mercoledì 29 maggio 2013

La Torre d'Avorio di Danilo Mazzone

LA TORRE D’AVORIO
“La fede è una pena così dolorosa: è come amare qualcuno che è lì fuori e che non si mostra mai per quanto lo si invochi” (“Il settimo sigillo”, Ingmar Bergman, 1957).

Come potresti chiamare la tua corsa: “Centomila chilometri di solitudine?”. Ne hai fatta di strada. Di notte, d’inverno. Partivi da via Fereggiano. La tua strada non era ancora piena di pietre come in quel maledetto giorno di novembre del 2011. Quel giorno eri tornato a casa con il groppo in gola. Sei persone morte nell’alluvione. Il podista che è sempre stato in te, anni prima, arrivava in piazza Galileo Ferraris, poi su verso lo stadio, vicino alla gradinata Nord. Ma si doveva andare avanti. Le luci diventavano giallastre, annunciavano i palazzoni di Molassana, San Gottardo….Nel 2012 sarebbe arrivata l’indagine della Procura a buttare all’aria  velleità di geologo in carriera, con i dirigenti agli arresti domiciliari: eppure continuavi a correre per dimenticare, ti occupavi della gente che allenavi. Un inferno. “O tosco che per la città del foco vivo ten vai parlando sì onesto, piacciati di restare in questo loco…”  Avresti voluto parlare, confidarti. Impossibile perché di questi tempi : “Pietà l’è morta”.Il coach
deve essere sempre superiore a tutto…. Le reminiscenze classiche sembravano carta ingiallita. Ancora avanti a correre, a rimescolare infinitamente la trama dei ricordi. Wim Wenders aveva detto che il rock aveva dato un’identità alla sua generazione, una consapevolezza. Quella frase: “L’America ci ha colonizzato l’inconscio”, del film “Nel corso del tempo” ti aveva colpito. E la corsa? Ti aveva dato gambe d’acciaio (ma le avevi anche quando giocavi a calcio); l’alienazione delle ripetute in pista? Ma ti piaceva essere una macchina. Indifferente a tutto. Superiore alla pioggia, a amori non ricambiati. Solo correre e basta. Avevi detto basta alle rivendicazioni giovanili, come nel giugno del 1976. Era stato ucciso un militante della Fgci a Sezze Romano. A Genova c’era un comizio di Almirante in piazza della Vittoria. Eri andato là in corteo. Bisognava fargliela vedere. Tua madre ti aveva supplicato di non andarci. Cordoni di polizia. E adesso? Dove sei, generazione del 1957? Questa è la realtà nella quale ti riconosci? Dove sono finite le letture della Divina Mimesis di Pasolini ?…Un altro rigurgito c’era stato nell’estate del 2001. G8 a Genova. Però non eri sceso in piazza. Ti preoccupavi troppo della tua rispettabilità. Tua moglie ti aspettava a casa. Fuori c’era solo odore di lacrimogeni. Perfettamente inserito in un sistema. E allora ti risponde un altro io: “Non voglio scimmiottare nessuno, nessun sogno ascendente di classe superiore. Voglio solo annullarmi nella fatica del correre. Sono quello che ricordo? Voglio annullare i ricordi. Tutti. Correndo”. Tua madre ti aveva chiesto: “Quando ci sarà il mio funerale, farai il bigiornaliero?”E allora Lenin e Stalin, in un incubo come quelli che a volte non ti fanno dormire, ti avrebbero detto che hai deviato dalla retta via, che è quella di costruire la rivoluzione senza cedere a compromessi borghesi. Allora la corsa farebbe parte dell’Ideologia, di una colossale mistificazione? Non mi interessa più niente. Quando corro mi trasformo in un animale, forse divento un rettile. Mi adatto alla temperatura esterna. Correndo, vorrei entrare nel mare e trasformarmi in un ‘onda che travolge tutto, come in una canzone, come quando Jim Morrison canta “The end”. Poi vorrei diventare un calco, un’impronta impressa nella sabbia. Come dall’inizio del mondo. Come dalla fine di tutte le cose.

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