venerdì 19 agosto 2011

Due ruote per A.D.M.O. - cronaca di un viaggio di Giulio Satta

DUE RUOTE PER A.D.M.O.
di Giulio Satta




Ormai è risaputo: ogni due anni devo fare la mia fesseria! Ho iniziato nel 2007 col giro della Sardegna in mtb, ho proseguito nel 2009 con “1001 km odissea su due ruote”, sulle nostre bellissime Alpi e quest’anno ho voluto strafare con “due ruote per ADMO”. Ma se qualcuno ha letto gli appunti di “2001 ecc...” qualcun altro  potrebbe chiedersi (e a ragione) cosa sia ADMO, dal momento che “due ruote” è di facile comprensione... Iniziamo dunque dall’ inizio: da tempo, sentendomi ormai “un signore grasso e lento giunto al viale del tramonto” come cantano Elio e le storie tese, covavo nel mio cuore il desiderio di mettermi alla prova, per vedere se lo fossi davvero o se avessi ancora qualche cartuccia da sparare. Nella mia mente echeggiavano epiche avventure di giovani che erano arrivati ad Ushuaia in vespa attraversando 5.000 km e più di “terra del fuoco”, giri del mondo effettuati in bicicletta e moltissime altre avventure (o pseudo tali) praticate nei modi più disparati. Purtroppo però non potevo permettermi di tirare la corda più di tanto con i miei colleghi di lavoro per chiedere sostituzioni al fine di ottenere qualche giorno di ferie in più e così ho dovuto di accontentarmi di un’ avventura più “casereccia”  da sviluppare nel modo a me più congeniale, la bicicletta! Ho dovuto anche tener presente la mia naturale inclinazione a non programmare nulla partendo allo sbaraglio, cosa impossibile se avessi organizzato qualcosa oltre i confini della penisola, e così è stato che per restare dentro gli italici confini, mi sono inventato un Genova- Villa S. Giovanni in bicicletta (la stessa di “1001km ecc...” che da allora giaceva carica di polvere e di gloria in cantina). Avendo avuto modo in seguito di controllare la cartina stradale dell’ Italia con tutti i vari collegamenti via mare, mi accorgo che da Palermo esiste un traghetto per Cagliari e decido di allungare un po’da Villa S. Giovanni per poter entrare in Sicilia da Messina, pedalare fino a Palermo e da li imbarcarmi per Cagliari per arrivare fino a Luras, un piccolo paese vicino a Tempio Pausania, dove vivono tutti i miei parenti, unendo così l’ utile al dilettevole. Detto fatto! L’ idea mi piace e come sempre, senza programmare nulla, decido di mettermi all’ opera pedalando un po’ ogni tanto per vedere se sono ancora capace di stare in bicicletta. Meno male che andare in bici è come nuotare: una volta imparato non ci si dimentica più, così poco alla volta inizio a mettere un po’ di km nelle gambe arrivando tranquillamente a percorrerne 80/90 senza particolari fastidi ad eccezione di un po’ di dolore al fondo schiena, che tutti i ciclisti ben conoscono. Controllo le date di partenza dei traghetti da Palermo e con rammarico mi accorgo che ci sono solo al sabato alle 17 (le cinque del pomeriggio), la Tirrenia non smette mai di stupirmi in negativo! Un traghetto alla settimana è davvero poco e la partenza alle 17 urla vendetta da ogni boccaporto! Considerando le procedure d’ imbarco da effettuare per gli automobilisti, in tal modo gli fai buttare via un giorno di ferie, non capisco perché altre compagnie tipo la Moby Line imbarchino alle 22 e la Tirrenia ancora non riesca ad arrivarci, poi si stupiscono se stanno fallendo... Torniamo a noi: io vado in ferie la prima quindicina di luglio, ma il traghetto da Palermo ce l’ ho il 9... se voglio sperare di farcela devo percorrere oltre 200km al giorno, cosa assolutamente impossibile, potrebbe farcela un ciclista con auto di supporto, non un signore grasso e lento giunto al viale del tramonto! E’ qui dunque che entrano in ballo i miei colleghi che ringrazio di tutto cuore per avermi aiutato, il 27 giugno smonto dalla notte, dormo 3 ore, carico la bici e parto verso l’ avventura!
Si, ma ‘sto ADMO che cavolo è? Ehm, vero, scusate... Nel corso degli allenamenti, mi è spuntata in mente un’ idea: perché non dare “un senso” alla mia avventura anziché lasciare che sia solo una banale vacanza? In fin dei conti è una cosa particolare che potrebbe interessare a qualcuno. Ne parlo subito alla Dott. Van Lint del centro trapianti di midollo del S. Martino dove lavoro che mi mette in contatto con l’ ingegner Biagioli, presidente dell’ A.D.M.O. Liguria (a proposito, ADMO è un acronimo che vuol dire Associazione Donatori Midollo Osseo) il quale si dimostra interessato alla cosa e mi fornisce materiale divulgativo di ADMO e magliette per me da indossare durante il giro per propagandare l’ associazione. Gli prometto tutto il mio impegno (lui ancora non lo sa, ma quando mi metto in testa una cosa difficilmente fallisco), preparo una pagina su Facebook dedicata all’avvenimento che (ovviamente) chiamo “due ruote per ADMO” e posso iniziare la mia avventura!
I primi km sono giocati in casa, non ho grandi velleità per il primo giorno, mi accontento di arrivare ai piedi del “Bracco”per poterlo affrontare con calma il giorno dopo appena smontata la tenda. Fino a Recco tutto bene, passo anche agevolmente il salitone della “Ruta” ma quando sono a Zoagli le gambe iniziano a fare i capricci, le sento un po’ affaticate e dure. “Iniziamo bene”mi dico... “dov’ è che vorrei arrivare io”? Questi più o meno i pensieri che mi ballonzolano in testa, cerco di fare un paragone con la prima tappa dei famosi “1001km” dove avevo sofferto i “Giovi”pensando addirittura di tornare indietro già da li e mi consolo grazie anche alla discesa che mi porta a Chiavari. La sera a Sestri Levante i km sono 63 circa o poco più e siamo all’ imbrunire, per cui cerco il campeggio che fortunatamente trovo subito, mi sistemo per la notte e vado a mangiare. La strada percorsa non è un granchè, anzi: sono già in abbondante ritardo sui 120 km che mi ero ripromesso di percorrere ogni giorno ma mi consolo con l’ idea che in fin dei conti avevo pedalato solo mezza giornata e anche scarsa, guardando il bicchiere mezzo pieno, mi infilo in tenda e dopo aver avvisato gli amici su come fosse andata la prima giornata, mi addormento.
Al mattino vedo tutto più rosa, mi avvicinano due cicloturisti francesi che mi chiedono cosa fosse ADMO, al che gli spiego e gli regalo due o tre adesivi ricordo, loro sono più anziani di me e stanno andando in Turchia da Parigi! Penso che non ci arriveranno mai, pago il campeggio, lascio anche li alcuni gadgets dell’ associazione pregando il gestore di metterli bene in vista spiegandogli l’ importanza della mia iniziativa e parto alla volta del “Bracco”!
La salita inizia dopo soli due km e in un primo momento si arrampica dolcemente facendomi faticare poco, per andare via via sempre più aumentando la pendenza. La salita è lunga, ma se devo dire la verità mi aspettavo peggio, ripenso al passo del Maloja affrontato due anni fa e mi sento rinfrancato da questo rilievo che è ben più modesto, se penso all’ amico Vittorio che imbarcherà la bici in treno per evitarlo mi sento rassicurato sulle mie possibilità. Una volta in cima al passo, giù a godermi l’ aria fresca in una campagna meravigliosa, passo Mattarana, Carrodano, Sesta Godano, che avevo visitato più volte per la sua fiera del bestiame, chissà se la fanno ancora, devo controllare! Qui purtroppo l’ amara sorpresa: rimango fregato dal “Bracchetto”, non inteso nel senso di vino ma da una recrudescenza della salita che dopo la discesa mi taglia le gambe e mi toglie il sorriso, per fortuna è di breve durata, posso di nuovo scendere senza troppi patemi d’ animo verso Spezia. Aggiro la città sempre seguendo l’ Aurelia e punto la Toscana! E’ incredibile ripassando il percorso con “Google Heart” vedere quanti paesi ho toccato, anche solo per pochi minuti, quante le persone con le quali ho parlato, anche solo per chiedere un’ informazione, persone che hanno una loro vita, una loro storia, persone che molto probabilmente non rivedrò mai più, alcune di loro possono aver ricevuto notizie bellissime, possono essersi sposate, possono essere morte, chissà... Per un attimo sono entrate nella mia vita , mi hanno aiutato fornendomi indicazioni, offrendomi un bicchiere d’ acqua, è questo il bello di viaggiare in bicicletta, se fossi andato in macchina tutta questa strada (che ancora è pochissima) l’ avrei percorsa in due ore, non in due giorni, chiuso nel mio guscio, ascoltando il mio  stereo, guardando il mio cruscotto in alternanza al nastro di catrame che si dipanava davanti a me, ignorando la vita che si svolgeva nei paesi al mio passaggio, che continuava a Genova anche senza la mia presenza... chissà poi come mai? Potevano aspettarmi no?
