martedì 14 maggio 2013

Il castello di Pietra - di Elisabetta Iurilli


“Merda, merda merda!” l’urlo unanime liberatorio dei Castellani e delle Castellane si alza al cielo ed ecco il via, desiderato troppo a lungo in questo sabato pomeriggio.
Armati di bastoncini e zaini al posto di spade e vessilli, pantaloncini e t-shirt tecniche in luogo di lunghe vesti preziose e maglie di ferro, siamo un po’ i fratelli minori di questa manifestazione che vede gli impavidi spiriti dei trail fronteggiarsi nella sfida di leggendarie Porte e Finestre di Pietra. Ma non ci manca la tempra e il coraggio per affrontare la nostra battaglia. La conquista del Castello di Pietra.
La voglia di correre questo trail era in me presente da anni, colpa del solito amico che descrive con parole incantate la sua eroica impresa e fa nascere in me il desiderio di imitazione, in realtà una copia goffa e maldestra, ma quanto basta per tenermi impegnata a sognare.
E finalmente arriva il momento, quello giusto, in cui il desiderio si appresta a diventare realtà. Passo una mattinata d’inferno, più che mai sulle spine, le ore che mi distanziano dalla partenza sembrano non passare mai, poi la paura di perdermi e di arrivare a Cantalupo non più in tempo per gareggiare, inoltre quelle gocce di pioggia a salutare il mio arrivo, note stonate ma brevi.
E’ già piovuto a Cantalupo ligure, e ha lasciato il segno. Ma questo lo scoprirò solo strada facendo.
“Si sale subito” “Si sale fino al Castello” ognuno dice la sua, io ho scordato di guardare l’altimetria, forse non
volevo spaventarmi, ma che errore … si, eccola lì la salita, inizia che l’arco della partenza è ancora ben visibile. Si inerpica su per un colle, un monte che va su dritto e non da tregua. In mezzo all’erba due solchi di terra, si corre uno appresso all’altro, formichine attaccate in una fila lunghissima, falange compatta e variopinta, che ansima e soffre per quell’attacco repentino e improvviso che l’affronto della pendenza ha saputo fendere a gambe atletiche e cuori impavidi. Salgo, fatico, cerco di non perdere posizione, ma al contempo di non sprecare inutilmente le mie energie. Alzo gli occhi e vedo solo un’avanzare serrato in pendenza contraria. Abbasso di nuovo a osservare l’erba già troppo pestata. E’ solo l’inizio, mi dico. E ho paura a rialzare lo sguardo, so che l’avrei cercato, e che lui sarebbe stato ancora troppo in alto. Il Castello lo incontrerò solo a metà gara, non adesso. Ora è il momento di soffrire, più tardi sarà quello della conquista.
Non ci parliamo tra Castellani, manca il fiato. Ma alla vista della discesa qua e là si sente qualche esclamazione euforica. Invero questa china ci metterà a contatto per la prima volta con il nostro reale nemico da combattere “messer” fango.
Melma ovunque, appiccicosa e scivolosissima. Il piede non riesce a fare presa, te lo ritrovi sempre più avanti rispetto a dove avevi previsto, il corpo si sbilancia, i piedi diventano macigni pesanti da sollevare. Si cerca lo sporco, quei tratti laterali dove gli arbusti crescono più selvaggi e indistinti, dove sai che ti puoi graffiare con le spine dei rovi, ma è più difficile cadere. La strada è larga e tortuosa, i tanti tornanti impediscono la vista della fine. Il sole fa breccia tra le fronde dei rami, lampi improvvisi su questa distesa viscida e marrone che mina la sicurezza del nostro incedere. Ma intorno senti l’odore del bosco, i suoi rumori e tra questi distinguo sempre più vicino il gorgoglio dell’acqua di un torrente. Acqua fresca che carezza i piedi, che toglie un po’ di peso alle scarpe, che ti dice che sei nel punto più basso e che ora devi riprendere a salire.
Ripresa dura, il ritmo nelle gambe cambia, ma l’appoggio diventa più stabile, più certo e sicuro.
Si apprezza questo salire che mette di nuovo alla prova cuore e polmoni.
Intorno sempre verde, di bosco, di campi, ma quando meno te lo aspetti ricompare il temuto nemico, sotto forma di lunghe e imprevedibili pozze, precedute da solchi di terra smossa, viscida e informe, dove tuttavia si vedono nette le impronte di chi stai inseguendo. Si cerca di stare ai lati, si allunga il percorso in gimcane inutili. Tanto prima o poi nella pozza ci si casca lo stesso, ed è una fortuna quando almeno il polpaccio si salva. Il dramma è uscire da certe situazioni. La scarpa spesso fa leva e diventa pesante. Senti il piede che si vorrebbe sfilare e lasciare lì la sua protezione. Poi a fatica viene fuori tutto e subito lo sguardo va oltre, a cercare terreno più stabile.
