Dedicato a te (ma tu
non c’eri).
Dedicato a te
Ma tu non c’eri
Sentivo
La mancanza del tuo
sguardo
I tuoi capelli
Così belli
Ma tu non c’eri
Come un vento gelido
Che spazza
Una spiaggia d’inverno
Dedicato a te
Che non c’eri
E io ero perso
Nel desiderio di te
Come un pugno
raggomitolato
A stringere
Il nulla.
Aspettare una
telefonata e non riceverla può essere doloroso o distruttivo come una lama di
acido lattico nel polpaccio dopo i trecento metri. Meglio andare, andare e
cercare di dimenticare.Anche se si tratta della solita corsa in pista. L’ora in
pista. Quattordici aprile 1984. Dopo due ore di attesa, dopo due batterie della
gara, eccoci lì. Sulla linea di partenza. Sotto le luci dei riflettori di Villa
Gentile. I gladiatori nell’arena. “Ma non riesci a correre almeno diciannove
chilometri, dove vuoi andare?”, dice la voce della ragione. Ancora una volta la
realtà è diversa dal pensiero. Ci
vorrebbe una colonna sonora tipo “Watcher of
the skies”, da Foxtrot dei Genesis. Hai presente quando c’è quell’inizio
solenne con mellotron, quindi assoli di chitarre, quindi l’enigmatica figura di
Peter Gabriel che canta: “Esseri viventi hanno modellato la superficie di
questo pianeta. Ora il loro regno è giunto alla fine. La vita ha di nuovo
distrutto la vita”? Ora però lo sparo ti proietta nel buio della curva,
Nell’altro buio dell’altra curva due figure scompaiono. Sono Mariano Penone e
Marco Pari.Poi ci sei tu insieme a altri due compagni di avventura. Lo speaker
annuncia, a dir la verità senza entusiasmo, del tentativo di Mariano di correre
venti chilometri. Tre al chilometro. Uno e dodici ogni quattrocento metri. Per
un’ora. Per sessanta minuti. I due passano in 2’55” al primo mille. Noi in
3’05”. Ogni volta che usciamo dal buio (della Ragione?) delle curve la tribù
dei prenditori di tempi scandisce inesorabile secondi, minuti. Linguaggio in codice.
L’impalpabilità del pre corsa, fatta di sguardi fissati nel vuoto, di silenzi,
ha fatto spazio al pulsare del sangue nelle tempie, alla ricerca del ritmo.
Alla ricerca del tempo perduto. Corri e non vorresti esserci. Vorresti essere
con lei, che però non c’è. L’hai cercata in tribuna. Invano. Meglio forse il
dolore delle gambe, l’ansia di non farcela, il narcisismo del negare di essere
in forma prima della partenza. Alla ricerca del ritmo. Come quando avevi
ascoltato Miles Davis ai Parchi di Nervi. Sembravano delle macchine, delle
furie. Il divino Miles faceva un cenno e Marcus Miller imprimeva una nota di
basso che sembrava un tamburo. Intanto noi qui: tre e dieci, tre e quattordici,
tre e quindici ai mille. Poco prima dei diecimila un lampo: “Ragazzi, pista!”.
L’inflessibile prenditore di tempi gli urla: “Uno e dodici”. Sembra un
ectoplasma che esce dal buio. Ci allarghiamo per farlo passare e, a nostra
volta, gridiamo “pista”. A un altro gruppetto di mezzofondisti. Sembra un gran
premio di formula uno. Mariano è solo. Un uomo solo al comando. Tu eviti la
solitudine per cacciarti in un’altra solitudine, quella del gruppo con falsa
solidarietà. Cugnasco. Petenzi, io. Insieme con la speranza feroce che ognuno
sorpassi l’altro. Per il successo, la gloria (“L’onor, le dame i cavalieri”,
scriveva Ludovico Ariosto)….intanto si continua a uscire dal buio della ragione
per entrare nel tourbillon dei rettilinei illuminati dalla luce e resi
incandescenti dai numeri gridati sempre più forte man mano che ci avviciniamo a
Itaca. Anche la freddezza dello speaker sembra incrinata dall’emozione:
“Signori, stiamo assistendo forse al
primo ligure sopra i 20 orari….E’ passato al quindicesimo in 45’05”…..forza
Mariano!”. Si esce dal buio ancora una volta. Villa Gentile, per una volta, mi
sembra strapiena di gente uscita in una serata di tepore primaverile. Iniziano
tutti a gridare. “Ragazzi, la prima!”. Rieccolo qui. Un attimo e Cugnasco gli si
aggancia. Sfrutta il doppiaggio. Inizio a avere la testa vuota e le gambe
pesanti. L’acido lattico è come la verità: fa male e è sempre rivoluzionario.
Penone, Cugnasco, io e Petenzi. “Il refrain di tante gare su strada a Genova e
in Liguria”, fa lo speaker. Ho il tempo di fare un gesto iettatorio. Adesso è
dura, durissima. A dieci minuti dalla fine navigo in un mare di acido lattico.
Davanti non guadagnano. Riesco a sdoppiarmi e a pensare se Mariano ce la fa a
chiudere con cinquanta giri. “Forza Mariano”, grida lo speaker e dal tono capto
che forse ha ceduto qualcosa.Adesso si entra in un vero boato di gente che
grida. Tutti vorrebbero venti orari e molti mi sfiorano: sono scesi quasi in
prima corsia a incitarci. L’ultimo sparo: parto con le ultime residue energie,
non ce la faccio a raggiungere Cugnasco. Vinco la volata con Petenzi. Vedo da
lontano un giudice che posiziona qualcosa a poca distanza dal traguardo. Vicino
Mariano è steso sul prato.Ha fatto tutto da solo. Sono a terra, confuso. Non
capisco più niente.Qualcuno mi abbraccia e si complimenta. Ma penso di non
avere fatto nemmeno il record personale. 14.04.1984. Fase regionale dell’ora su
pista a Genova Villa Gentile- Uomini: 1° Mariano Penone (Cus Genova) 19,950 km;
2° Massimo Cugnasco (Cus Genova) 18,615; 3° Danilo Mazzone (Cus Genova) 18,484;
4° Marco Petenzi (Gillardo Millesimo) 18,480 ; 5° Andrea Trenti (Cus Genova)
18,386; 6° Domenico Mongelli (Cus Genova) 18,252; 7° Alberto Azzarini (Trionfo
Ligure) 18,217.
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