venerdì 21 febbraio 2014

Correre la vita - presentazione del libro

Caro atleta
Ho il piacere di farti sapere che da giovedì venti febbraio è nelle librerie di tutt'Italia il libro di Gabriele Rosa "Correre la vita. Sulla storia della maratona contemporanea", ed. Il Melangolo, Genova. Il libro si avvale di una mia prefazione che ti invio in allegato. Gabriele Rosa racconta la sua storia che si intreccia con quella dei più grandi maratoneti della terra (Gianni Poli, Victor Rothlin, Moses Tanui, Paul Tergat, Martin Lel, Samuel Wanjiru, ecc.) che dalla povertà hanno raggiunto i grandi successi. Agli aspetti tecnici si aggiungono aspetti sociologici sulla realtà africana e specificamente keniana, nonché realizzazioni come i training camps che hanno permesso agli atleti di non essere sradicati dalla loro terra e di essere obbligati a studiare, diventando la futura classe dirigente e alle donne di emanciparsi dal ruolo ancillare assunto nelle famiglie di origine. Il libro è molto bello e penso che chi ama correre amerà questo libro. Infine credo che sul sito possa comparire, se lo ritieni, in quanto genovese, la mia prefazione che descrive la figura di Gabriele Rosa e si sofferma sulla relazione emotiva tra allenatore e atleta. Un caro saluto. Mimmo Schinaia

PRESENTAZIONE

Gabriele Rosa,l’esploratore della corsa di lunga lena

La lingua inglese dispone di due termini coach e trainer per indicare chi svolge quell’attività che consiste nel creare le condizioni per il miglioramento delle performances individuali o di squadra e per ilraggiungimento dell’obbiettivo finale, possibilmente la vittoria dell’atleta o degli atleti. La lingua italiana, generalmente più

