domenica 19 febbraio 2012

Arrampicata alla Bocchetta - di Gilberto Costa

“La Bocchetta era un luogo un pò mitologico per noi, spesso nostro
padre ci raccontava di quando ragazzino la saliva in bici. Sembrava che
in tutto il mondo non esistesse una salita così feroce. Era il tempio
della fatica e del coraggio di pochi, il luogo dove davvero si misurava
la forza e la virtù di intrepidi e valorosi guerrieri …

ARRAMPICATA ALLA BOCCHETTA
Di Gilberto Costa

Anni or sono lungo questi terribili tornanti seminammo i nostri sogni di ragazzi. Non sulla nostra pelle, bensì  li delegammo, rovesciandoli sulle spalle di Marco Pantani. Il primo Marco Pantani, quello con i ciclisti color jeans, quello arruolato al servizio  del “diablo”
Chiappucci. Aveva i capelli radi, le orecchie a sventola;  non portava la bandana, tantomeno era Pirata. Ci intenerì quel suo aspetto anziano di giovane vecchio. Anonimo nel gruppo, malinconico nel salire alla Bocchetta.
Aspettavamo i ciclisti all’altezza di Langasco, nel mentre gozzovigliavamo nella trattoria Cucco. Per essere certi della riuscita della baldoria portavamo i fiaschi di vino nostrano nello zaino … l’imbarazzo nel salire la scaletta al piano superiore con il relativo tintinnio dei bottiglioni é tutt’ora vivido.
Questa mattina grazie all’arrampicata podistica alla Bocchetta abbiamo potuto raccogliere quelle lontane illusioni e farle nostre, vestendoci a protagonisti.
  Le salite hanno la caratteristica di avvicinare gli uni agli altri. Vuoi nella prestazione, accorciando le posizioni,  marcatamente nella fatica, abbreviando le distanze umane.
Salire alla Bocchetta è stato un calvario silenzioso, apparentemente intimo, in realtà solidale. Le labbra scucite quel tanto per poter respirare.  Diversamente bocche sguainate dalle quali smaltire  il suono dei polmoni, stantuffi ossessionati, di locomotive impazzite.
Al bando la voce, spazio alla segnaletica manuale, occhiate di condivisione, qualche contatto fisico,  mani posate su spalle e braccia per correggere le traiettorie, lasciare il passo, oppure chiederlo…  una tipica gestualità ciclistica.
E poi occhi che rotolano in terra dalla nausea, schizzano in cielo alla ricerca di un aiuto celeste . Occhi che si spengono ed accendono ad intermittenza, ora vuoti e mutevoli, in un salto sicuri e accesi.
Ritrovarsi a correre nei passi altrui, nel tentativo di dividere il pane nero dello sforzo, spezzandolo in tanti piccoli  pezzetti per poter ingoiare lentamente. 
Avvicinarsi  alla fatica del prossimo, per non ascoltare la propria. Scappare più in fretta possibile dalla pugnalata di un tornante, affrontandolo “becco a becco” nel punto più stretto possibile. Intenso, ma breve. Arrampicarsi in quota perdendo la cognizione del tempo, della distanza.
Ingannare le difficoltà dell’attimo  emigrando nelle stanze della mente; affacciarsi  da quelle finestre per
osservare i panorami delle nostre esistenze. Svegliarsi bruscamente in piena crisi, ingannati da noi stessi.  Rifiutare pur desiderandolo, di voltarsi indietro per mettersi al corrente di quanti sopraggiungono, arrivare ad sfruttare “la coda dell’occhio” pur di poter sbirciare.
Non considerare la strada che langue sotto i passi ormai deboli immaginandola discesa.
Finire  per ritrovare non so come, nemmeno da dove,  forza e  determinazione scorgendo gli ultimi tornanti della vetta disegnati da paraboliche di neve “resiliente”.
 Curve  avvolte nelle nuvole, immerse come in una fiaba  nella nebbia della leggendaria Bocchetta.
Ripercorre la distanza in senso opposto e non trovare traccia del proprio passaggio, tutto smarrito in quei sogni tortuosi, di oggi e di ieri. 
Parabola di cuore … di testa e gambe!
… Molti anni dopo, 

malato, ma ancora innamorato di quella sfida, accompagnò suo 

figlio, seguendolo in macchina, il ragazzo in sella a una bici. Era la 

sua ultima estate.
Anni dopo ancora, il ragazzo l'ha affrontata correndo, 

spettatrice era sua sorella.

La ragazza spera di riuscire a fare quella salita un giorno, in onore 

e in memoria di quell' uomo che le ha insegnato l'amore per lo sforzo 

umano”. 
(Dedica di Valentina a papà Giuliano)

Nessun commento:

Posta un commento