"Non esiste inquietudine che, correndo, non si affievolisca e
pigramente si dissolva".
ECO MEZZA
DA BOTANPO A POTANBO
Piovera
(Al)
Le gare di corsa, le
ritrovi dove l’hai lasciate, interrotte.
Succede tutto in un baleno, come chinarsi per allacciare le
scarpe.
Una sorta inspiegabile
di spostamento temporale. Ecco, le riprendi in quell’istante,
da quel palpito.
Simile a quando afferri
delicatamente, ma deciso, la mano di un
bambino incrociando per la via nera volti sconosciuti.
Vuoi il braccio di un anziano
che s’appresta ad attraversare una strada trafficata.
Raccogli quel filo
magico, lo perpetri volesse il cielo frugando nello zaino/borsa in cerca di una
spilla, che immancabilmente ti punge e ferisce.
Rovistando nei ricordi
della maglia, divisa che indossi ad armatura.
Addirittura nel livore meno
peggio passeggero per aver dimenticato sul desco, nel buio dormiente di casa,
in cucina, questo o quello.
Facendo affiorare dalla
dimensione dei ricordi ognuno il proprio: il chilometro della crisi, quello che
ti fa volare, l’altro che per cabala non leggi, oltre il quale torni a sperare.
Oppure lo riaccendi
nell’istante d’un inciampo, nel saluto ad un ristoro. Ad un cinque,
un sorriso o
incoraggiamento.
Altrimenti tormentando
l’anima di domande.
Affidando a quella
intatta, onesta fatica, all’amplesso del respiro, lo scoppiettio del cuore
che ti sale fino in
gola, mastichi fra i denti, il compito di lenire gli urti della vita.
Alla “figuraccia” da salame per un ruzzolone,
capitombolo.
Alla felicità di
avercela fatta a correre, in quanto non è mai scontato giungere a tagliare il
traguardo.
La corsa non è
bugiarda, non mente, giammai fa sconti.
Ogni passo è sudato,
metro di terreno strappato prima,
poi conquistato, ciascun
respiro agognato, mischiato a sospiri.
Ritorna per incantesimo
lo stupore nel e provare l’emozione
della partenza, come se vivessimo di soli inizi, esclusivamente di esordi,
prime volte.
Accade quando tutto sorprende e nulla riesce a sopraffarti ancora.
L’angoscia dell’ attesa,
la paura del debutto …
E’ pazzesco, tutto
riemerge!
Piovera 86 m s.l.m si trova nel bel mezzo della campagna, fra
Alessandria e Tortona.
Ha il suo bel Castello
di mattoni rossi, paramenti a lutto risalenti alla morte di Bonaparte.
Ha il suo pianto in
marmo affisso alla facciata di una villetta poco dopo la partenza,
dove una linea nera,
incide i ricordi a testimonianza dell’altezza raggiunta dalle acque vicine all’epoca
dell’esondazione del “Tanì” risalente al tramonto del ‘94.
Una vecchia chiesa
sconsacrata, adibita a teatro auditorio, oggi epicentro, fulcro della
manifestazione.
Piovera, uguale:
campagna, pioppaia.
Pioppeti silenti, arruolati volutamente a
guardia degl’argini del Tanaro.
Linee smagrite nella
foschia della pianura brulla, sfinita dal grosso freddo, grasso carnevalesco,
richiamata alla vita dal sorriso del sole Balanzone.
Lungagnoni lenti
nell’essere, invisibilmente sommessi dal vento di dolore ivi espirò nello
straripare del “Tan”, conato di pioggia
dell’alluvione del 1994.
Alberi simili ad un reggimento mono arma, divisi in sfumati
battaglioni, compagnie disposte a folate improvvise, nel teatro di battaglia;
ove l’esercito amatoriale “Arlecchino” della domenica si è dato appuntamento, per
un novello scontro a gambe levate, in una contesa lunga 21km della mezza di
“Piòvra”.
Podisti appariscenti,
colorati loro malgrado dal Napoleone inverno. Obbligati a vestirsi quanto la
celebre maschera bergamasca.
Ridotti a celare le
estremità delle loro ombre allungate, come macchie improbabili, nuvole nel
cielo. Travestiti di gioia.
Ecomezza di Piovera,
significa correre sull’argine basso erboso fra cascinali e piantagioni di
inizio corsa.
Un tratto significativo,
centrale, cuore della gara sopra un argine breccioso, posto a protezione,
ultimo ostacolo alle frequenti tracimazioni dei fiumi Bormida, Tanaro e Po.
Gli ultimi chilometri su
sentieri fangosi, acquitrini ghiacciati trappola per allocchi.
Nel concerto, il
percorso ha palesato la sua bellezza, espressione di chete, immerso in una pace
sollevante, in un silenzio
incontaminato.
Tragitto centrato
nell’orizzonte su sfondo di colline discendenti che inducono il Tanaro ad
innamorarsi del fiume Po, ad unirsi unici per sempre.
Di Gilberto Costa
“Il fiume
l’ho visto: sornione, silenzioso. Potente piantagione acquosa”.
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