ricca e sofisticata, in questo caso ne possiede uno soltantoallenatore.
Sarebbe però assolutamente inadeguato, ancorché scorretto, definire Gabriele Rosa semplicemente un allenatore, per cui per lui userò il termine coach.
La ruvida dolcezza dei suoi occhi e l’infantile timidezza del suo sguardo, appena mascherate dalla sapiente barba bianca che contorna il suo viso, sono il biglietto da visita di una miscela di qualità tanto presenti quanto non esibite, che fanno di lui un personaggio singolare, forse unico, nel paesaggio dell’atletica italiana e mondiale.
Il coachingdi Gabriele, doctorRosa, come spesso viene chiamato riverenzialmente dai suoi atleti, può essere definito come l’attività globale inerente l’allenamento degli atleti. Si tratta di un’attività di accompagnamento i cui obbiettivi consistono nello sviluppo delle attitudini individuali, nel miglioramento dell’efficacia della performance, nella costruzione e nel rinforzo dell’adattamento a situazioni nuove, impreviste o imprevedibili, nell’aiuto alla crescita della capacità di prendersi dei rischi e in ogni caso nell’affrontamento fino alla risoluzione delle difficoltà che via via si presentano.
L’intervento del coach ha a che vedere non solo con il saper fare, con il coordinamento competente di coloro che a diverso titolo conducono gli allenamenti (allenatori strictusensu, preparatori atletici, fisioterapisti),ma anche, e soprattutto, con il saper essere e concerne il management, l’organizzazione, l’operatività, la relazione e il relazionale, la comunicazione, nonché gli aspetti commerciali.
Gabriele Rosa è e fa tutto questo, assicurandoforte protezione e indispensabile assistenza ai suoi atleti, ma accompagnandoli contemporaneamente verso l’autonomia. Il paradosso dell’attività di coaching consiste nello stabilire intensi rapporti di dipendenza (che con allenatori non sufficientemente preparati ed espertipossonoperversamente trasformarsi in sottomissione masochistica a una personalità sadica) e insieme favorire il massimo dell’autonomia che verrà esercitata, quando l’atleta sarà solo con se stesso nel perseguimento dell’obbiettivo finale.
Gabriele Rosa, medico dello sport e cardiologo, ha solide basi scientifiche, ulteriormente rinforzate da un anelito alla ricerca che favorisce collaborazioni di alto livello come quella con Guido Ferretti, eminente fisiologo delle Università di Brescia e Ginevra.
Insieme, a suon di articoli scientifici pubblicati su prestigiose riviste internazionali, hanno potuto dimostrare l’astrusità, nonché, sotto sotto, la vena di razzismo che permea di sé posizioni che attribuiscono le performancesdegli atleti keniania una sorta di privilegio di razza, piuttosto che riferirle a un dato sociale, ambientale, economico e culturale. Il dato antropologico si sposa, attraverso l’attitudine di questi atleti alla fatica, all’impegno, e, perché no, al sacrificio, con le idee innovative di Gabriele Rosa sull’allenamento intensivo.
Le idee non hanno gambe, però, se non vengono sorrette dalle qualità umane; la valutazione quantitativa, oggettiva, misurabile, deve andare di pari passo con quella qualitativa, apprezzabile attraverso le sensazioni avvertite direttamente dal protagonista della performance e trasmesse, direi, proiettate nel coach e da lui intuite, spesso felicemente indovinate.
La relazione tra atleti e coachnon è one way, ma è transitiva, va nei due sensi, tanto che si può affermare che la carriera di un atleta dipende dalle capacità del suo allenatore, ma anche che la carriera di un allenatore si giudica dai risultati dei suoi atleti.
E allora, senza ombra di smentita, posso affermare che Gabriele Rosa è uno dei più grandi allenatori, se non il più grande, nella storia della maratona moderna. Il cronometro, immancabilmente ciondolantedal collodurante gli allenamenti in pista,sull’asfalto o sulle strade accidentate e polverose del Kenia ha potuto tante volte essere fermatodalla sua mano su tempi eccezionali, spesso record del mondo nel mezzofondo, nel fondo e nella maratona. I suoi atleti rispondono al nome di Gianni Poli, Victor Rothlin, Moses Tanui, Paul Tergat, Martin Lell, Samuel Wanjiru, SammyKorir, Nancy Langat, Margaret Okayo, Janet Jepkosgei, fior di vincitori a mani basse di una miriade di medaglie d’oro.
Gabriele è stato capace di trasferire e far germogliare in loro il fascino della performance, sviluppando la capacità di ognuno di piegarsi alle obbligatorie innumerevoli fatiche e valorizzando il notevole livello di abnegazione e di allenamento necessario al raggiungimento dell’obbiettivo finale. Ma la stessa passione, la stessa grinta è stata messa negli allenamenti di amatori, di semplici sportivi che hanno voluto attingere dal suo carisma per portare un po’ più in là i propri limiti, giocarsela con le proprie potenzialità senza altra ambizione che il migliorarsi. Credere nel valore terapeutico del gesto atletico lo ha spinto ad occuparsi dei malati di diabete, concentrando su di loro attenzioni e risorse e dimostrando quanto il movimento e poi la corsa, se ben dosati, possano avere un valore non solo preventivo, ma decisamente curativo e riabilitativo. E decisamente dedicato alla riabilitazione  e al recupero sociale di ragazzi che hanno vissuto drammaticamente sulla loro pelle l’esperienza della tossicodipendenza è stato il suo incontro con la comunità di San Patrignano. Attraverso il correre in gruppo, ma anche attraverso i risultati sportivi che via via i ragazzi andavano ottenendo, ha saputo creare una situazione virtuosa che ha facilitato il mettersi in gioco, ma anche il senso di gratificazione e di soddisfazione che derivano dall’essere ripagati della fatica e della disciplina a cui si sono sottoposti.
