di Paolo Pelloni
Buongiorno Anna, e innanzitutto complimenti per la tua prestazione a Chicago, dove hai chiuso in 2h58'03" come prima donna italiana e unica sotto le 3 ore! Raccontaci un po’ del percorso che ti ha portato a questo traguardo.
Buongiorno, Paolo, grazie mille per i complimenti! Cerco di fare un riassunto per rendere l'idea di quello che è stato questo viaggio. Come atleta della Podistica Peralto, ho sempre puntato su obiettivi ambiziosi, e completare le sei major è uno di questi., e tutto è iniziato nel 2018 con la mia prima maratona a New York. Allora non ero ancora sposata, ma Michel ha deciso di condividere il mio sogno e di correre con me. La prima maratona è speciale e indimenticabile, anche se per me fu davvero faticosa: non l’avevo preparata come si deve e avevo anche problemi muscolari. È stato un incubo, ma sono riuscita a chiuderla in 3 ore e 15 minuti, ed ero comunque soddisfatta. Dopo quella prima esperienza, abbiamo dovuto prendere una pausa per via del COVID, poi ci siamo sposati e nel 2021 è nato nostro figlio Samuele, quindi le maratone erano state messe in secondo piano. Dopo il parto ho ripreso con distanze più corte e, sentendomela di nuovo, sono tornata alle maratone per riprendere il sogno delle major. Abbiamo ricominciato nel 2023 con Berlino, dove sono riuscita a chiudere in 3 ore e 5 minuti. Ero felicissima, anche se avevo avuto un problema al polpaccio il mese prima. Sei mesi dopo è arrivata Londra, dove ho finito in 3 ore e 31 secondi: una beffa, ma comunque un tempo che mi rendeva contenta.
Quindi, dopo Berlino e Londra, la sfida successiva è stata Chicago. Come ti sei preparata per questa maratona?
Per Chicago ho cambiato leggermente l’approccio rispetto alle preparazioni precedenti. Ho inserito molte più ripetute lunghe, con distanze di 2000, 3000, 4000 e anche 5000 metri. Alcune le facevo a ritmo gara, altre al ritmo di Michel, che è più veloce del mio, e questo mi ha aiutato molto a impostare mentalmente il ritmo della gara, che all’inizio mi sembrava intimidatorio. L'idea di fare 42 chilometri a un ritmo di 4’10" mi spaventava un po', ma vedere che riuscivo a tenere anche ritmi più bassi nelle ripetute lunghe mi ha dato sicurezza.
Oltre agli allenamenti specifici per la corsa, ho anche affiancato un lavoro di rinforzo muscolare in palestra, per il quale mi sono affidata al MT LAB (Medical Training Lab) di via Cecchi a Genova. Sono stati preziosi nel seguirmi con un programma mirato, e ora collaboro anche con loro per il coaching nel running. Già per Berlino e Londra avevo iniziato questo tipo di preparazione muscolare, ma sentivo di avere acquisito maggiore abilità e controllo negli esercizi. Mi sono sentita più solida sia muscolarmente che mentalmente, e durante la gara non ho mai avuto quei momenti di cedimento che spesso patisco nei chilometri finali.
Mi hai raccontato di un episodio in cui hai corso con Antonio Bisignani per una parte della gara. Puoi parlarcene?
Certamente! I primi venti, ventiquattro chilometri li ho corsi insieme ad Antonio Bisignani (Team 42195), che è stato davvero carinissimo. Aveva impostato un buon passo e stava con me. Verso il ventesimo chilometro, però, ho notato che cominciava ad andare un po' più lento. Al ventiquattresimo gli ho chiesto se volesse che gli tirassi io il ritmo, magari era stanco. Invece lui mi ha detto chiaramente che doveva rallentare per forza e che io dovevo pensare alla mia gara. A quel punto ho aumentato un po’ il ritmo per recuperare quei chilometri corsi a 4’15", poi mi sono stabilizzata su un passo di 4’10" - 4’12" e sono andata avanti come ti ho descritto prima. È stato un bel momento e mi ha aiutata a mantenere la concentrazione fino al momento di spingere di più.E in gara come hai gestito la tensione e la fatica nei momenti critici?