Di riflessione in riflessione arrivo a Torre del lago Puccini, in provincia di Lucca, che deve il suo nome al fatto che li visse il grande compositore lirico. Cerco e trovo subito un campeggio (campeggio del lago) e mi sistemo. I km oggi sono stati circa 128 e se ancora sono in ritardo mi sento contento del fatto che in base alla mia tabella di marcia ho pedalato 8 km in più. Al mattino la sorpresa viene dalla padrona del campeggio: una volta parlatole di ADMO, vuole a tutti i costi fare un’ offerta direttamente a me perché, mi racconta, è molto sensibile in quanto una sua sorella è stata operata recentemente di tumore al cervello. Ovviamente declino l’ offerta e le suggerisco di consultare il sito di ADMO nazionale  (http://www.admo.it/)   dopo di che salto in sella (non alla bersagliera come Fantozzi) e pedalo verso sud sempre sull’ Aurelia. 
La terza tappa è variegata: da una parte ho perso un po’ di tempo per visitare piazza dei miracoli a Pisa, far sostituire (sempre a Pisa) il freno posteriore della bicicletta, mettere qualche foto su Facebook a Livorno e riparare due forature in prossimità di Follonica, cosa che mi ha fatto perdere un po’ di tempo non tanto per la riparazione in se, ma per il fatto di dover togliere tutto il bagaglio dal portapacchi, cosa assai noiosa, oltretutto alla seconda foratura ho squarciato anche il copertone (eppure era nuovo) alle 19,30! Fortunatamente dopo meno di un chilometro trovo un motoricambi che ha anche pneumatici e copertoni per bicicletta...  L’ aspetto positivo della giornata è dovuto al fatto che nonostante  gli intoppi la distanza percorsa iniziava ad essere ragionevole: 145 km grazie anche all’ Aurelia che in quel tratto mi regala pianura e una discreta ombreggiatura grazie a pini secolari che la fiancheggiano per parecchi km. Percorro la prima parte della “Maremma toscana”che il sommo poeta individuava iniziare a Cecina... 
« Non han sì aspri sterpi né sì folti
quelle fiere selvagge che 'n odio hanno
tra Cecina e Corneto i luoghi cólti. »
(Dante, Inferno, Canto XIII, vv. 7-9)
La Maremma è famosa per i suoi “butteri”, i cow boys italiani e per una particolare razza di cane da pastore particolarmente tenace, ed una volta era regione molto paludosa, tant’ è vero che il suo nome pare derivi dal castigliano “marismas” che significa appunto palude. Comunque queste reminiscenze scolastiche che mi venivano in mentre strada facendo poco importano ora, quel che conta è che ormai allo scuro della notte giungo al camping “Riva dei butteri” a Follonica, il campeggio ha un insegna Holliwoodiana, almeno 20 mq di neon la illuminano, ma la doccia devo farla fredda lo stesso perché l’ impianto non funziona a dovere (sigh). Al mattino successivo però, all’ atto della partenza, quando rifilo il pistolotto su ADMO in direzione si dimostrano davvero orgogliosi di far parte del mio piccolo progetto di diffusione!
Ultimo giorno di giugno, caffè e via sempre sull’ Aurelia in direzione Roma! Decido di passare via mare abbandonando per un po’ l’ Aurelia che riprenderò poi a Grosseto, per potermi gustare il panorama marino di Riva del sole, Castiglione della Pescaia e la costiera del parco naturale della Maremma. Purtroppo per questa deviazione dovrò pagare un tributo in salita a Pian d’ Alma e Col di Rocca che mi fanno tribolare per qualche km, ma da Riva del sole in poi tutto fila liscio regalandomi un bellissimo paesaggio. Ho ormai superato l’ isola d’ Elba e pedalo verso Roma con l’ idea di fermarmi dalle parti di Civitavecchia, le gambe rispondono sempre meglio di giorno in giorno ed il morale è abbastanza alto. Ogni tanto consulto la cartina che ho portato con me ed una volta giunto a Marina di Grosseto, taglio verso la città attraverso una bellissima pista ciclabile per ricongiungermi alla statale 1 Aurelia. Mentre percorro la bellissima ciclabile accessoriata con tanto di fontanelle, mi sfrecciano sulla testa parecchi aerei “caccia” che atterrano e decollano dall’ aeroporto vicino, sarò banale, ma non posso fare a meno di pensare che solo quella mattina chissà quanti milioni di euro in carburante sono stati spesi, mentre l’ Italia economicamente è sull’ orlo dell’ abisso... Chissà magari qualche mese fa sfrecciavano anche in Grecia gli aerei militari! Lasciamo perdere e concentriamoci sulla strada và che qui non è come in Liguria che basta tenere il mare sulla destra o sulla sinistra e non puoi sbagliare! Raggiungo Grosseto e mi immetto sull’ Aurelia dopo aver chiesto informazioni e scopro che in alcuni tratti è stata trasformata in superstrada e dove è stato possibile creare una via alternativa, non la si poteva percorrere in bici per dare la preferenza alle macchine, mentre dove non vi era via alternativa la si poteva percorrere anche in bici fino a Civitavecchia, circa un centinaio di km. Il paesaggio non è che cambi poi moltissimo: è sempre la solita Aurelia con in più i guard rail ai lati e a volte al centro uno spartitraffico, le auto viaggiano più veloci, ma per fortuna c’ è la corsia d’ emergenza e tutto sommato si può percorrere la strada in tranquillità. A Civitavecchia finisce il tratto di superstrada e l’ Aurelia entra proprio dentro la città diventando il suo lungomare. Prima di fare ingresso in città vedo la scritta “camping”, sono circa le sette di sera, vorrei pedalare ancora un po’ per mettermi avanti, c’ è ancora luce e dal libretto dei campeggi mi pare che li vicino, a S. Marinella, ce ne sia uno. Decido di chiedere informazioni e mi confermano che c’ è un campeggio e che la località dista circa 7 km... in realtà in 7 km non sono nemmeno arrivato a Civitavecchia città, poi ce ne vogliono oltre altrettanti per superarla e circa altri 10 per arrivare a S. Marinella... Pazienza, sono stanco ma almeno ci sono! Cerco il campeggio ma non lo trovo, nessuno sa dove sia, cosa abbastanza normale, se a uno non interessano i campeggi non tende a memorizzare, poi spesso sono in zone fuori mano, tranquille. Vedo un gruppo di vigili urbani e chiedo informazione a loro che mi rispondono che il campeggio è stato smantellato parecchi anni prima! Impreco contro il tipo che mi ha dato l’ informazione facendomi sbagliare di oltre 20 km e dicendomi che il campeggio c’ era ma in realtà sono stupido io ad aver portato un libro dei campeggi vecchio di 20 anni solo perché molto più leggero dell’ edizione 2011 che avevo comunque comprato apposta per questo viaggio. Con tutta la roba che avevo con me, qualche etto in più o in meno non mi avrebbe certo cambiato la vita! I vigili mi dicono che il campeggio più vicino è a Ladispoli, a oltre 30 km! Sono distanze irrisorie se pensate in macchina, ma quando ne hai nelle gambe già 160 e inizi a urlare dal male al posteriore diventano un viaggio! Comunque non mi perdo d’ animo e inizio a pedalare arrivando a Ladispoli verso le 21,30 con un bilancio giornaliero in km di 192... a questo punto credo di aver recuperato, non tutto il male vien per nuocere, ho solo paura per lo stato delle gambe la mattina dopo ma per ora a tenda piantata e doccia fatta mi sento un altro!
