato, bellissimo, di pietre che scivolano un po’ sotto i nostri piedi, di campi su entrambi i lati, di uomini e donne che si inseguono faticando contro vento. Davanti a me, più o meno con mio passo, un uomo bello alto, spalle larghe. Penso faccia al caso mio e mi metto proprio dietro al suo andare. Mi fende l’aria e mi facilita la corsa. Proseguiamo così abbastanza a lungo, poi si vede che in qualche maniera si accorge del mio “opportunismo parassitario” e prima che mi inviti ad altre rotte mi metto io davanti a lui, restituendogli, in parte, il favore. Proseguiremo così, con questa andatura ad elastico, fino al traguardo. Che si fa sempre più lontano e difficile da raggiungere. Il dislivello in salita arriva e d’un tratto si fa vivo anche nei miei ricordi. E’ lungo ed insidioso. Fatico, penso che intanto i primi saranno già arrivati, che chi me lo fa fare di stare qua, che a Villa Gentile girano in piano, che a Roma invece … no lì si fatica più di qui!!! E mentre mi lagno così nella mia mente intravedo la cappella all’incrocio, o meglio, il fotografo appollaiato vicino ad essa, meglio darsi un certo ritegno, e poi è l’ultimo pezzo di percorso. Alla fine ognuno fa quello che può, cerca di dare il meglio, si spera che ci siano ancora abbastanza fiato e gambe per strappare le ultime frazioni di secondo al cronometro, ma soprattutto si sta attenti perchè nessuno di quelli con cui hai lottato per pochi o tanti chilometri ti freghi in volata.
E’ andata anche questa domenica.
Le gare piemontesi hanno un’altra cosa bella, i ristori. Dolci e salati che non fai tempo a finire il vassoio che magicamente ne escono altri dieci. E chi ti offre da bere e da mangiare ti incoraggia a prenderne ancora … Ne approfitto eccome, tanto ho corso …

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