giovedì 29 settembre 2011

Caruggi salata - di Valentina Deri

Caruggi salata
di Valentina Deri

Genova macaiosa e umida, stamattina. Diversamente dall'anno scorso, quando accolse i numerosi partecipanti con l'aria leggera di Settembre, e il sole alto, acceso dall'ultimo guizzo d'estate, oggi ospita i runners accennando un profilo autunnale, che la rende più languida.
Quando inizia a scivolare qualche goccia di pioggia sui preparativi degli atleti e degli organizzatori, nessuno si scompone, ognuno è attento a fare il suo: chi si scalda, chi fa streching, l'ultima corsa in bagno. I volontari formiche laboriose e precise, sorridenti, sempre, responsabili dello spirito festoso dell'iniziativa. Li osservo a lungo, visto il mio solito anticipo, che non sfrutto per scaldarmi a dovere, e mi viene in mente Gaber quando cantava che "la libertà è partecipazione". Medito sulla possibilità, una volta o l'altra, di schierarmi da quel lato della competizione...per la verità oggi sarebbe stata la giornata più adatta per farlo, considerati i problemi muscolari che mi affliggono da un pò di tempo a questa parte. I consigli prodigati ieri da un buon atleta sono caduti nel vuoto del mio ottimismo e nella rete di questi, sembra, miracolosi "tapes" rosa shocking (colore scelto in un deprecabile slancio di femminilità), che disadornano il mio corpo di incauta principiante. A mia discolpa, bisognerebbe dire che " la Caruggi" è una gara un pò irrinunciabile per chi ama questa città, come ieri ha sottolineato sul Secolo Claudio Paglieri, scrittore genovesissimo, che stamattina modificherà l'allenamento della maratona di New York per aderire a questa festa.
Mi avvicino allo start pensando a queste cose, e alle parole di Gilberto: "la Caruggi è adatta al tuo umore, calza lo stato d'animo che vesti. Stretta fra quei muri, mischiata alla tanta gente, mescolata ai loro colori, avresti la possibilità di...". Come sempre Gibe ha ragione, è proprio un percorso di carattere "genovese", faticoso, aspro, duro, e, soprattutto, imprevedibile. Difatti dopo le strettoie iniziali, ti porta addosso al mare, all'odore del salino, alla vertigine dello spazio. Insomma, ti parla in dialetto, con le vocali strette, svelte. Ma il suono delle parole che pronuncia, anche se non le distingui, se non le conosci, ti seduce e ti incanta.
In effetti oggi i nostri vicoli sembrano più chiusi e angusti di altre occasioni, stringono i tanti runners in un abbraccio forzato, e ognuno di noi fa del suo meglio per liberarsi dalla stretta di Via del Campo, e poi è Via San Luca a chiudere l'aria, e il cielo, ma libererà tutti noi in Via Pontereale, che ci condurrà a boccheggiare al primo giro dei Magazzini del Cotone. Quasi al momento di infilare quel perimetro spuntano i primi condottieri di questa impresa, sempre corrono attaccati, sempre mi stupiscono l'armonia e la leggerezza del loro sforzo.
Il dolore incalza, e mi induce, per la prima volta durante una gara, il desiderio di fermarmi. Non riesco a trovare sollievo, imbocco Via San Lorenzo avvilita, affaticata, e la sensazione di arrendermi aumenta a ogni respiro. Non trovo sollievo alla vista della nostra fontana, neanche nella ripidissima San Matteo, che dovrebbe smorzare la fatica della salita ma, al contrario, acutizza il dolore. Ancora stretta Via Luccoli, ma il gruppo ora è più sparso, non c'è la morsa dell'inizio, ognuno di noi ha trovato il suo incedere, il modo personale di offrirsi alla gara.
Al secondo giro dei magazzini mi arrendo. Mi fermo. Ho il tempo di piegarmi in due, imprecare e cadere nel più becero vittimismo, poi rialzo la testa, e vedo gli altri che continuano, e penso a quanto è brutto non arrivare, rinuciare, arrendersi. Credo sia il motore che muove tutte le persone che corrono. Per quanto il modo di interpretare la corsa sia per ognuno una declinazione precisa e specifica del proprio essere, sono convinta che chiunque ami questo sport sia mosso dall'istinto di misurarsi con i propri limiti. Allora riparto, tra la mortificazione e la rabbia, la paura di farmi ancora più male e la voglia di piangere. Mi dico di andare più piano (anche se è obiettivamente difficile farlo), e mi impongo di arrivare a DeFerrari, sapendo che a quel punto sarà più vicino il traguardo, e avrà la meglio l'orgoglio di finire. Così è andata, difatti. DeFerrari arriva superba e snob, io china stavolta la ignoro, proseguo per gli ultimi Km, e ad ogni passo più pesante il cuore si fa più leggero. L'ultimo tratto di Via San Luca ho voglia di urlare. Urlo. Agguanto il traguardo stremata, offesa, emozionata.
Adesso la lavatrice ha già ripulito la tenuta da corsa e la doccia ha tolto sudore e lacrime. Il buon umore inizia a tornare, come il sole, stamattina, dopo quella spruzzata di umidità. Rimane una sensazione di salato, struggente e intensa, la stessa che ti lasciano addosso certi sudati, incomprensibili, amori....

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