Primo giorno di luglio: marcia su Roma! Dopo i primi dieci km circa nei quali sento le gambe un po’ legate, inizio a pedalare con energia, sospinto anche dall’ emozione datami dall’ idea di entrare nella città eterna. Percorro la trentina di km che mi restano di Aurelia ed arrivo nella periferia nord della città, la zona (come tutte le periferie) non è che sia poi un granchè, ma sono a Roma! Non c’ ero mai stato prima e sono davvero emozionato, tanto da fregarmene altamente dell’ acquazzone che mi dà il benvenuto nella capitale! Parcheggio la bici nello spazio a pagamento riservato ai clienti di un supermercato, la blocco col catenaccio, la copro con un telo di nylon, prego il custode di tenerla d’ occhio perché a bordo c’ è tutto ciò che posseggo al momento e infilo le scale della stazione “Cornelia” della metro alla conquista del centro storico. Roma è immensa ed il suo centro storico talmente gravido di opere architettoniche di enorme interesse storico che ci vorrebbe un mese per visitarlo come si deve, altro che le due orette che mi concedo per scattare qualche foto, comunque un ricordo del Colosseo e della fontana di Trevi più qualche istantanea qua e là me li concedo. Tornato alla bici scopro prima di tutto che c’ è ancora, il che mi dispone favorevolmente per il resto della giornata e secondariamente il custode con un sorriso mi dice di stare tranquillo che “offre la casa”, non facendomi pagare il parcheggio. Libero la mia fedele due ruote da nylon e catenaccio e via verso... già, verso dove? Finora è stato tutto facile, bastava seguire l’ Aurelia, ma ora? A Ladispoli mi avevano consigliato di seguire la “Casilina” ma una volta chieste delucidazioni mi rispondono che è dall’ altra parte della città e trovarla da quel punto sarebbe complicato persino per un romano data la vastità della città, un vero e proprio guaio, rischio di farci notte nella città eterna, io devo arrivare a Palermo e sarò si e no ad un terzo di strada! Chiedo ancora spiegazioni sperando di trovare qualcuno che possa tirare fuori il coniglio dal cilindro ma niente da fare, la risposta è sempre la stessa. A questo punto prendo persino in considerazione l’ idea di prendere un treno che mi porti dall’ altra parte della città per poi riprendere a pedalare, ma mi secca, mi sembrerebbe di barare... Poi il gestore di una pompa di benzina mi dà un’ idea: prendere il raccordo anulare che dista circa un chilometro e mezzo e dopo poca strada uscire in direzione Latina e continuare lungo la via “Pontina” verso sud. Resto titubante alcuni minuti, prima di tutto è pericoloso, poi se mi “pizzica” la polizia sono dolori, ma d’ altra parte l’ alternativa è quella di farci notte a Roma, per cui rompo gli indugi e parto in direzione “Grande raccordo anulare”! Una volta imboccato mi accorgo che si tratta di una strada a quattro corsie più corsia d’ emergenza molto ampia, sull’ Aurelia per parecchi tratti e per parecchi chilometri ho pedalato su una corsia sola per senso di marcia e senza corsia d’ emergenza, con le macchine che mi sfrecciavano impietose a meno di un metro, con i guidatori che mi sorpassavano insultandomi e strombazzando pure, per cui sotto il profilo pericolo mi sento molto più tranquillo, l’ unico problema adesso è la polizia che potrebbe fermarmi e multarmi, ma spero nella mia buona stella, che questa volta mi viene incontro dandomi via libera fino allo svincolo per Latina! Quando esco dal “raccordo” mi sento molto più sollevato e la “Pontina” è dritta come un fuso e pianeggiante, per cui riesco a percorrere ancora un centinaio di chilometri nonostante abbia dedicato la mattinata al turismo, arrivando verso sera a Lido di Latina al campeggio “Poseidon”, piccolo ma molto bello, caratterizzato da una torre saracena che svetta al suo interno. Siamo alle soglie del Parco naturale del Circeo, uno dei posti più belli della penisola!
Siamo a sabato 2 luglio, le gambe rispondono sempre meglio e nonostante la stanchezza generale pedalare costa sempre meno fatica, almeno fino ai 100 km, poi il discorso cambia ma d’ altra parte la strada percorsa inizia ad essere molta. Ieri sera per trovare questo bellissimo campeggio ho lasciato la via “Domitiana” per portarmi qui al lido di Latina, ora l’ idea sarebbe quella di entrare proprio dentro il parco naturale del Circeo (purtroppo reso famoso dai tristi fatti di cronaca del 1975) e percorrere tutto il litorale fino a Terracina, dove avrei agganciato la SS 213 (via Flacca) in direzione Napoli, passando attraverso un tratto di strada detto comunemente “la strada interrotta” perché in seguito ad una frana, venne chiuso da alcune dune artificiali che ne rendevano impossibile il transito alle auto ma non alle biciclette, che potevano essere spinte oltre le dune di sbarramento stesse. Inizio a pedalare in un tratto di lungomare lungo e rettilineo, quando vengo avvicinato da un anziano ciclista che mi chiede dove vado e da dove ne venissi. Sentendo il mio progetto mi prende in simpatia e condivide con me alcuni chilometri chiacchierando del più e del meno, consigliandomi però di abbandonare l’ idea del lungomare nel Circeo, non perché meno bello di quanto mi aspettassi, anzi, ma perché in molti tratti il fondo è assolutamente sabbioso rendendo difficile la pedalata e facendomi correre il rischio di riempirmi di sabbia gli ingranaggi del cambio. Decido di seguire il suo consiglio e pedalo dietro lui che si offre di portarmi sulla retta via! Pedaliamo insieme fino a Sabaudia e poi fino alla “Appia” dove mi abbandona (non prima di avermi offerto anche un caffè) per ritornare verso casa. Percorro il tratto di Appia che mi separa da Terracina dove imbocco la “Flacca”fino a Sperlonga dove faccio il secondo incontro della giornata: un altro ciclista, questa volta molto meno attempato, direi mio coetaneo ad occhio croce, che percorre anche lui un tratto di strada con me guidandomi attraverso il centro storico, dispensandomi utili consigli sulla strada da percorrere, offrendomi anche lui un caffè e chiedendomi informazioni su ADMO, sui vari siti dove potrebbero apparire le mie “memorie di viaggio”e facendomi insomma, passare un’ oretta diversa, meno solitaria e più spensierata, caro amico sconosciuto grazie di tutto, se mai leggerai queste parole scoprirai che è andato tutto bene e che avevi ragione tu: ce l’ ho fatta anche se ti avevo manifestato tutti i miei dubbi! Continuo la mia strada lungo la “Flacca”passando per la baia Domizia senza patemi d’ animo, la via è pianeggiante e scorrevole, la strada ampia e ben asfaltata, finora non ho trovato un solo punto che potesse rivaleggiare in peggio con Genova in quanto a fondo stradale, il paesaggio è anche qui molto bello fino a Mondragone e subito dopo Castel Volturno: chi ha letto “Gomorra” mi può capire: mai in vita mia ho incontrato tanta desolata disperazione: non un esercizio aperto, non vedevo altro che caseggiati dalle tapparelle chiuse con affissi cartelli “vendesi”, lo stesso valeva per i negozi e per gli alberghi, i campeggi che un tempo dovevano essere stati molto belli erano chiusi o addirittura incendiati, spazzatura ovunque, i topi lungo le strade che mi attraversavano il cammino tranquillamente mi facevano venire in mente il tempio di Deshnoke in India che pullula di ratti considerati sacri. In questo scenario da “ghost town” si aggirava una popolazione composta soprattutto da africani ma anche da bianchi provenienti dai paesi dell’ est, che avevano in comune la stessa tristezza nello sguardo, la stessa sconfitta negli occhi di chi è partito in cerca di un futuro migliore e ha dovuto piegarsi ad un presente fatto di sofferenza e disperazione, sono i braccianti che lavorano nei campi che la “Camorra” consente di coltivare a chi paga il “pizzo” per poter sopravvivere: braccianti da 20 € al giorno che morendo di fame in questo inferno fanno si che noi possiamo comprare gli ortaggi ad un prezzo più modesto. Ormai è quasi sera, li vedo a piccoli gruppi dividersi un panino seduti sul ciglio del marciapiedi (macchine praticamente non ce ne sono, chi può non passa certo da li, prende l’ autostrada e chi vive li non ha la macchina) oppure pedalare stanchi su biciclette cariche di ruggine e di decenni, guardo invece la mia, non certo di lusso ma che in confronto alle loro sembra quella di Alberto Contador, mi si stringe il cuore, ho la testa piena di pensieri: da una parte vorrei regalargli la bici con tutto quello che c’ è sopra e fuggire da quell’ orrore, dall’ altra come tutti quelli che hanno qualcosa ho paura che me lo possano portare via, sarebbe la fine del mio viaggio, rido amaro dentro di me, e la fine del LORO viaggio come e quale sarà? Dove saranno ora che sto scrivendo ad un mese di distanza? Sempre li a sperare in un futuro migliore che non verrà mai? Utilizzati come manovalanza dalla camorra? Morti in qualche fosso e dimenticati da tutti? Ripenso alla grave crisi che sta attraversando l’ Italia e con lei tutto il mondo, tutti speriamo che il nostro paese possa uscirne fuori, magari a discapito di qualche altra nazione che in tal modo resterebbe nei guai al posto nostro. Una torta è una torta, se ne tagliamo 1000 fette uguali mangiamo tutti no? Se però una piccola parte di noi ne mangia i ¾, il quarto rimanente devono dividerselo tutti gli altri, credo sia semplice, anche da bambini ci si accapigliava per questo no? Mi vengono in mente quelli che non vogliono gli immigrati in Italia, se non ci fossero loro con la loro miseria a contenere i prezzi, un kg di pomodori anziché 1€ e 80 circa, costerebbe almeno 3€ e 50 o magari molto di più, senza contare gli sproloqui sulla violenza: se vivi così o diventi violento o muori, poco ma sicuro, per chi non ha niente anche una bici di “Decathlon” da 400€ rappresenta un tesoro! Col cervello in stand by e il cuore in affanno pedalo fra ali di spazzatura per fuggire da quell’ inferno il più lontano possibile, anche se la speranza di trovare un campeggio mi appare sempre più una chimera. 
Dopo qualche km percorso sempre in quest’ atmosfera, arrivo a Lago di Patria, comune di Pozzuoli e proprio quando stavo ormai per disperare, mi appare un cancello che porta ad un viale che potrebbe benissimo essere quello del palazzo dell’Hermitage a S. Pietroburgo da tanto è imponente, in principio non credo nemmeno sia un campeggio ma un albergo di lusso, il viale interno d’ accesso sarà almeno 200 metri e la reception principesca (peccato non sappiano nemmeno come registrare un cliente e la ricevuta porti il numero 33 e siamo ormai a luglio!)... Provo a scambiare quattro chiacchiere sulla situazione e mi rispondono evasivamente che “c’è crisi” ho capito: questo è uno dei pochi posti che sopravvive perché la camorra glielo consente! Quando giungiamo alla piazzola, il ragazzo che mi accompagna dice in dialetto al proprietario della roulotte davanti a me di guardarmi la bici, e poi rivolto a me di non preoccuparmi che non era nemmeno il caso di legarla, mi informa inoltre che da li a pochi minuti nel campeggio verrà celebrata la “S. Messa”. Mi viene da sorridere, poi faccio mente locale e mi sovviene che tutti i mafiosi e i camorristi sono religiosissimi, sarà un caso? Basta, monto la tenda e mangio senza uscire dal campeggio perché all’ esterno c’ è il nulla e costringendomi a non pensare mi infilo in tenda e cerco di dormire.