Sono arrivata alla partenza con una grande sicurezza nella preparazione fatta e negli allenamenti. In una maratona possono sempre succedere imprevisti, ma io sentivo di avere la possibilità di scendere sotto le tre ore e puntavo alle 2 ore e 58 minuti. La forza mentale è stata fondamentale, credo che la corsa mi abbia aiutata a sviluppare un’autostima e una consapevolezza di me stessa che sono stati elementi chiave a Chicago. Dall’inizio alla fine della gara, non ho mai smesso di ripetermi “ce la faccio”. Di solito soffro tanto tra il trentacinquesimo e il trentanovesimo chilometro, ma questa volta è stato diverso. A un certo punto mi sono resa conto di poter persino variare i muscoli che usavo, a seconda di come mi sentivo più o meno affaticata. È stato incredibile: ero talmente rilassata che a tratti mi sono messa a cantare e muovere la testa a ritmo della musica. Quando sono arrivata agli ultimi due chilometri, ho fatto un mini calcolo e ho pensato che avrebbero dovuto "spararmi alle gambe" per non riuscire a scendere sotto le tre ore.
Hai accennato a un episodio in cui hai provato a seguire un’altra atleta. Com’è andata?
Sì, esatto! Negli ultimi chilometri ho provato a seguire una ragazza americana che viaggiava leggermente più veloce di me. Ho cercato di attaccarmi a lei, ma poi mi sono resa conto che sarebbe stato rischioso. Non volevo arrivare alla fine distrutta, anche perché sapevo che ci aspettava un tratto in salita. Ho mantenuto il mio ritmo e ho chiuso la gara in 2 ore, 58 minuti e 3 secondi, con un urlo liberatorio e un pianto finale. È stata una delle emozioni più grandi che abbia mai provato durante una gara.
Il percorso di Chicago com’è stato? Ti sei trovata bene?
Per me è stato perfetto! Molti stradoni lunghi senza eccessivi cambi di direzione, il che mi aiuta a rilassarmi mentalmente e trovare un buon ritmo. Ho potuto “disconnettere” la testa, un aspetto che mi permette di lasciare correre le gambe e di “vagare” nei miei pensieri, come dico sempre. Il clima è stato ideale, e per fortuna non c’era vento, che è un rischio a Chicago. La giornata era leggermente coperta, quindi niente sole battente: il clima perfetto per me, che non soffro il caldo. Certo, c’è stata un po’ di confusione ai ristori, specialmente nei primi, ma sono riuscita a prendere l’acqua e i gel senza problemi. C’erano solo un paio di salite leggere lungo il percorso, oltre alla famosa salita finale di 400 metri, che potevano anche evitare, ma a quel punto ero troppo “gasata” e volavo. Alla fine mi sono accorta di quanta gente era esausta, molti crollavano a terra nell’ultimo tratto.
Oltre alla corsa, so che hai intrapreso anche un percorso come allenatrice. Quanto ha inciso questo sul tuo modo di prepararti?
Sì, esatto. Lavoro come logopedista, ma da quando è nato Samuele ho avuto più tempo per approfondire anche la corsa. Ho preso il brevetto CONI di terzo livello e quello FIDAL di primo livello, e ora alleno anche altre persone. Allenare mi ha dato una consapevolezza più profonda della qualità degli allenamenti e mi ha fatto crescere sia come atleta che come persona. Sentire di poter trasmettere ad altri ciò che ho imparato mi ha dato una fiducia e una consapevolezza di me stessa che sento di aver portato anche nella mia preparazione per Chicago.
Parlaci del supporto di Michel e della tua famiglia in tutto questo. Quanto conta per te?
Michel è stato un pilastro in questi anni. In settimana ci alleniamo la mattina presto, io alle cinque e lui alle sei, e poi la domenica riusciamo a correre insieme. Senza di lui, molti allenamenti sarebbero stati impossibili da fare. E devo ringraziare anche i nonni, che si prendono cura di Samuele quando siamo fuori a correre. Senza di loro, non avremmo potuto portare avanti questo progetto delle sei major.
E ora, qual è il prossimo obiettivo?
Il prossimo è Boston, ad aprile! So che sarà più difficile di Chicago per via del percorso, ma quei “due” davanti al cronometro fanno gola, quindi ci proverò sicuramente.
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