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Belforte 2011 di Elisabetta Iurilli
Tutti lì quelli del popolo podista indomito che anche ad agosto reclama la sua voglia di gare … tutti in quel paesino all’uscita dell’A 26, di cui intuisci la bellezza, ma dove non ti soffermi a fare visita al piccolo centro o ai boschi, perché è un paesino sulla via … sulla via del supermercato, sulla via del più grande centro prossimo, quello di Ovada, sulla via del distributore dove la benzina costa meno che in Liguria …
Era la prima volta che vedevo Belforte da vicino, non di passaggio, e non per fermarmi al campo dove fanno
la fiera delle troffie al pesto.L’anno scorso non avevo partecipato alla gara, ma i resoconti erano stati pittoreschi. “Quanto si sale…” “Strappi durissimi …” “La più dura delle serali piemontesi”. La fama del percorso probabilmente aveva fatto oggi da richiamo a certi elementi che vedo solo in gare dove fatico come una dannata. Vederli schierati in partenza per me è condanna annunciata.
Eppure sono proprio le prove più impegnative quelle che danno più soddisfazione, quelle che quando le termini ti senti più appagato e l’autostima cresce.
Partenza su asfalto, curva in discesa e si è subito a costeggiare per un breve pezzo l’autostrada. Il piccolo plotone colorato attira subito l’attenzione dei camionisti e di alcune auto in transito ed è subito un susseguirsi di strombazzamenti e di nostre risposte scomposte. Poi iniziamo a salire sullo sterrato, uno strappo tutto sommato gestibile nel verde che ci immette nel cuore del paese. Bellissimo ma tutto in salita, viuzze strette, caratteristiche, case i cui muri terminano in ciotole di fiori, si sentono i profumi della cena … e la chiesetta da cui spunta una figura familiare “Ciao!” urlo a don Roberto, ma chissà se mi ha riconosciuto, da tantissimo non lo vedo, e forse l’ultima volta ero vestita con un lungo abito bianco, altro che pantaloncini e canotta!
Se non fossimo in Piemonte direi che seguivano creûze, ma il termine qui è inappropriato a descrivere strade di acciottolati a gradini larghi che salgono ripide a togliere il fiato.
Attraverso la strada aiutata dal vigile urbano che ferma il traffico e poi vedo quello di cui Claudio mi ha parlato con orrore : il pezzo in cemento. E’ l’inizio di un sentiero in un bosco, in pendenza quasi verticale, somiglia più a un muretto di contenimento che ad un pezzo di strada. Per superarlo mi conviene prendere un po’ di rincorsa. E’ fatta. Il mostro immaginario dei racconti degli amici è vinto, ora inizia il bosco. Che sale col suo bel sentiero ben delineato, con i suoi tratti scivolosi, quelli insidiosi, col suo profumo di pini, di selvatico, di natura viva. Ombra scura e fredda quando intorno è tramonto luminoso e caldo. Fatico, sudo, in quel salire che sfianca le gambe, e toglie il fiato, in quello scendere in curve strette ripide e pericolose che affronto troppo timidamente, da persona prudente e impacciata, non sfrontata come si dovrebbe in certe situazioni.
I boschi intorno a Belforte, quelli del percorso di gara sono bellissimi. Alberi alti che si innalzano a toccare il cielo, fronde di un verde accesissimo, tutto profuma intorno, tutto è magico.
All’uscita un pezzo di asfalto in leggera salita, poi il regalo annunciato di quasi tutte le gare serali in questa terra di confine, la corsa tra le vigne, la vista sui grappoli non ancora maturi, ma che promettono bene, il segno dell’uomo, il lavoro del contadino, il frutto del suo sudore.
Termina l’anello, di nuovo costeggiando l’autostrada, poi l’arrivo mentre tutto intorno si sta tingendo di un magnifico tramonto arancione orlato dal nero dei monti lontani. Non lo guardiamo, non ci facciamo caso. Siamo tutti concitati. Dobbiamo bere, cercare gli amici, raccontarci e raccontare, fare la doccia, gustare la pastasciutta, sognare la prossima partenza, il prossimo traguardo …
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