Parto col vento in poppa da Lago di Patria dopo aver illustrato alle signorine della reception il mio piccolo progetto con ADMO e contrariamente a quanto pensassi si dimostrano interessatissime e promettono di divulgare la notizia, lascio allora loro un po’ di depliant supplementari e qualche adesivo per i bambini oltre alle immancabili penne, probabilmente tanto interessamento, che pare assolutamente sincero, è dovuto alla consapevolezza della malattia, non a caso l’ 80% circa dei nostri pazienti è campano residente in Campania, non posso non pensare di nuovo a “Gomorra”, dove Saviano spiega nell’ ultimo capitolo che la camorra sotterra indebitamente i rifiuti tossici principalmente lungo le sponde del Volturno, proprio dove pascolano le bufale, dal latte delle quali si ricava la mozzarella che vedo vendere un po’ ovunque lungo la strada, da parecchie decine di chilometri ma che mi guardo bene dal comprare... sarà un caso ma non si sa mai, la vita è una tempesta e prenderlo in quel posto è un lampo!
Passo Pozzuloi e dopo qualche chilometro entro nella capitale del sud: Napoli! La soddisfazione è grande ma purtroppo è dovuta esclusivamente a motivi sportivi: il cartello “Napoli” all’ ingresso della città a mala pena si nota accoccolato in cima ad una piramide di spazzatura e lungo la strada il paesaggio non migliora di certo, cumuli di varie dimensioni di spazzatura vengono “smaltiti” dagli abitanti essenzialmente in due modi: o bruciandoli (liberando così diossina cancerogena) o cospargendoli di calce viva, sperando che questa soluzione ritenuta (credo) meno tossica possa avere effetto positivo sul problema. Lo scenario comunque è molto grave, io ignoro il motivo di tanta incuria, ma non sono certo “i napoletani” la causa, c’ è qualcuno che crede che abbiano nel DNA qualcosa che li porti a delinquere ed a essere sporchi, ognuno è libero di pensarla come vuole, ma io credo che se a Genova nessuno (per qualsiasi motivo) ci portasse più via la “rumenta” la nostra bellissima città sarebbe ridotta proprio come Napoli, ne più, ne meno, e sono sicuro che lo stesso succederebbe anche nella “capitale del nord”! Entrando in Napoli comunque, non si può non prendere un caffè no? Mi fermo davanti ad un bel bar, lego la bici dopo averla parcheggiata proprio davanti alla vetrina in modo da poterla vedere (pregiudizi, lo so, ma nella bici c’ è tutto quello che ho) e mi gusto un ottimo caffè fianco a fianco di un personaggio singolarissimo coperto di tatuaggi e piercing dalla testa ai piedi e con i capelli verdi alla “ultimo dei moicani” un po’ per questi motivi, un po’ perché sarà alto almeno 30 centimetri più di me non posso non notarlo. E’ una bella domenica mattina, il 3 di luglio, sono in viaggio da ormai più di 1000 km e le gambe rispondono positivamente all’ appello ogni mattina, sta iniziando però proprio in questi giorni un fastidiosissimo dolore alle ginocchia che purtroppo mi accompagnerà fino alla fine del viaggio (ne risento ancora un po’ adesso dopo un mese), quando mi infilo in tenda la sera non riesco a tenere le gambe piegate, devo cercare di stenderle lentamente e dormire supino, altrimenti man mano che mi raffreddo mi fanno sempre più male, è proprio una tortura che passa lentamente solo verso il mattino, quando devo risalire in bici sto bene ma purtroppo i chilometri sono ancora molti e ogni sera siamo punto e a capo, con un po’ di dolore in più. Devo dire che la cosa mi preoccupa un po’, ma stringo i denti e vado, anche perché una volta in sella dopo i primi 20 km circa, le gambe si scaldano e il dolore passa. Costeggio dunque il lungomare di Napoli che è proprio bello, anche perché ricorda molto Genova, solo più in grande! Via Caracciolo, la promenade di Napoli, un po’ la nostra Corso Italia, l’ unico punto pulito di tutta la zona, oggi chiuso al traffico e popolato da coppiette e da famiglie con i bambini che girano liberi in bicicletta, è proprio un bel momento: pedalo tranquillamente tenendo il mare sulla destra e gettando ogni tanto lo sguardo al Vesuvio. In questa isola pedonale mi sento rilassato, perché da quando sono entrato in Campania purtroppo devo rammaricarmi del comportamento degli automobilisti, che se di solito non è certo cortese nei confronti di noi ciclisti, qui è proprio barbaro: già da sempre da queste parti la precedenza non si rispetta, la si conquista suonando all’ impazzata e accelerando, sembra che le macchine siano impegnate anziché in un incrocio, in un torneo equestre del medioevo con tanto di lancia in resta, chi rallenta perde la “singolar tenzone” e di conseguenza il diritto a passare! Con noi faticatori del pedale poi non c’ è proprio pietà, oltre al coro di clacson al nostro passaggio o quando veniamo sorpassati (cosa che mi mette anche paura, non capisco mai perché suonino, se per inciviltà o per segnalarmi un pericolo reale, per fortuna è sempre valsa la prima ipotesi) spesso vengo avvicinato da automobili, gli occupanti delle quali, tirato giù il finestrino e dopo aver rallentato, mi coprono di insulti in dialetto, ritirano su il finestrino e si allontanano sgommando e suonando all’ impazzata, probabilmente per dimostrare il loro disprezzo nei miei confronti, reo di non essere un automobilista come loro! E’ proprio vero che l’ uomo dà il peggio di se al volante, si sente il padrone della strada, compra auto sempre più grandi (che poi circolano sempre con un passeggero a bordo) giustificando tali acquisti col fatto che hanno famiglia e serve spazio ecc... avevo una compagna di lavoro, Giuseppina, quando prestavo servizio in rianimazione che era sposata e con due figli, avevano la “A112” e sono sempre andati tranquillamente dappertutto, ma quella (che stupidi) era una famiglia felice che non aveva niente da dimostrare a nessuno e probabilmente le dimensioni del pene del marito erano normali e quindi non aveva bisogno di compensare con oggetti inutili! Comunque esco da via Caracciolo e inizia un tratto stradale ad hoc per il ciclista moderno: fondo stradale a lastroni di pietra dove ne mancano almeno due su cinque, alternato da sampietrini dove ne mancano almeno quattro su dieci... la bicicletta è tutto uno scossone, il ciclo computer sembra tarantolato, le sacche porta tutto ballonzolano sul portapacchi tintinnando, le ruote ad ogni giro di pedale rischiano di infossarsi nelle voragini della strada, riesco persino a perdere la cartina dalla sacca del manubrio, meno male che ogni tanto c’è un po’ d’ asfalto alla moda svizzera: sembra un gruviera! La velocità massima consentita è di 6KM/h! Farei prima e rischierei meno scendendo e spingendo la bici a mano, senza contare il coro di clacson e di insulti che imperversa al mio indirizzo. Non ne posso più, non vedo l’ ora di uscire da questo incubo (non sto scherzando purtroppo), arrivo a Portici e passo anche Ercolano e Pompei (che non è un verbo al passato) sempre in siffatte condizioni, quando arrivo a Torre del Greco non ne posso più, avrei tanto voluto vedere la costiera Amalfitana che so essere un posto meraviglioso, bello come le Cinque Terre, ma temo davvero per l’ incolumità mia e della bici, le strade fanno davvero schifo e sono strettissime incerti punti, temo veramente di cadere o di venire investito o tutte e due le cose, per cui seppur a malincuore lascio la statale 145 per imboccare la provinciale 14 verso Cava dei Tirreni. Pazienza tornerò a vedere questi posti che meriterebbero ben altra sorte con la macchina o con un altro tipo di mezzo, ma non certo in bici, peccato, devo anche girare prima di Castellammare così non posso nemmeno assaggiare uno dei suoi famosi biscotti! A Nocera inferiore vedo innalzato tutto il “Gran pavese”, la cittadinanza è in festa per la promozione in serie “B”, penso invece al dramma dei tifosi sampdoriani per l’ ingresso nella stessa divisione e non posso far a meno di riflettere su quanto possa essere strana la vita: la stessa cosa per alcuni è un dramma, per altri una festa, bisogna vedere il punto di partenza... Vabbè per fortuna la festa l’ abbiamo fatta noi così pareggiamo con gli abitanti di Nocera! Salgo verso Cava dei Tirreni e valico il Monte Caruso che porta il nome del grande tenore e del mio collega di lavoro, per fortuna la salita è ragionevole e subito dopo una bella discesa mi porta a Salerno, bellissima città, pulita e ordinata, in netta contrapposizione con Napoli, sembrano Alfa e Omega, se viste nello stesso giorno com’ è capitato a me, non sembrano nemmeno della stessa regione: una asfittica  e al collasso, l’ altra viva e in crescita! Non conosco ovviamente i perché dell’ enorme diversità, comunque complimenti alla giunta! Pedalo ora una cinquantina di chilometri lungo il mare in un alternarsi di leggeri sali scendi fino ad Agropoli, nel Parco naturale del Cilento, luogo meraviglioso peraltro molto simile alla Liguria, contraddistinto da colline aspre profumate di timo e di pino marittimo con visuali mozzafiato dall’ alto sul mare. In questo paesaggio meraviglioso giungo a sera, dopo 148km a Castellabate (per la precisione S. Maria di...) dove è stato girato il film “Benvenuti al sud” con Claudio Bisio, cosa della quale vanno talmente orgogliosi da aver inserito immagini con le scene del film nel cartellone indicante il nome del paese. 