Generalmente gli allenatori applicano teorie di allenamento provenienti da una scuola, per cui l’assunzione di una decisione sembra provenire direttamente e fideisticamente dall’applicazione di dati scientifici, di tabelle statistiche già note; Gabriele ha invece spesso messo in questione le teorie apprese, nonché la sua precedente esperienza per farsi guidare dall’intuizione che, come si sa, chi non ce l’ha non può costruirsela, e dalla sua capacità di ascolto.
   Uno dei vertici unificanti della sua attività dicoaching è costituito dal gusto per gli aspetti estetici insiti nel gesto atletico. Scrive Roland Barthes:[1]“Che cosa è lo stile? E’ fare di un atto difficile un gesto grazioso, è dare un ritmo alla fatalità. E’ essere coraggiosi senza disordine, è dare alla necessità l’apparenza della libertà”.
   Gabriele Rosa incita i suoi atleti alla ricerca del piacere anche nei momenti di massimo sforzo muscolare e lo collega al piacere della riflessione, dell’approfondimento successivo alla prestazione sportiva, della messa in discussione con tenace modestia di metodologie di lavoro nel caso che non abbiano dato i risultati preventivati.
Il coachingdi Gabriele Rosa può, a buona ragione, essere definito un’attività artistica su un substrato di aspetti scientifici e artigianali. Per lui e per la sua attività si possono usare termini come geniale, splendido, eccelso come per un regista di un’opera teatrale particolarmente ben riuscita.
Le sue qualità sono empatia, capacità di comunicazione dei propri intendimenti con parole adeguate, capaci di trasformarsi nell’atleta in sensazioni (assolutamente necessaria con atleti di altra madre lingua), buona disposizione a identificarsi con il proprio atleta e con le sue difficoltà, ma anche capacità di distaccarsi da lui, insomma individuazione della giusta distanza emotiva; e ancora pazienza (quando si arrabbia, sono dolori per tutti, ma la sua sfuriata passa come un temporale estivo e non lascia traccia), obbiettiva valutazione dei limiti, esercizio fondamentale per tentare il loro superamento, capacità di decidere in solitudine ed assunzione del relativo rischio in una realtà così effimera e, per alcuni versi, soggetta all’imponderabile come l’attività atletica che deve sottostare a un’infinità di parametri non tutti controllabili neanche dal più ossessivo degli allenatori.
La partitura sportiva non è mai scritta a priori, è tragicamente da comporre momento dopo momento e Gabriele, come il direttore d’orchestra, deve avere la capacità di vivere appieno ogni istante della prestazione del suo assistito e contemporaneamente essere in grado di anticipare l’istante successivo; in relazione anche alle prestazioni offerte dagli avversari, deve potere proporre strategie di gara alternative. Possiedecredibilità, autorità, spirito pedagogico, attitudine positiva e incoraggiante anche dopo risultati deludenti e quindi resistenza alle frustrazioni che trasmette ai suoi atleti, una buona dose di visionarietà, vigile e autentico interesse per l’interlocutore, chiara coscienza di sé,acuta capacità di memoria e di attenzione.
Allenare è per lui un atto creativo, emotivamente e affettivamente investito, la cui intensità psicologica, la cui dinamica è perlomeno pari a quella dell’atleta nel suo atto psicomotorio estremo, la performance.
La relazione allenatore/allenato si costituisce sempre come una relazione di seduzione con una molteplicità di sentimenti in gioco e di vicendevoli investimenti narcisistici. Ogni relazione, unica e originale, contiene in sé il rischio fusionale. Per evitare che la necessaria sottomissione alle regole imposte dall’allenatore non diventi un’attitudine passiva non elaborata è fondamentale che sia cosciente, dichiarata, reciprocamente contrattuale, liberamente consentita e finalizzata alla realizzazione diobbiettivi consensualmente stabiliti in precedenza. E’ proprio la condizione di autorità in cui il coachsi viene a trovare che rende centrale una ben definita posizione etica rispetto anche ai suoi propri movimenti affettivi, che devono essere riconosciuti ed elaborati proprio per evitare il pervertimento delle caratteristiche di seduzione appassionata spesso presenti nella relazione maestro/atleta. Questo importante necessario lavoro di continua elaborazione (workingtrough), il lavoro del contenimento affettivo non si apprende sui libri, né attraverso scale e diagrammi e talvolta abbisogna anche di un testimone esterno alla relazione allenatore/allenato.La costruzione e l’allenamento di un atleta si basano certamente sulla competenza dell’allenatore, ma questa è una condizione necessaria ma non sufficiente per condurre l’atleta al successo. Ci vuole una relazione intensa, per certi versi estrema, intessuta di vicendevoli idealizzazioni, un incontro tra il padre ideale e il figlio altrettanto idealizzato e investito narcisisticamente. Questa constatazione dà la misura della dimensione psicologica della posizione del coach, dimensione senza la quale la sua competenza e la sua esperienza tecnica, pur eccezionali, non possono trovare terreno fertile.
