Trail dei Fieschi 2012
“Vissuto”
La gara partita
alle 16 locali si è dipanata come tradizione nel passaggio iniziale per i
vicoli stretti del paese, entrando nel “dopo pranzo” della gente di Savignone.
Sfiorando usci cheti, calpestando soglie sorridenti, giardinetti in festa,
orticelli in fiore. I più piccoli ad accendere la miccia: timidi applausi,
qualche impacciato
incitamento, cartoncini e lenzuoli disegnati con i
pennarelli. Quanta fatica in quei tratti calcati. Lasciato alle spalle il bagno di
folla, inizia quello di sudore. L’inizio
della salita che porta al pianetto è ardente. Tratti scoperti alternati ad
altri difesi da castagni che stentano a
mitigare la calura. Nei momenti aperti
al sole non c’è abbastanza aria per respirare, non c’è sufficiente azzurro al
quale abbandonarsi. Persino le ombre si fanno sottili fino a dissolversi nel
rogo delle rocce incandescenti. I primi vanno via. Eppure sembrano lenti,
appaiono miraggi lontani, se ne vanno. Il bianco candido della cappelletta appoggiata
in vetta al piano, segna il primo confine fra oblio e sofferenz. Si scende
cavalcando la spina dorsale scarnificata
dal tempo. Terreno solitamente calpestato con agilità propria alla sua
natura da capre di montagna. Ovini soliti ad evoluzioni mozzafiato sopra la
magia del forte dei Fieschi. Fortezza
protetta da un cordone di rocche poderose, dominare con lo sguardo la valle sottostante,consumato
quel tanto da renderlo simile ad un castello di sabbia aggredito dalle onde,
sopportare con veemenza lontana le scorribande delle epoche, assalito dall’evo.
Il bosco travalica i partenti in direzione Inagea. Un’angusta discesa in
contropendenza irta di trabocchetti, sparsi nella terra asciutta, secca e
sdrucciolevole. Superficie calpestata che genera polvere, impasta bocche
assetate dei disseminati, soffocando l’ossigeno di pulviscolo acre. Finito la
discesa, il sentiero, spiana brevemente, si allarga mutando i trailers in
trattori ecologici con motore a scoppio,
altri a
pedali. La tregua con la sofferenza è esile quanto un filo d’erba,
precisa pari ad un laser chirurgico. Si asfissia nei conati di vomito, chi
nei crampi. Milza, reni e fegato pulsano fitte di dolore, fendenti mirati,
vere stilettate. Si scoppia, si salta in
aria. L’odore di sudore diventa puzza schifosa. Il bosco capisce il momento, si
fa silente. Avvolge la fatica di un rispettoso silenzio. La salita si fa
cattiva, continua, noiosa. Solo il vento sussurra fra gli alberi piccoli aliti
di vento, dolci brezze soffiate alle sagome che si fanno deformi. Volti scavati
dallo sforzo, occhi sfiniti di fatica. Le fauci soffocate lente muoiono. Si
riemerge agonizzanti nei prati di Martellona, tutto diventa sordo. Sembra un
film muto. Eppure le persone esistono, i volontari applaudono, incitano, incoraggiano,
macché tutto vano. Legati simili a schiavi con catene alle caviglie, veniamo
trascinati da i negrieri della competizione fino a risalire il meteorite monte
Maggio raggiunto da dietro, alle spalle,
per nulla sorpreso od intimorito da
guerrieri svuotati, asciugati dentro. Privati di tutto, essiccati dalla
solitudine. Impagliati e messi sulle pareti del percorso come animali da caccia
grossa. Una rappresentazione tragicomica, un safari.
I
mille metri del Maggio vengono salutati
dalla miriade di scatti fotografici che tributano ai superstiti Sonia ed il
redivivo Matteo Ceschina … forse altri.
Capace di smettere il capellino alla Vasco, infondendo luce al suo volto. Era
l’ora, bravo!
Si
rotola a valle con quel che resta, desiderando l’acqua, sospirando l’arrivo.
Una discesa fantastica, una galleria larga, ombrosa. Le fronde carnose,
serrandosi restituiscono un po’ di lucidità a cervelli ormai in pappa. Neanche
il tempo di accorgersi del dinosauro ex
Colonia che il bosco inghiotte pensieri uomini e parole. Sali e scendi che
permettono di conquistare con fatica incontrollata i piedi di Savignone. Nuovo
passaggio fra le casette all’ora dell’aperitivo. In attesa di cenare, attendono
il passaggio dei sazi corridori plaudendo tutti. Traguardo che viene tagliato
all’ingresso del parco di palazzo
Fieschi al cospetto dell’anfiteatro montuoso appena battuto.
Di Gilberto Costa
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