Lunedì 4 luglio, festa dell’ indipendenza per l’ America, è per me un giorno di autentica battaglia: è il giorno nel quale ho sofferto di più, il Bracco, ormai lontano nella memoria dopo tanta strada percorsa, era un pallido allenamento rispetto a questo sali scendi nel Parco del Cilento. E’ come salire sul monte Fasce, per poi ridiscenderne a rompicollo, per poi risalirvi e così via per svariate volte ad una temperatura di oltre 30°. Meno male che il vero appennino è un po’ più distante, qui tutto sommato è un sali scendi lungo la costa, anche se mi sono spinto nell’ interno . Sono comunque contento perché sto vedendo posti meravigliosi, il cui ricordo, grazie alla bicicletta, porterò per sempre dentro di me, passo Pisciotta, bellissimo borgo arroccato sul cucuzzolo di una collina, passo tantissimi paesini di cui ho dimenticato il nome ma che scorrendo l’ itinerario percorso, con l’ aiuto di Google maps, mi tornano alla mente, mi rendo conto delle centinaia di posti che ho visitato, in cui sono passato e che mi hanno colpito per un motivo o per l’ altro, spero un giorno di riuscire a redigere un racconto più dettagliato e più “intimo”, che riesca a spiegare la moltitudine di sensazioni che si accavallano dentro di me e che qui, ora, per motivi di spazio non posso certo fare, mi dispiace mutilare così il mio racconto, ma forse se fosse più lungo non lo leggerebbe nemmeno nessuno, mentre vorrei che molte persone lo facessero, specialmente chi ama lo sport e potrebbe permettersi di affrontare esperienze come questa, che ti danno talmente tanto da non potersi nemmeno immaginare da chi non l’ ha vissuto, davvero! Voglio segnalare un fatto simpatico successo a Palinuro: il proprietario di un bar lungo la strada, dov’ ero entrato per prendere un caffè, come altre volte era successo, una volta sentito che avrei voluto mandare notizie a Genova, visto che la pagina di Facebook non l’ aggiornavo da Livorno, mi ha messo a disposizione il suo pc, mi ha offerto la consumazione e ha voluto gli indirizzi web dei siti che parlavano della mia avventura dimostrandosi molto interessato: anche a te grazie! Come puoi vedere ce l’ ho fatta! Siamo nel primo pomeriggio, mi aspetta ancora molta strada, esco dal bar con l’ aria condizionata per affrontare la seconda parte della giornata in un caldo feroce, senza un’ alito di vento, mi bagno la testa per provare un po’ di refrigerio come faccio spesso ma dopo pochi minuti è tutto come prima... e pedalo. 
Risalgo in collina dopo qualche chilometro, l’ ho detto: questa è stata la giornata più dura! Arrivo a Maratea, provincia di Potenza, con le gambe davvero stanche e come insulto finale, il campeggio è abbastanza distante dalla strada, è a Marina di Maratea, un posto abbastanza desolato che sta andando spopolandosi sempre più, anche qui pochissime tende e numerosissime piazzole vuote, comunque stasera non ho voglia di disquisire oltre e mi infilo in tenda. Però non riesco a prendere sonno, mi viene in mente Pietro, un bambino ricoverato da noi oltre venti anni fa che era originario di Carbone, il paese dov’ è nato Mango, il cantante, in provincia di Potenza. Mi viene in mente perché era davvero un caso molto particolare per svariati motivi, soprattutto perché il primo ricovero era durato un anno intero! Resto a lungo a pensare a lui, alla sua famiglia prima di addormentarmi. I chilometri oggi sono stati solo 141, ma per tanti motivi è stata la tappa più dura...
La mattina del 5 luglio inizia bene, le gambe sono un po’ intorpidite, ma oramai so che dopo i primi venti chilometri circa, iniziano a rispondere meglio. Pedalo seguendo il filo dei miei pensieri percorrendo il lungomare ed entrando in Calabria, non posso fare a meno di sentirmi inorgoglito e vicino alla meta, è l’ ultima regione dello stivale! Fa caldo, tanto! Per fortuna la strada si snoda pianeggiante e mi basta bere molto e inzuppare la testa nell’ acqua ogni tanto per resistere, l’ aria è secca, asciutta, nonostante la vicina presenza del mare non è afosa come qui in Liguria. Ripenso alla telefonata di alcuni giorni fa con la mia collega Santina, che mi ha riferito da parte di sua sorella che in Sicilia ci sono  40°! Non che qui si stia molto meglio in quanto a temperatura, e anche i giorni passati mi hanno fatto soffrire parecchio, ripenso al Parco del Cilento, dove pedalavo sotto un sole infuocato, senza acqua e senza un filo d’ ombra eppure ce l’ ho fatta. Ho imparato che la sera viene comunque e con la sera vengono il refrigerio e il riposo. Un ragazzo in moto col quale mi sono fermato a parlare per chiedergli un’ informazione, mi ha chiesto che senso avesse una vacanza così, dove sostanzialmente soffri tutto il giorno e non vedi l’ ora che venga il buio, per riposare e smettere di soffrire... Purtroppo non ho saputo spiegargli a fondo le sensazioni che si provano in un contesto simile: senz’ altro c’è la soddisfazione di riuscire nell’ impresa, che poi tanto “impresa” non è che lo sia, si può mollare tutto in qualsiasi momento e prendere il treno, si fa una figura un po’misera ma resta sempre la consolazione di averci almeno provato. Ma oltre l’ aspetto sportivo in se, c’ è un qualcosa che mi rende più soddisfatto, che rende più belle, più vere le cose che vedo, che vivo, solo se me le sono conquistate. Una volta da ragazzo ero in vacanza in Trentino (amo incondizionatamente la montagna) e con amici avevo preso la funicolare del Sass Pordoi, una volta in cima il panorama era di una bellezza incredibile, da togliere il fiato, poi, guardando in basso, ho notato due o tre (ora non ricordo) rocciatori che stavano arrampicandosi lungo la parete. Ne sono rimasto affascinato, non ho potuto fare a meno di guardarli fino che non fossero arrivati in cima e una volta arrivati, ho stretto loro la mano e mi sono complimentato. Avrei voluto provare quello che provavano loro guardando il panorama dopo esserselo “conquistato” col sudore della fronte, li guardavo negli occhi e ci leggevo una felicità enorme, di certo ben più grande di quella che provavo io, che essendo salito in funivia, dovevo limitarmi a guardare il panorama, più o meno come si guarda la cartolina di chi è stato in un posto meraviglioso, senza esserci però andati, sognandolo di notte, senza viverlo di giorno! Non potevo spiegargli quello che nemmeno io so capire, da tanto sia viscerale il concetto: forse l’ avventura non è vedere posti esotici o scalare montagne ripidissime che richiedono tecnica ed enorme forza fisica, forse l’ avventura semplicemente è provare a forzare la nostra irrazionale paura dell’ ignoto, provare a socchiudere il cancello che tiene chiuso il recinto della nostra mente, dove l’ educazione, le convenzioni sociali, politiche, religiose o quant’ altro ci hanno inquadrati e rinchiusi. Avventura è esplorare, anche l’ interno di noi stessi, è osare fare un passo in più verso l’ ignoto di quello che sarebbe consentito fare, sempre nel rispetto delle regole della convivenza civile, ovvio! Avventura è lo slancio teso a non farci morire dentro prima di quando non lo sia il nostro corpo biologico, avventura è vincere la paura! Avventura è inseguire la libertà in un mondo che ci vuole schiavi!
Dopo oltre 180 km di queste riflessioni, arrivo a Briatico, in provincia di Vibo Valentia che è ormai buio, piazzo la tenda in un campeggio che un tempo fu bello ma adesso è decisamente alla frutta, tanto che la mia è l’ unica tenda e la mattina seguente faccio caso al fatto che anche i bungalow sono tutti vuoti o quasi, forse è vero che l’ era del campeggio come lo intendo io sta morendo? Comunque dopo essermi lavato e fatto conoscenza con un rospo che si aggirava per le docce, mangio e mi infilo in tenda. Non ricordo nemmeno il nome del campeggio e la padrona fattomi un prezzo assolutamente irrisorio e forfettario fra piazzola e pizza non fa nemmeno l’ atto di farmi la ricevuta, ma non protesto, peggio di così, ci mancava solo farle una scena per la ricevuta...