Gabriele Rosa sa tutto questo e il suo è un sapere fatto di silenzi, sguardi, smorfie, sorrisi, sospiri, rimbrotti, consigli, avvertimenti, precauzioni, incitamenti, abbracci, strette di mano, occhi umidi per la commozione, grida di entusiasmo infantile.
Questo libro ha altre caratteristiche originali rispetto alla miriade di manuali del buon podista, quasi sempre uguali uno all’altro, pieni di tabelle, ma vuoti di pathos. E’ un libro fatto di storie, quella di Gabriele Rosa e delle sue realizzazioni e quella di grandi atleti che, grazie alle loro imprese, sono passati dalla povertà al benessere per sé e per le loro famiglie. E’ un libro che descrive la multidimensionalità dell’attività di Gabriele Rosa: la fondazione del Marathon Center di Brescia, dove tutti, analfabeti sportivi, amatori e atleti professionisti possono essere sottoposti a rigorose valutazioni medico-funzionali per la necessaria protezione psico-fisica, ma anche per una buona graduazione degli sforzi in allenamento; il contratto di sponsorizzazione con la multinazionale di prodotti sportiviNike (l’unico concesso a una squadra, ilRosateam, e non a un singolo atleta); la costruzione di modernissimi training camp in Kenia per permettere ai più giovani di avvicinarsi al professionismo senza vivere il trauma della separazione dai propri cari, come avviene per molti ragazzi che emigrano per esempio da quel Paese in Giappone, e di consentire ai campioni già affermati di allenarsi in loco grazie a strutture alberghiere e sportive che nulla hanno da invidiare a quelle europee; l’invenzione del DiscoveryKenia, una manifestazione nazionale con gare di cross country e mezza maratona aperte sia ai ragazzini che possono esibirsi quasi giocando, che ai giovani che mettono in mostra le loro capacità nella speranza di essere selezionati per iniziare una proficua attività professionistica.
Vale la pena ancora ricordare l’attività sociale, strettamente collegata a quella sportiva. Gabriele Rosa ha instaurato la norma per cui è obbligatorio per qualunque ragazzo che utilizzi i training camp keniani, che frequenti le scuole con profitto. Le scuole keniane sono private ed è lui, quando i giovani ancora non sono in grado di permetterselo, ad addossarsi le spese. Mens sana in corpore sano; Giovenale sarebbe fiero di lui. A lui si deve anche la costruzione di ambulatori medici utilizzabili non solo dagli atleti, ma da tutta la popolazione dei villaggi viciniori. In un mio viaggio in Kenia ho potuto toccare con mano quanta profonda e autentica gratitudine venga avvertita e sobriamente manifestata dagli abitanti della Rift Valley per l’azione solidale del dottor Rosa.
Last butnotleast Gabriele Rosa si è decisamente impegnato per il miglioramento delle condizioni di vita e per l’emancipazione delle ragazze keniane proprio attraverso la pratica sportiva. Le ha aiutate a uscire dal ruolo sottomesso e ancillare che avevano nelle famiglie come madri, figlie, mogli per garantire loro una posizione autonoma, culturalmente e socialmente significativa e riconosciuta sia per i risultati tecnici ottenuti, sia per i conseguenti introiti economici, fondamentali nel garantire autonomia e libertà. Lo ha fatto con pazienza certosina, facendosi amico dei padri, interagendo con loro, entrando nella mentalità keniana, dialogando, ma mai rinunciando all’obbiettivo finale, la fine dell’assoggettamento delle ragazze. In più ha continuamente cercato di individuare, riconoscere e rispettare la specificità di genere nell’allenamento. L’allenamento e la pratica sportiva delle donne non sono e non possono essere lo scimmiottamento di quello che fanno gli uomini, la caricatura delle loro caratteristiche con la costruzione di un falso sé sportivo, ma deve tenere conto delle differenti caratteristiche fisiche, ormonali, psicologiche, culturali per esaltarne le potenzialità senza distruggerne l’identità.
Altri trainers sono venuti dopo dilui, alcuni imitandolo pedissequamente, altri arricchendo i suoi precetti originari, ma credo che a lungo Gabriele Rosa verrà considerato il pioniere dell’allenamento della corsa sulle lunghe distanze, l’esploratore di terreni impervi e fino al suo arrivo mai esplorati ma, grazie a lui, divenuti noti e ormai ampiamente attraversati.



Cosimo Schinaia, runner. E’ psichiatra e psicoanalista, membro della Società Psicoanalitica Italiana.

[1]Barhes R., (2004), Lo sport e gli uomini, Torino, Einaudi, 2007.

Nessun commento:

Posta un commento