Caruggincursa
2012
di Elisabetta Iurilli
La sera prima della gara lo zaino è aperto
ad inghiottire indumenti, scarpe e quant’altro è necessario ma inutile per la
gara. Frugando tra i cassetti delle “cose da corsa” trovo una maglia bianca su
cui campeggia un Cristoforo Colombo con le scarpette e il pettorale numero
1942. Anche questa maglia finisce nello zaino. E’ di cotone, non la userò
durante i 10 km della competitiva, la indosserò dopo, per tornare a casa. Ci
sono affezionata a questo capo. Il mio primo pacco gara …
La Caruggi è la gara che mi emoziona di più
durante l’anno. Mi affiorano i ricordi dei miei timidi inizi, mi sfiora il
pensiero di quanta strada ho percorso, quanta gente ho conosciuto, quanto la
corsa mi ha regalato in questi anni. Ora il cuore batte come allora, sempre
pronto ad accettare sfide nuove e
vecchi percorsi, sempre indomito lungo la strada, ma placato pian piano dalla fatica e dagli sforzi, sempre entusiasta al traguardo, perché, al di là del risultato, si diverte sempre un sacco.
vecchi percorsi, sempre indomito lungo la strada, ma placato pian piano dalla fatica e dagli sforzi, sempre entusiasta al traguardo, perché, al di là del risultato, si diverte sempre un sacco.
La Caruggi significa anche avere il
privilegio di correre tra i vicoli di Genova, annusarne gli odori, i suoni, gli
umori, fare parte del centro pulsante di una città superba, avara, ma anche
intrigante strepitosa, una città che mostra i suoi tesori solo a chi ci mette
un po’ del suo per conquistarla, che non si apre a tutti, ma che finisce per
entrarti nel cuore se hai l’onore di poterla frequentare.
La Caruggi è De Andrè nella testa, il
mugugno palesato apertamente in una lingua antica e familiare da chi ti vede
passare, è il profumo di focaccia misto alla puzza di fritto, è la luce del
sole che viene a mancare in certi vicoli dalle mura alte, è la pavimentazione
che varia sotto i nostri piedi, sono i saliscendi, l’omino che per un’ora urla
“palo!” perché noi non ci finiamo addosso, è la lanterna che si vede in
lontananza dietro ai Magazzini del Cotone.
L’ansia dei minuti prima della partenza la
puoi toccare. Siamo tutti dei gran bugiardi quando diciamo che in fondo siamo
qui per divertirci o per un allenamento. La sfida con noi stessi fa sempre
paura, più di quella con gli altri. Lo sparo, i primi passettini fino a
raggiungere l’arco, il dito che schiaccia un minuscolo pulsante, poi lo sguardo
si alza, le gambe acquistano il ritmo e via del Campo ci inghiotte “… Ama e ridi se amor risponde piangi forte
se non ti sente …”[1]
Via s. Luca, i palazzi medievali poi trasformati in dimore signorili, il
degrado dei tempi, i negozi dove mi sembrava di fare degli affari da giovane,
piazza Banchi, la loggia delle merci, degli antichi traffici cittadini, delle
palanche … “Ciao Betta sei in forma oggi? Ci sei a Novi?” Rispondo annaspando
un po’ perché il fiato non riesco ad usarlo per parlare e per correre, riesco a
fare solo una cosa alla volta …
Rientriamo nel porto antico, “Cristina!”
urlo vedendo la mia amica. Stenta a riconoscermi tra gli altri che passano.
Sono così le donne dei podisti. Cercano il loro uomo tra i tanti partecipanti
per urlare il suo nome ad alta voce al suo passaggio, non hanno occhi che per
lui. Quando qualcun altro le chiama le distrae solamente. Pazienza, domani la
prenderò un po’ in giro!
I magazzini del cotone. Gli enormi yacth
ormeggiati nascondono la Lanterna. Sono enormi ed arroganti nel loro lusso
ostentato in tempi di crisi. Ma costruirli e mantenerli porta lavoro, quindi
ben vengano anche loro.
Zona ristoro. Le infermiere della dialisi
del s. Martino “dirottate” dal loro collega Paolo ad una mattina di
volontariato per la gara, ci porgono acqua fresca tra mille battute. Domani
indosseranno la loro divisa blu e lo stesso sorriso che donano a noi che
corriamo.
S. Lorenzo, la salita, la fatica
ricompensata solo dalla vista della splendida cattedrale e dalla speranza di
piazza De Ferraris.
Passata piazza Matteotti infatti sai che
arriva prima il piano poi la discesa.
Giù veloce a recuperare terreno, S. Matteo,
scusa se ti do le spalle, sai che sei uno degli angoli di Genova che
preferisco, torno presto … “Palo!” sì, ci dividiamo, nessuno si farà male …
Salitina bastarda che mi frega sempre. Poi via Garibaldi solo per un
pezzettino, perché ci sono i lavori. Deviazione dalla via Aurea, la via nobile
di Genova, ci rituffiamo “ … nei
quartieri dove il sole del buon Dio non dà i suoi raggi …”[2]
via della Maddalena, stretta, con le indicazioni da turisti che pendono
sopra le nostre teste. “Deviazione importante” sbuffa un runner vicino a me
imboccando la salita che ci riporta in via Garibaldi. Un percorso ondulato,
difficile nei bruschi cambi di ritmo, ma forse per questo affascinante più del
solito. Infondo più si fatica in gara maggiore è la soddisfazione al traguardo.
Via Cairoli, poi la discesa di via Lomellini, i ricordi di quando frequentavo
lettere all’università, avevo vent’anni e sognavo. Se mi avessero detto allora
che avrei percorso quegli stessi posti in una gara podistica non ci avrei
creduto mai e poi mai.
Di nuovo via S. Luca, il porto antico e
inizia il secondo giro. Di solito lo percorro in un tempo di un po’ superiore
al primo, le gambe sono un po’ provate dalle salite, finiscono sempre per
rendere di meno. E in certi tratti bruciano.
Taglio il traguardo felice, Paolo è lì che
mi immortala, scolo la bottiglietta offertami, prendo la focaccia da Turi che
mi fa una smorfia di disappunto quando mi vede afferrare il secondo pezzo. Ha
un bel da fare a mandarci via, è troppo buona … poi vengono gli amici, i
progetti di gare future, i commenti su questa, le discussioni sui tempi … Mi
sento un po’ in famiglia. Una grande famiglia, col cuore che corre.
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