lunedì 4 luglio 2011

Valbrevenna - cronaca di Betta

Nenno

Seguo bovinamente le voci di Luca e Paolo provenienti dal mio navigatore. Mi hanno fatto fare il giro che da Savignone porta a Monte Maggio per arrivare a Nenno. So di essere in anticipo e decido di godermi il panorama. Posti mai visti e che mai avrei veduto se nella mia vita non fosse entrata con una certa prepotenza la corsa. Suono il clakson ad ognuna delle tante curve pericolose della strada stretta in salita, ma è una
precauzione inutile. Non c’è anima viva per questa via, solo tanto verde e paesaggi selvatici che si inerpicano a toccare il cielo. Ogni tanto gruppi di due, tre case, penso abitazioni di villeggiatura, curate e isolate. Quando la solitudine inizia a darmi fastidio scorgo un runner che faticosamente si gode la frescura del mattino correndo. “Vado giusta per Nenno?” Mi dice che ci sono quasi, solo un paio di km. Non sembra stupito nel vedere una donna sola in una strada solitaria la mattina presto, non mi chiede niente. La mia divisa è uguale alla sua, tra runner ci si capisce, le parole non servono.
Fresco, tanto bel fresco in questo pezzo di Liguria, e mentre aspetto di iscrivermi alla gara mi vengono dati i primi ragguagli non solo sulle asperità del percorso, ma anche sulle mille leggende che fioriscono in questi luoghi.
“Si costeggiano i resti di un antico cimitero, ormai le lapidi sono coperte da erba, tra esse di notte si aggira il fantasma di un monaco, e quelli di un’antica chiesa, sprofondata per una frana. Pensa che quell’anno, in coincidenza di questo evento, la neve in questi posti cadde rossa …”
Nient’altro che favole, penso, ma per essere ancora vive dopo tanti anni qualche fondo di verità può nascondersi in esse o nella suggestione che provocano.
Mi ripropongo di stare molto attenta lungo il percorso per vedere i ruderi rimasti e sentirli parlare…
Cosa che ovviamente non avviene. Perché quando corri sei troppo impegnato per scorgere i particolari, anzi tante volte più che le tue scarpe e il sentiero proprio non riesci a vedere.
Questa è una gara faticosa, di quelle che alternano i sentieri in pendenza dove quasi ci si arrampica come caprette, a tratti in cui lo sterrato è ampio e ombroso. Correrci è un vero e proprio privilegio, e senti che ad ogni passo il cuore esulta.
Parto nelle retrovie, con Valentina, compagna d’avventura con cui sto per condividere l’inizio del grande sogno da 42 km che sta cominciando a prendere forma, mentre Gilberto è avanti in gran forma.
Il primo tratto è una breve discesa cui segue subito un tratto boschivo in salita, e poi si sale ancora e il tratto si restringe, e quando il cuore sta quasi scoppiando appare una croce su un alto cippo e poco distante una cappella. Subito penso ai fantasmi della leggenda …
Vengo affiancata da un compagno di viaggio con cui condividerò tutto il percorso. Il nostro parlare ci distoglie un po’dalle fatiche, ci facciamo forza.
Boschi, tratti in ripida salita e veloce discesa. Ogni tanto alla fine di una salita importante compare magicamente una chiesetta. Ma questo è un posto magico: “Ogni 50 anni un intero paese fantasma si materializza da queste parti. Era scomparso per colpa di una frana …”
Annaspo su sentieri quasi in verticale, sotto il sole che picchia, sudo, fatico, mi diverto da matti. Vengo dissetata con acqua fresca di montagna e mentre bevo penso che è la cosa più buona che ci sia al mondo. Poi il refrigerio dell’ombra ristoratrice, dicono che sia tutta a scendere di qui la via che porta all’arrivo, ma non importa se mentono, basta questa stradina vivace a rinvigorire le forze, a ridonare energia. E si sente il profumo degli alberi e della vegetazione e mi chiedo se sia vera anche la leggenda che vede qui l’avvistamento di “una nuvola di farfalline impazzite …”
Passiamo forse in casa di qualcuno, nell’aia di casette private, ma fuori ci sono solo belle signore sorridenti a mostrarci il cammino, e poco più in basso incontro anche Rosanna, conosciuta fin’ora solo virtualmente su Facebook, adesso qui davanti a me in carne ed ossa … ad ogni epoca le sue stranezze!
Lungo il percorso ci hanno gridato più volte che l’unico vero ostacolo della gara sarebbe stato “la scala”. Avevo pensato all’ennesima leggenda, visto che ero quasi alla fine, e niente di tutto ciò era più comparso. Ma ora che la stavo avvistando sentivo la fatica materializzarsi nelle gambe ancor prima di percorrerla. “Sono 132 scalini” mi viene detto da una signora mentre sto toccando il primo. Poco fa, il mio compagno di viaggio mi aveva detto che avrebbe desiderato fare il Pirellone, lo guardo ora mentre arranchiamo molto poco dignitosamente sull’ultimo tratto di gara … certi sogni, materializzandosi, possono diventare incubi …
E’ fatta. Arrivo. Ristoro. Baci e abbracci. Parto facendo tacere Paolo e Luca e mi porto a casa un altro pezzo di Liguria. Sarà un ricordo di fatica e sudore, di sole, di verde e di azzurro, di una mattina in cui correvo felice per boschi.

1 commento:

  1. Ottima descrizione. In effetti in tanti abbiamo provato queste sensazioni di fatica e gioia per essere giunti alla fine di un percorso aspro e duro ma, senza dubbio, ricco di un fascino particolare.

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