Ma subito un tratto soleggiato con prati verdi sparsi a perdita d’occhio e alberi straripanti di fiori rosa e bianchi arrivano a fugare qualsiasi malinconia e sconforto.
“Guarda è là!!!” Un runner tende il braccio e mi indica un punto ben preciso, una costruzione solida e robusta, non troppo in alto, ma ancora un po’ distante. Intorno solo monti e qualche casetta, una valle risplendente di un verde strepitoso sotto un cielo blu limpido.
“Sto arrivando”
Riprendo il mio cammino su un tratto fortunato di asfalto. Ai lati qualche casetta, alberi da frutto vestiti a festa. Poi è di nuovo bosco fitto, sterrato asciutto e tanto fango.
Mi rendo conto di procedere ad elastico con un paio di ragazze. Da quando è iniziata la competizione ci siamo superate a vicenda un sacco di volte. Tre dame d’altri tempi, mi dico. Ma più che principesse sembriamo guerrieri. Il fango è ormai attaccato alle nostre vesti, la fatica e il sudore dipingono il nostro viso più di qualsiasi altro make up. Altro che castellane in cerca di protezione …
Quando meno te l’aspetti il tunnel verde frondoso si dirada, si intravede un ponticello, assi a coprire acqua corrente, oppure un borgo, un tratto di umanità, i volontari, gli Orsi, a farti coraggio, a donare preziosissima acqua.
Scopro sempre più di divertirmi, guardo con gli occhi della meraviglia tutto ciò che incontro, che vorrei fissare nella memoria, nel cuore, e tirar fuori nei momenti più duri. I miei jolly, le mie piccole grandi emozioni, vissute tra sogno e realtà.
La mente corre, ma lo fanno anche le gambe, ed ecco che maestoso, dopo un tratto più o meno rettilineo d’asfalto, appare il Castello di Pietra in tutta la sua bellezza prepotente. Lo guardo per un attimo, è altissimo, mi sento piccola, e subito mi viene indicato un sentiero a lato. Inizia ripido a scalini, poi mette giudizio, si allarga e anche la pendenza si fa più dolce. Sotto una fattoria, chissà che animali …
Ma ahimè rincomincia il fango, ed ora è più scuro, viscido e maleodorante del solito. Mi viene in mente l’urlo d’inizio, sono felice che nessuno dei miei familiari e degli amici non – runner mi veda in questo momento. Tanta fortuna, tanta fortuna … ma forse è solo suggestione …
Di nuovo salita, alla faccia di chi le voleva finite. Le gambe sono più stanche, soffrono anche le mie compagne di sfida, e questo mi consola.
Salita e discesa si alternano in un susseguirsi ritmico che spezza le gambe.
Vedo un runner provenire da una direzione diversa dal mio percorso. Penso sia uno dei coraggiosi, uno del valoroso esercito della 70 km. Mi sposto per agevolare la sua corsa. Mi ringrazia riconoscente, scambiamo qualche parola, sì, sta facendo le Porte di Pietra, è stanco ma felice, si è divertito. Dice che siamo alla fine, ma con gli anni ho imparato a non fidarmi mai delle parole di un runner. Tropo spesso mentitori, anche se solo per farti coraggio.
Intanto la strada scende, questa volta con sterrato bianco, con ai lati prati verdi, ricoperti da pecore brucanti rincorse da cani a radunarle, alberi fioriti, stalle di asinelli. Più in là una strada d’asfalto, il vigile che ferma il traffico. Riconosco il tratto. Anche io poco prima ero stata fermata con la mia auto, e davanti a me avevano attraversato un gruppo di runner che incedevano a balzi elegantissimi, come fossero caprioli. Li avevo guardati ammirata e un po’ invidiosa. Loro in quel momento stavano correndo e io no. Loro erano eroi agili dei 70 o 37 km e io mi accontentavo di partecipare a questi 17 e in maniera ben più ruspante … vabbè nel mondo c’è posto per tutti, per i più bravi e per i meno, e la corsa si fa amare da tutti e a tutti regala qualcosa. E lo fa generosamente …
Ed eccomi anche io ad attraversare col vigile che ferma il traffico, con balzi un po’ goffi e stanchi, ma pur sempre di corsa, all’inseguimento di un traguardo, che percepisco sempre più vicino.
Intanto sono vicoli stretti di piccole case di pietra, acciottolato ordinato, rumori di festa che arriva, una musica, voci dagli altoparlanti, tappeto rosso sotto i piedi, un arco sotto il quale passo felice …
Ed è una principessa ad accogliermi con un caloroso abbraccio, una di quelle che ha corso con me. Ridiamo insieme, scambiamo le prime parole, ci tuffiamo indecorosamente in un meraviglioso buffè, ma poi ci riavviciniamo di nuovo all’arco del traguardo. Sta arrivando la terza

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