lunedì 1 ottobre 2012

Caruggincursa - cronaca di Elisabetta Iurilli


Caruggincursa 2012
di Elisabetta Iurilli

La sera prima della gara lo zaino è aperto ad inghiottire indumenti, scarpe e quant’altro è necessario ma inutile per la gara. Frugando tra i cassetti delle “cose da corsa” trovo una maglia bianca su cui campeggia un Cristoforo Colombo con le scarpette e il pettorale numero 1942. Anche questa maglia finisce nello zaino. E’ di cotone, non la userò durante i 10 km della competitiva, la indosserò dopo, per tornare a casa. Ci sono affezionata a questo capo. Il mio primo pacco gara …
La Caruggi è la gara che mi emoziona di più durante l’anno. Mi affiorano i ricordi dei miei timidi inizi, mi sfiora il pensiero di quanta strada ho percorso, quanta gente ho conosciuto, quanto la corsa mi ha regalato in questi anni. Ora il cuore batte come allora, sempre pronto ad accettare sfide nuove e
vecchi percorsi, sempre indomito lungo la strada, ma placato pian piano dalla fatica e dagli sforzi, sempre entusiasta al traguardo, perché, al di là del risultato, si diverte sempre un sacco.
La Caruggi significa anche avere il privilegio di correre tra i vicoli di Genova, annusarne gli odori, i suoni, gli umori, fare parte del centro pulsante di una città superba, avara, ma anche intrigante strepitosa, una città che mostra i suoi tesori solo a chi ci mette un po’ del suo per conquistarla, che non si apre a tutti, ma che finisce per entrarti nel cuore se hai l’onore di poterla frequentare.
La Caruggi è De Andrè nella testa, il mugugno palesato apertamente in una lingua antica e familiare da chi ti vede passare, è il profumo di focaccia misto alla puzza di fritto, è la luce del sole che viene a mancare in certi vicoli dalle mura alte, è la pavimentazione che varia sotto i nostri piedi, sono i saliscendi, l’omino che per un’ora urla “palo!” perché noi non ci finiamo addosso, è la lanterna che si vede in lontananza dietro ai Magazzini del Cotone.
L’ansia dei minuti prima della partenza la puoi toccare. Siamo tutti dei gran bugiardi quando diciamo che in fondo siamo qui per divertirci o per un allenamento. La sfida con noi stessi fa sempre paura, più di quella con gli altri. Lo sparo, i primi passettini fino a raggiungere l’arco, il dito che schiaccia un minuscolo pulsante, poi lo sguardo si alza, le gambe acquistano il ritmo e via del Campo ci inghiotte “… Ama e ridi se amor risponde piangi forte se non ti sente …”[1] Via s. Luca, i palazzi medievali poi trasformati in dimore signorili, il degrado dei tempi, i negozi dove mi sembrava di fare degli affari da giovane, piazza Banchi, la loggia delle merci, degli antichi traffici cittadini, delle palanche … “Ciao Betta sei in forma oggi? Ci sei a Novi?” Rispondo annaspando un po’ perché il fiato non riesco ad usarlo per parlare e per correre, riesco a fare solo una cosa alla volta …
Rientriamo nel porto antico, “Cristina!” urlo vedendo la mia amica. Stenta a riconoscermi tra gli altri che passano. Sono così le donne dei podisti. Cercano il loro uomo tra i tanti partecipanti per urlare il suo nome ad alta voce al suo passaggio, non hanno occhi che per lui. Quando qualcun altro le chiama le distrae solamente. Pazienza, domani la prenderò un po’ in giro!
I magazzini del cotone. Gli enormi yacth ormeggiati nascondono la Lanterna. Sono enormi ed arroganti nel loro lusso ostentato in tempi di crisi. Ma costruirli e mantenerli porta lavoro, quindi ben vengano anche loro.
Zona ristoro. Le infermiere della dialisi del s. Martino “dirottate” dal loro collega Paolo ad una mattina di volontariato per la gara, ci porgono acqua fresca tra mille battute. Domani indosseranno la loro divisa blu e lo stesso sorriso che donano a noi che corriamo.
S. Lorenzo, la salita, la fatica ricompensata solo dalla vista della splendida cattedrale e dalla speranza di piazza De Ferraris.
Passata piazza Matteotti infatti sai che arriva prima il piano poi la discesa.
Giù veloce a recuperare terreno, S. Matteo, scusa se ti do le spalle, sai che sei uno degli angoli di Genova che preferisco, torno presto … “Palo!” sì, ci dividiamo, nessuno si farà male … Salitina bastarda che mi frega sempre. Poi via Garibaldi solo per un pezzettino, perché ci sono i lavori. Deviazione dalla via Aurea, la via nobile di Genova, ci rituffiamo “ … nei quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi …”[2] via della Maddalena, stretta, con le indicazioni da turisti che pendono sopra le nostre teste. “Deviazione importante” sbuffa un runner vicino a me imboccando la salita che ci riporta in via Garibaldi. Un percorso ondulato, difficile nei bruschi cambi di ritmo, ma forse per questo affascinante più del solito. Infondo più si fatica in gara maggiore è la soddisfazione al traguardo. Via Cairoli, poi la discesa di via Lomellini, i ricordi di quando frequentavo lettere all’università, avevo vent’anni e sognavo. Se mi avessero detto allora che avrei percorso quegli stessi posti in una gara podistica non ci avrei creduto mai e poi mai.
Di nuovo via S. Luca, il porto antico e inizia il secondo giro. Di solito lo percorro in un tempo di un po’ superiore al primo, le gambe sono un po’ provate dalle salite, finiscono sempre per rendere di meno. E in certi tratti bruciano.
Taglio il traguardo felice, Paolo è lì che mi immortala, scolo la bottiglietta offertami, prendo la focaccia da Turi che mi fa una smorfia di disappunto quando mi vede afferrare il secondo pezzo. Ha un bel da fare a mandarci via, è troppo buona … poi vengono gli amici, i progetti di gare future, i commenti su questa, le discussioni sui tempi … Mi sento un po’ in famiglia. Una grande famiglia, col cuore che corre.




[1] Via del Campo Fabrizio De Andrè
[2] La città vecchia Fabrizio De Andrè

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