Mercoledì 6 luglio è un grande giorno: Dopo un interminabile Sali scendi lungo il frastagliato litorale calabrese che mi fa lasciare sull’ asfalto un bel po’ di litri di sudore (siamo sugli 8/10 litri d’ acqua bevuti in un giorno, la maggior parte dalla borraccia e quindi tiepida), arrivo a Palmi, cittadina ben nota a noi tifosi rossoblu per aver dato i  natali a Spinelli, ex presidente del beneamato Grifone e ora presidente del Livorno calcio, ma per fortuna evidentemente non tutti gli abitanti di Palmi sono come lui, infatti dopo una bella salita (tanto per cambiare) di circa 6/8 km ora non ricordo bene, una volta arrivato in paese, entro in un bar-tabacchi-edicola e chiedo da bere, il proprietario, notata la bicicletta carica come un mulo, mi chiede da dove ne venissi e come era già successo a Palinuro, dopo aver sentito la mia storia, che ormai volgeva alla fine, mi offre da bere incitandomi a non mollare! Non male questi calabresi, davvero. Un altro aneddoto sulla loro gentilezza posso sintetizzarlo in poche parole: durante l’ attraversamento di una galleria piuttosto lunga, forse due chilometri ma potrei sbagliare, comunque non se ne vedeva la fine, per cui era davvero lunga, senza che me ne accorgessi mi si è spento il fanalino posteriore, ma io ovviamente non potevo saperlo, sento invece dietro di me il rombo di un camion che viaggia alla mia stessa velocità, cerco di farmi il più a destra possibile per farlo passare, ma lui niente, sempre incollato dietro, cerco di pedalare più forte che posso per uscire alla svelta da quella lunghissima galleria pensando che allora sarebbe passato, poi mi giro e vedo che procede alla mia stessa velocità con le frecce d’ emergenza accese per proteggermi dagli automobilisti che procedevano a tutta velocità incuranti del limite dei 60 km/h che oltrepassano allegramente. Quando si accorge che mi sono voltato mi indica il fanalino spento, mi saluta e finalmente, una volta all’ aria aperta, mi sorpassa continuando per la sua strada. Mi fermo e sistemo il fanalino perché in quella zona ci sono parecchie gallerie e intanto ripenso a tutto il male che la maggior parte degli automobilisti dice dei camionisti, mentre l’ unico che mi ha aiutato e protetto è stato proprio uno di loro! Non posso fare a meno di ripensare all’ arroganza dimostratami dai novelli Shumacher, tutti tronfi al volante delle loro auto, a tutti gli insulti lanciatimi dagli automobilisti semplicemente perché “reo” di guidare una bicicletta. Lo ripeto: l’ uomo da veramente il peggio di se stesso alla guida di una macchina! Comunque torniamo al barista di Palmi: ci salutiamo, gli do qualche opuscolo informativo e qualche adesivo di ADMO e riprendo a pedalare per l’ ultimo tratto di salita, circa due chilometri, poi sarà quasi tutta discesa fino a Villa S. Giovanni! Mi accorgo che sono in zona già da un bel po’ prima di esserci: mi sorpassano auto cariche e pullman di ogni tipo diretti ai traghetti “Caronte”, nome azzeccato per un traghetto che ti porta verso un caldo infernale! Arrivo all’ imbarco e sono proprio felice: mancano tre giorni al nove luglio e devo praticamente percorrere meno di trecento chilometri, ce la farei anche se dovessi pedalare solo mezza giornata! Mi informo sulle modalità di imbarco e scopro che per le biciclette l’ ingresso è gratis, che bello, dico fra me e me, peccato che l’ uscita dal porto di Messina sia a pagamento! Non mi è mai capitata una cosa simile, non potevano farmi pagare prima come hanno fatto con le macchine? Mi ricordo di uno spettacolo di Beppe Grillo quando raccontava che agli esordi della sua carriera, dove recitava lui c’ era il butta-dentro anziché il butta-fuori, perché non andava a vederlo nessuno! Mi viene davvero da ridere, chi li capisce è bravo. Comunque lungo la traversata mi rendo veramente conto che l’ avventura sta terminando davvero, quella che sembrava una meta, una volta (quasi) raggiunta, dopo averla desiderata per giorni e giorni, vorrei si allontanasse almeno di un po’per farmi vivere ancora queste meravigliose sensazioni fatte si di sofferenza e sacrificio, ma anche di panorami meravigliosi e soddisfazioni inimmaginabili. Vorrei che fosse qui con me il motociclista incontrato ieri, ora avrei ancora delle sensazioni in più da raccontargli per rispondere alla sua domanda. Questi tre chilometri di mare mi fanno capire quanto sia stato importante per me questo viaggio. Ripenso al Bracco, a Pisa, a Roma, dove mi sembrava di aver percorso un mucchio di strada e che ora vedo così lontana, al caldo torrido delle regioni del sud, ripenso ai disgraziati di Mondragone e Castel Volturno. Sembra quasi che questo brevissimo tratto di mare sia la linea di confine fra la libertà e il ritorno alla realtà di tutti i giorni e sento il cuore triste, ma ognuno di noi ha i suoi impegni sociali e civili, per cui è giusto affrontarli proprio come si affronta un’ avventura! 
A Messina cerco un’ agenzia di viaggi per fare il biglietto Palermo-Cagliari e la trovo senza troppa fatica, faccio il biglietto e mi dirigo verso il campeggio in un traffico micidiale come mai mi sarei aspettato, sono le cinque del pomeriggio circa e l’ ora di punta è davvero di punta da queste parti! Trovo facilmente il campeggio e devo riconoscere che è sicuramente il migliore che abbia trovato da quando sono partito, piccolo, organizzato, pulito e con connessione wireless in tutto il suo comprensorio, il campeggio ideale per mio figlio! Mi registro alla reception e un ragazzo gentilissimo mi consegna prima di tutto una cartina dettagliata della Sicilia con evidenziati tutti i campeggi, che sono moltissimi, ed i luoghi da visitare, poi mi descrive i servizi del campeggio e sotto mia richiesta mi indica una pizzeria sulla spiaggia, proprio davanti allo stretto. La serata è da brividi sulla pelle: vale da sola i 1876 km di fatica patiti: sono seduto ad un tavolo sulla spiaggia, davanti allo stretto, col profumo del mare portato da una brezza tiepida e dolcissima, davanti a me la costa calabrese illuminata sembra vicinissima e contemporaneamente così lontana, è l’ Italia, intesa come penisola, è una sensazione strana, non so se riesco a spiegarla: quando sono in Sardegna, so benissimo di essere su di un’ isola, ma non vedo assolutamente nessun tratto di costa, è come affacciarsi sul mare a Genova o in qualsiasi altro tratto di mare, ma qui, avere la terra ferma così vicina, da l’ illusione di essere sulla riva di un lago, non di fronte al mare, eppure quel profumo salmastro non mente: se chiudi gli occhi sai benissimo di essere in riva al mare. Queste sensazioni contrastanti creano in me che non sono abituato a viverle, un effetto contraddittorio e bellissimo. Lo ripeto: 
la serata è davvero da brividi sulla pelle, affascinante, non andrei mai a dormire, rimango a lungo a passeggiare lungo la costa, su e giù, un passo dopo l’ altro, con calma, gustando fino in fondo questa sensazione meravigliosa. Al mattino, dopo una notte nella quale ho dormito davvero poco, un’ altra gradita sorpresa riservatami dal campeggio “Torre del faro”, vale la pena menzionarlo perché se lo merita davvero: l’ interessamento ad ADMO è superiore alle aspettative, l’ incaricato della direzione mette i depliant in bella mostra e promette convinto di fare proseliti.
Inizio a pedalare lungo la costa in un saliscendi assolutamente accettabile, tutto bene a parte il caldo che è davvero opprimente, meno male che ogni tanto trovo una sorgente lungo la strada alla quale rinfrescarmi e dissetarmi, ogni tanto salgo un po’ allontanandomi dal mare, per poi ritornarvi pochi chilometri dopo, seguendo la statale che collega tutti i vari paesi è normale che la strada segua un itinerario variegato al contrario dell’ autostrada che fila dritta e veloce, almeno per le auto. Verso l’ una del pomeriggio la statale 113 devia decisamente verso l’ interno, mentre la provinciale entra in paese, indeciso su quale fosse la via migliore decido di proseguire per la statale a scanso di errori e dopo qualche minuto inizio a salire arrampicandomi su un colle che non promette nulla di buono. Continuando a pedalare intravedo nella foschia dovuta al gran caldo quello che sembra essere un santuario o qualcosa del genere, decido di non affrontare passivamente la salita, ormai so bene che dopo ci sarà una corroborante discesa, per cui mi alzo in piedi sui pedali e spingo più che posso, voglio anche vedere a che punto sono le mie gambe, spingo sui pedali, spingo e le gambe reagiscono bene nonostante la salita, mi aggrappo al manubrio in un bagno di sudore, saranno circa 40° ma ormai ho deciso così e basta! Inizio a vedere abbastanza nitidamente il monastero, che poi scoprirò essere la Madonna di Tindari (la madonna l’ ho vista davvero anch’ io in quella salita!) sento sotto di me il telaio della bici che scricchiola ad ogni pedalata, ho una sete come mai prima, ho un fiatone da locomotiva a vapore, ma alla fine la cima arriva e con essa un paesaggio meraviglioso mi ricompensa della fatica. Scendo verso Patti che avevo promesso di salutare alla mamma del mio collega Marco e proprio nel centro del paese mi fermo in un bar a bere qualcosa di fresco. Vedendo il barista anziano provo a raccontargli la storia dei genitori del mio collega, emigrati a Genova tanti anni fa, sperando segretamente che il fato volesse che si conoscessero ma invano, d’ altra parte Patti non è così piccola da potersi conoscere tutti. Pazienza! A pomeriggio inoltrato arrivo a Castel di Tusa dopo 167 km, memore degli errori commessi decido di fermarmi qui, un po’ perché ormai è quasi sera, un po’ perché non so quanto potrebbe distare Cefalù dove troverei il prossimo campeggio e un po’ perché ormai Palermo dista circa 100 km e mi mancano ben due giorni alla partenza del traghetto! Questo angolo di paradiso meriterebbe un discorso a se, in primo luogo per la bellezza del posto ed in secondo luogo per la gentilezza del cuoco del piccolo ristorante al suo interno e di suo figlio, studente di architettura che durante la serata mi ha disegnato una pianta della città di Palermo con tutti i posti di interesse architettonico da visitare evidenziati. Altra sorpresa al mattino, quando al momento di pagare il campeggio, una volta sentita la storia di ADMO non solo non ne hanno voluto sapere, ma sono loro che mi hanno ringraziato per essere stato li! Lascio loro un bel po’ di gadget e parto alla volta di Palermo.
