La mezza di Monza
di Elisabetta Iurilli
Sai cosa ci fanno quasi duemila persone sotto il temporale, tra la pioggia a raffica, il vento e qualsiasi altro evento avverso alle nove di domenica mattina tutti stipati in un autodromo? La mezza di Monza!
Dopo tanta siccità e calura estiva era ovvio che il primo impegno importante della stagione vedesse il cielo squarciarsi con lampi e tuoni e scaricare tutto ciò che poteva sui malcapitati podisti che da sotto chiedevano solo un paio d’ore di tregua. “D’altra parte” mi dicevo”ho corso due volte il trail di Santa Croce con l’aggiunta di nebbia, neve e grandine, e provengo da Masone, alla pioggia ci sono vaccinata, quindi questa gara si può fare benissimo …” Ma tra il dire e il fare non riuscivo a staccarmi dal riparo che avevo trovato nei box e andarmi a scaldare. Non ero riuscita a lasciare in borsa l’mp3 (chissà se attira fulmini?), mentre dopo uno sguardo patetico, avevo deciso che il Garmin poteva rimanere all’asciutto. Lui si dimostrava beffardamente pronto all’uso ed incline a segnare ogni metro da me percorso, ma io lo sapevo bene che dopo la prima goccia di pioggia avrebbe attaccato a saltare di programma in programma e a mugolare con i suoi bip assurdi. E dire che me l’avevano spacciato per impermeabile! Oggi resti in borsa perché lo decido io.
Quando i cancelli si aprono veniamo introdotti nell’autodromo. E’ strano trovarsi qui a correre, le riprese in tv lo fanno sembrare molto più grande di quello che in realtà è. Però, ritrovarmi qui mi fa sentire comunque emozionata. O forse è la gara che mi sta agitando? Due battute di un ragazzo dietro di me mi fanno morire dal ridere e spezzano l’incanto. Mi giro per vederne l’autore, è un comico di professione, di quelli della tv, non sapevo corresse. Davanti a noi il semaforo diventa rosso, i nostri motori sono già caldi, il rombo è quello che proviene dai nostri cuori, poi verde, e via, partiamo!
La situazione mi sembra irreale. Giriamo su un asfalto perfetto, ci sono cartelli con numeri che non capisco, tribune destinate a pubblico diversamente pagante, ai lati nei bordi della pista, il cemento che precede il prato reca spesso vernice tricolore. Il percorso è sinuoso, tante curve, poi un cancello aperto ci mostra l’esterno, il parco, il tratto principe del nostro percorso. Ne intuisco la bellezza, la ricchezza, purtroppo vista la giornata non riesco ad apprezzarlo a fondo. Chissà perché mi richiama prepotentemente alla memoria alcune immagini del percorso di gara di Gavi.
Quinto km, sento quelli davanti urlare, scorgo un sottopasso e un mezzo anfibio in esso con il lampeggiante acceso. “Piano che c’è bagnato” urla un signore. “Bagnato?!?” urlo anche io mentre l’acqua mi arriva alle ginocchia e tra gli schizzi ancora più su, urlo perché nonostante tutto la situazione mi diverte, perché sono una podista poco seria, ecco tutto. Ma quando faccio la salita che segue mi ritrovo le scarpe pesantissime, inutile zavorra, sento i calzini che navigano, i piedi freddi… e una nuova raffica di pioggia violenta si abbatte su di noi, pare il diluvio, penso che Noè sia qui vicino. E come se non bastasse poco dopo il settimo c’è uno spugnaggio … ma dico! A cosa servono oggi le spugne? Bisognerebbe usarle per asciugare i sottopassi, mica per rinfrescarci, a quello ci pensa già la natura. Vabbè, sorrido ai volontari, al loro porgerci premuroso il rettangolino bianco. Nuovo sottopasso, stessa scena, stesse urla. Una ragazza però si fa portare a cavallina dal compagno. Forti! Quando usciamo ci aspetta un rettilineo. Podisti che vanno e che vengono, noi e i primi della classe, i secchioni, che hanno macinato chilometri in più di noi. Il colpo d’occhio però è fantastico. Ti accorgi di quanti siamo, ti accorgi della passione che palpita indomita in tutti noi. Perché la situazione è di quelle estreme, non si viaggia bene mentre l’acqua ti scorre ovunque e non puoi evitarla, mentre i calzini ti violentano i piedi e sai che sarà impossibile non avere vesciche all’arrivo, mentre i cielo si apre nel candore di una saetta e nel fragore di un tuono e tu sai che potresti essere a casa al calduccio e invece sei lì a faticare per 21 km. Solo l’amore e la passione ci danno il fiato e ci spingono le gambe, nient’altro. Mica ci pagano per correre!
Ed è tutto un susseguirsi di alberi, di viali, di tratti di sterrato e di asfalto, di pozzanghere profonde, vedo il Lambro, almeno credo sia lui, scorrere alto e fangoso ai nostri piedi. Poi si passa nuovamente nel tratto dei due sottopassi, stessa goliardia di prima nell’affrontarli, un po’ più duro risalire con le scarpe zuppe. Ho quasi finito. Il km 20 però sembra lunghissimo. “Come l’ultima ora di lavoro, gli ultimissimi metri di un lungo” mi dico, lo spazio e il tempo paiono dilatarsi, ma è solo un’impressione. Tuttavia chiedo ad una ragazza che mi corre vicino quanto ci stiamo mettendo. “Guarda, per il mio orologio dovremmo già essere arrivate da un pezzo!” “Che cardio hai?” Me lo mostra, come il mio “Tranquilla, non ce n’è uno che funzioni di quel modello!”
Finalmente riecco l’autodromo. Il km 21 è sotto un arco, in breve c’è anche quello dell’arrivo. Guardo il tempo impiegato e per poco non scoppio a piangere. “Com’è possibile?” Chiedo incredula ad alta voce. Altri in giro si lagnano, penso alla maratona vicina, mi sento più che scoraggiata. Mi chiedo se ne valga la pena partecipare. Intanto mi raggiunge il marito. Vede il mio sconforto e si mette a ridere. “Ma non lo sapevi che vi hanno allungato il percorso? C’era un sottopasso allagato, mica vi potevano fare correre con l’acqua alle ginocchia!” Scoppio a ridere anche io. “Già, mica ci potevano fare correre con l’acqua alle ginocchia …”
ooooooohhhhh fra tante lamentele ecco l'esempio di vero agonismo quello sano!!!! grazie mi hai divertito...anche se spono ancora zuppo!!! ahahah
RispondiEliminaciao da emanuel