LA TORRE D’AVORIO
“La fede è una pena così dolorosa: è come amare qualcuno che è lì fuori e
che non si mostra mai per quanto lo si invochi” (“Il settimo sigillo”, Ingmar
Bergman, 1957).
Come potresti chiamare la tua corsa: “Centomila chilometri di solitudine?”.
Ne hai fatta di strada. Di notte, d’inverno. Partivi da via Fereggiano. La tua
strada non era ancora piena di pietre come in quel maledetto giorno di novembre
del 2011. Quel giorno eri tornato a casa con il groppo in gola. Sei persone
morte nell’alluvione. Il podista che è sempre stato in te, anni prima, arrivava
in piazza Galileo Ferraris, poi su verso lo stadio, vicino alla gradinata Nord.
Ma si doveva andare avanti. Le luci diventavano giallastre, annunciavano i
palazzoni di Molassana, San Gottardo….Nel 2012 sarebbe arrivata l’indagine
della Procura a buttare all’aria
velleità di geologo in carriera, con i dirigenti agli arresti
domiciliari: eppure continuavi a correre per dimenticare, ti occupavi della
gente che allenavi. Un inferno. “O tosco che per la città del foco vivo ten vai
parlando sì onesto, piacciati di restare in questo loco…” Avresti voluto parlare, confidarti.
Impossibile perché di questi tempi : “Pietà l’è morta”.Il coach
deve essere
sempre superiore a tutto…. Le reminiscenze classiche sembravano carta
ingiallita. Ancora avanti a correre, a rimescolare infinitamente la trama dei
ricordi. Wim Wenders aveva detto che il rock aveva dato un’identità alla sua
generazione, una consapevolezza. Quella frase: “L’America ci ha colonizzato
l’inconscio”, del film “Nel corso del tempo” ti aveva colpito. E la corsa? Ti
aveva dato gambe d’acciaio (ma le avevi anche quando giocavi a calcio);
l’alienazione delle ripetute in pista? Ma ti piaceva essere una macchina.
Indifferente a tutto. Superiore alla pioggia, a amori non ricambiati. Solo
correre e basta. Avevi detto basta alle rivendicazioni giovanili, come nel
giugno del 1976. Era stato ucciso un militante della Fgci a Sezze Romano. A
Genova c’era un comizio di Almirante in piazza della Vittoria. Eri andato là in
corteo. Bisognava fargliela vedere. Tua madre ti aveva supplicato di non
andarci. Cordoni di polizia. E adesso? Dove sei, generazione del 1957? Questa è
la realtà nella quale ti riconosci? Dove sono finite le letture della Divina
Mimesis di Pasolini ?…Un altro rigurgito c’era stato nell’estate del 2001. G8 a
Genova. Però non eri sceso in piazza. Ti preoccupavi troppo della tua
rispettabilità. Tua moglie ti aspettava a casa. Fuori c’era solo odore di
lacrimogeni. Perfettamente inserito in un sistema. E allora ti risponde un
altro io: “Non voglio scimmiottare nessuno, nessun sogno ascendente di classe
superiore. Voglio solo annullarmi nella fatica del correre. Sono quello che
ricordo? Voglio annullare i ricordi. Tutti. Correndo”. Tua madre ti aveva
chiesto: “Quando ci sarà il mio funerale, farai il bigiornaliero?”E allora
Lenin e Stalin, in un incubo come quelli che a volte non ti fanno dormire, ti
avrebbero detto che hai deviato dalla retta via, che è quella di costruire la
rivoluzione senza cedere a compromessi borghesi. Allora la corsa farebbe parte
dell’Ideologia, di una colossale mistificazione? Non mi interessa più niente.
Quando corro mi trasformo in un animale, forse divento un rettile. Mi adatto
alla temperatura esterna. Correndo, vorrei entrare nel mare e trasformarmi in
un ‘onda che travolge tutto, come in una canzone, come quando Jim Morrison
canta “The end”. Poi vorrei diventare un calco, un’impronta impressa nella
sabbia. Come dall’inizio del mondo. Come dalla fine di tutte le cose.
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