Pedalo con la tranquillità di chi ormai è giunto alla meta o quasi, passo Cefalù che trovo davvero bella e noto che lungo la strada si scorgono dappertutto rovine che penso essere sia greche che romane, non posso avvicinarmi ad ognuna, non ne avrei il tempo e comunque mi riprometto di tornarci, la Sicilia, almeno in questa parte di costa è veramente bella, mi immagino quali bellezze possano riservare posti come la “Valle dei templi” di Agrigento o altri posti che di sicuro prima o poi visiterò alla faccia di tutti i pregiudizi leghisti e non! Arrivo a Palermo a metà pomeriggio, passo davanti al porto turistico, piccolo ma molto bello, con le sue barche a vela ormeggiate in ordine, per poi arrivare al porto traghetti, da cui domani partirò per Cagliari. Già che ci sono prendo informazioni su dove dovrò imbarcarmi  in modo da evitare errori, bisogna sempre tener conto che pochi minuti in macchina possono essere ore in bicicletta, per cui specialmente se hai un orario da rispettare meglio andare sul sicuro! Passo Palermo senza entrare nel suo centro e dopo una bella pedalata lungo il parco della Favorita e oltre, per una dozzina di chilometri circa passato il porto di Palermo, raggiungo Sferracavallo, la mia meta per l’ ultimo campeggio siciliano. Devo confessare la mia ignoranza: non avevo mai sentito nominare questo piccolo centro balneare che mi ricorda un po’ Palau in Sardegna, scopro sul posto che è famoso per i menù turistici a base di pesce a prezzi irrisori, se paragonati ai nostri di Genova. Sul lungomare non ci sono altro che ristoranti, alcuni dei quali esibiscono le foto di personaggi famosi che hanno mangiato da loro. A questo punto basta barrette e pizze per incamerare carboidrati, mi siedo a tavola rigorosamente sul mare all’ aperto e una volta avvertiti amici, colleghi e conoscenti che ce l’ ho fatta ed è andato tutto bene, mi scateno in un orgia di cibo sbranando un antipasto di mare che da solo valeva un pranzo, linguine allo scoglio, risotto ai frutti di mare, frittura mista di pesce e poi dolce, brioche con gelato... non riuscivo più a smettere di mangiare, anche alzatomi dal tavolo e lasciato il ristorante cercavo (senza faticare troppo a trovarle) pasticcerie dove assaggiare cassate, granite e cannoli! Credo veramente di aver mangiato per quattro! Appena arrivato a Sferracavallo, mi sono pesato nella bilancia di una farmacia notando che durante il viaggio avevo perso la bellezza di sei kg! Ma certamente almeno uno l’ ho ripreso subito. Vado nel campeggio a tarda sera, ormai sono un turista, ed entro in tenda a riposare, meditando sulla giornata di domani che mi vedrà turista in Palermo.
9 luglio: il giorno tanto atteso e tanto temuto è arrivato. Avrei voluto dormire un po’ di più ma questo campeggio offre poca ombreggiatura e il caldo si fa subito sentire dalle prime ore del mattino, per cui carico la bicicletta e vado alla reception per pagare il conto (8 € il più parco di tutto il viaggio), anche qui i ragazzi che lo gestiscono sono interessati al mio progetto e mi assicurano che faranno buon uso del materiale divulgativo. Non indosso più i pantaloncini da ciclista, mi sono infilato un paio di bermuda, tanto dovrò percorrere poco più di 10 km e poi potrò passeggiare per il centro più liberamente, pedalo con calma fino al centro di Palermo dove incontro una ragazza in motorino che gentilmente mi accompagna alle catacombe dei cappuccini, prima tappa del mio tour stando alla mappa tracciatami due sere prima a Castel di Tusa dallo studente di architettura nel campeggio. Appena arrivato all’ ingesso delle catacombe, un ragazzo palermitano finto rumeno si offre per due euro di guardarmi la bici, li per li mi fido poco, ma una volta pagato l’ ingresso, il frate mi rassicura che è un bravo cristo che si guadagna così da vivere, perché si finga rumeno non lo capisco, comunque all’ uscita la bicicletta la trovo intatta! Le catacombe sono molto interessanti anche se personalmente le trovo di dubbio gusto con tutte quelle mummie essiccate appese per il collo alle pareti, ma a giudicare dalla folla pare attirino molti turisti da tutte le nazioni. Ultimato il giro torno di nuovo alla luce del sole e con l’ aiuto della mia mappa e di una cartina di Palermo regalatami da un cicloturista di Vicenza nel campeggio di Sferracavallo mi avvio verso le bellezze architettoniche della città. Ho conosciuto questo cicloturista proprio mentre stavo andando via, ci siamo presentati e li per li avevo creduto che venisse da Vicenza in bici, poi mi ha spiegato che è arrivato fino a Villa San Giovanni in treno e piano piano, fermandosi due o tre giorni in ogni posto sta girando l’ isola. Bello e rilassante, ma non fa per me, se avessi tenuto il suo ritmo anziché dodici giorni ce ne avrei messo almeno sessanta! Palermo è una città bellissima, ricca di monumenti che parlano delle varie dominazioni subite, è una città viva e vitale, forse troppo caotica a causa dell’ enorme numero di turisti che la visita, molti in carrozza, molti a bordo di “api calessino” della Piaggio, dei taxi a tre ruote aperti ma con la copertura di un tendalino per ripararsi dal sole, come si usano in India, non ne avevo mai visto dal vero, qui invece ne è piena la città. Lego la bicicletta ad un’ inferriata davanti al palazzo comunale di Palermo e a piedi mi avvio alla conquista della città: vedo la Porta Normanna, il Teatro Massimo, Porta Felice, attraverso la quale in pomeriggio arriverò al porto, la Cattedrale, S. Domenico e un’ infinità di altri posti, fino a quando, verso l’ una mi sparo un panino con la milza (lo so, fa un po’ schifo l’ idea ma tutto sommato è buono) da Franco “u’ vastiddaru” che dicono essere quello che lo fa meglio. Mentre sono li all’ ombra a consumare il mio panino “dietetico”noto una carrozza parcheggiata sotto il sole col cavallo legato ad un palo, poveraccio non vorrei essere nella sua pelle, fa un caldo che ti schiaccia per terra come una mano pesante che ti faccia pressione sulla testa, mi fa una pena indicibile, per fortuna il padrone lo porta via subito. Visito il mercato di Ballarò, che da il nome alla trasmissione televisiva condotta da Floris, nome  azzeccatissimo in quanto si tratta di un mercato multietnico molto grande, dove senti parlare tutte le lingue e tutti i dialetti, molto colorato, molto folcloristico, è stato veramente istruttivo attraversarlo, che posto incredibile, con 80 centesimi prendi un caffè e un cornetto, per noi di Genova è una cosa mai vista, ma in tutto il sud ho visto prezzi incredibili riferiti alle cose più svariate, mi viene in mente ad esempio il prezzo dei bagni al mare: otto euro (OTTO!) parcheggio custodito tutto il giorno, un ombrellone e due lettini prendi sole... in QUEL mare, non a Punta Vagno fianco a fianco dello sguaragalusci! Altra cosa che ho notato a Palermo, non per fare polemica, è che sono stati i vigili stessi a suggerirmi di usare le corsie degli autobus perché più sicure in quanto meno trafficate, proprio come a Genova (sigh)! Ho guardato attentamente e non ho visto in tutta la città nemmeno una telecamera sulle corsie preferenziali, le moto possono usarle tranquillamente appunto perché più sicure, non sono una vile fonte di lucro per il comune come da noi qui in Padania, dove installiamo persino i semafori “truccati”col giallo che dura due secondi per beccare gli automobilisti a passare col rosso e poi chissenefrega se succedono gli incidenti, l’ importante è fare cassa! Ma intanto il tempo passa, le cinque del pomeriggio si avvicinano e mi dirigo verso Porta Felice verso il porto traghetti. Mentre mi avvicino al porto riesco a bucare ben due volte, non ho più camere d’ aria e domani è domenica! Pazienza, arrivo comunque al traghetto dopo aver montato una camera d’ aria rattoppata da me e mi imbarco alla volta di Cagliari.
Quindici ore sono lunghe da passare, ripenso al mio viaggio, e devo ammettere che la malinconia ha preso il sopravvento sulla gioia per aver portato a termine l’ impresa di arrivare a Palermo in tempo per prendere il traghetto, addirittura con un giorno di anticipo. Seduto comodamente sul divanetto nel bar della nave, con le cuffiette nelle orecchie, ripenso al mio viaggio appena conclusosi, a cosa volesse veramente dire per me. ADMO è una cosa bellissima, un’ idea  che ho portato avanti con gioia, ma di partire l’ avevo già deciso prima, ed era un’ idea che mi allettava e mi spaventava insieme. Curiosamente ripenso al film “Easy rider”che esprime chiaramente la cultura del mondo hippie di fine anni '60: i protagonisti sono malvisti dalla gente comune per il loro aspetto, il loro modo di vestire, di vivere e di comportarsi, pur essendo persone non violente che vanno per la loro strada senza creare fastidi; sarà proprio per l'ignoranza, la paura del diverso e di chi è realmente libero, come annunciato pubblicamente anche dagli stessi protagonisti durante il film, che verranno uccisi. Ricordo la scena iniziale del loro viaggio, quando Peter Fonda getta via l’ orologio che ormai non ha più senso di essere. Ero un ragazzo allora, ma quanto mi aveva impressionato quel film, ricordo che il sottotitolo era “libertà è paura” ed ho riscontrato che la libertà di pensiero, di azione, l’ essere fuori da canoni prestabiliti, genera davvero incomprensione nella migliore delle ipotesi e astio o paura del “diverso” nella maggior parte dei casi. Come canta il grande Francesco Guccini in “Canzone di notte N. 2”- Ma i moralisti han chiuso i bar/ e le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori:/  è bello ritornar “normalità”/ è facile tornare con le tante stanche pecore bianche!/ Scusate non mi lego a questa schiera:/ morrò pecora nera! 
Questa in fondo è un po’ la mia morale di vita, preferisco la bicicletta al “suv”, ammirare un panorama dopo aver faticato ore per raggiungere la cima, anzichè usare la funivia, dormire in sacco a pelo sotto la neve con piumino e scarponi ai piedi, piuttosto che nel letto morbido di un albergo. Se non soffrissi per rimanere vivo, almeno qualche volta, mi sentirei già morto dentro.
Domenica 10 luglio: la bicicletta mi da il buongiorno con l’ ennesima camera d’ aria sgonfia e adesso non ne ho proprio più, nemmeno rattoppate da me, le ho esaurite tutte durante il viaggio e non sono riuscito a comprarne altre. Per fortuna la stazione del treno è vicinissima al porto, per cui spingo fino li la bicicletta e guardo quando c’ è il primo treno per Olbia. Sono circa le otto e il primo treno non partirà prima delle undici e mezza, per cui non mi perdo d’ animo e chiedo informazioni su dove posso trovare delle camere d’ aria la domenica mattina. Dopo aver consultato qualche persona una più all’ oscuro dell’ altra sull’ argomento, scopro che a poca distanza c’ è un ipermercato fornito di tutto, compresi articoli sportivi. Prendo l’ autobus e una volta raggiuntolo, scopro che nel “tutto” non erano comprese le camere d’ aria che servivano a me. Mi secca proprio passare una giornata e una notte a Cagliari aspettando che venga lunedì per poter acquistare quello che mi serve, avevo anche promesso ai miei parenti di rinunciare alla risalita della Sardegna per stare due o tre giorni con loro, ma almeno gli ultimi chilometri da Olbia a casa volevo farli pedalando, ma non a costo di perdere un giorno intero a Cagliari, per cui telefono a mia cugina Annalisa per chiederle se fosse a conoscenza di qualche servizio pullman che da Olbia porti a Luras, il mio paese “che sta sulla collina disteso come un vecchio addormentato”come cantava Josè Feliciano. Scopro con piacere che appena arrivato ad Olbia, proprio davanti alla stazione c’ è il capolinea delle corriere che accetta anche biciclette come bagaglio. Pazienza per il restante viaggio, l’ importante è stare almeno qualche giorno con i miei a questo punto, per cui salgo sul treno (dopo l’ ennesimo tentativo di riparare la camera d’ aria durante l’ attesa) e inizio la risalita dell’ isola in ferrovia. Durante il viaggio, con mia grande sorpresa ad onor del vero, ricevo la telefonata di mio zio Francesco (il padre di mia cugina Annalisa) che mi ordina perentoriamente di aspettarlo alla stazione di Olbia perché sarebbe venuto lui a prendermi! Un po’ mi dispiaceva, in fin dei conti ha passato i ’70, ma nell’ ottica di risparmiare tempo a questo punto andava benissimo, mio zio è sempre stato disponibilissimo con noi in famiglia, soprattutto con mio papà che non avendo la macchina, ogni volta che arrivava ad Olbia col traghetto si trovava in difficoltà, specialmente negli ultimi anni, quando era ormai “molto anziano” come si definiscono oggi eufemisticamente i vecchi e mio zio spesso è accorso in suo aiuto come in questo caso è accorso in mio! Naturalmente in macchina mi ha dovuto fare un po’ di ramanzina sul fatto che ormai, a 52 anni queste cose non si fanno più, che io non voglio accettare il tempo che passa e mi comporto come se fossi ancora un ragazzo... Cavolo! E se avesse ragione lui? Se soffrissi di “sindrome di Peter Pan”? Belin, vuoi vedere che un artigiano del sughero ormai in pensione, mi ha fregato in barba a tutte le disquisizioni filosofiche che mi hanno martellato la testa per tutto questo tempo? La saggezza popolare, eh? Altro che il baffone e la sua teoria del superuomo! Scherzo ovviamente, sento aria di casa, il paesaggio aspro e asciutto che mi è tanto caro e famigliare mi rilassa, in macchina con mio zio entra dal finestrino il profumo del mirto e del sughero, della campagna del nord della Sardegna, la sua aria così leggera e pulita, col suo cielo azzurro, limpido e senza smog che ti permette di vedere fino a distanze enormi, da un nuraghe all’ altro, come 4.000 anni fa, quando per avvertire le popolazioni isolane di un eventuale attacco via mare, bastava accendere un fuoco sulla sommità di uno di loro, perché in breve tempo venisse messa in allarme tutta l’ isola.
Arrivo in paese, scarico la bici dalla macchina, saluto e ringrazio mio zio, suono il campanello di casa mia che è proprio di fronte alla sua e mi viene ad aprire mia zia, ovviamente accompagnata da Sheela, il cane più brutto che abbia mai visto ma che lei ama e vizia come una figlia. Cosa dire ancora? Ho già scritto  tanto, forse troppo, a questo punto rischio di diventare melenso e nostalgico, ma quella è una casa che riconoscerei ad occhi chiusi, basterebbe l’ odore da quanto la conosco bene: era la casa dei miei nonni, che ho conosciuto sin da bambino piccolo, con i suoi muri in granito e i suoi intonaci imbiancati a calce, è la casa dov’ è cresciuto mio papà prima di venire a Genova, dove si è sposato e che aveva fatto ristrutturare sperando di trascorrere li i suoi ultimi anni di vita. Quante volte mi è venuto in mente mentre pedalavo, penso che avrebbe avuto paura per me se fosse ancora vivo, mi avrebbe detto più o meno le stesse cose che mi ha detto mio zio Francesco e non avrebbe dormito per tutta la durata del viaggio, però sotto sotto sarebbe stato orgoglioso di questa ennesima pazzia di quel figlio mezzo matto che si ritrova. Mi piace chiudere questo racconto di viaggio pensando a lui, mi vengono gli occhi lucidi adesso mentre scrivo, forse la vera avventura è l’ amore... Ti dedico questo viaggio papà.

6 commenti:

  1. che dire hai fatto un viaggio interessante sia per i paesaggi,per la tenecia che per admo.ti invidio un po' per la tua testardaggine"devo farcela"e ci sei riuscito.complimenti di cuore e un bacione atleta!tua vecchia amica lidia

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  2. Ma che bello.... gli stessi pensieri la stessa strada da nord a sud io a piedi e tu in bici, tutti e due testimonial ADMO..... ma sei mio fratello? FRATELLO!!!!

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  3. ciao giulio:sei stato in gamba,perche' hai portato la tua"idea"in giro lungo tutti quei km.Anch'io sono d'accordo con te nel doversi conquistare le mete(stesso pensiero arrivare sul bianco con la funivia).BRAVO BRAVO,e non mollare finche' TESTA e GAMBE sono con TE.Andrea

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  4. Ciao a tutti, grazie dei complimenti, ma purtroppo mancano circa 7/8 pagine, secondo me le più belle, ci dev' essere stato un disguido col sito di Paolo, lo avviserò per rimediare!

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  5. completato il racconto di Giulio aggiungendo la parte che mi ero dimenticato di inserire il viaggio dal 9 Luglio ad arrivare in Sardegna

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  6. Bravissimo Giulio,a dispetto del tempo che passa se viene quella febbre di andare è perchè si è vivi!!!La nostra fortuna è di star bene e l'energia che sostiene arriva inesauribile dal centro di noi stessi...bravo ancora BRAVO!!!

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