mercoledì 18 aprile 2012

Trail de Gorrei - racconto di Gilberto Costa


L’alba del giorno seguente distante una notte dall’epilogo del
“giudizio universale” il cielo si mostra beffardo, una granita di stelle. Il graffio della luna inferto a levante luccica brillante. Il Gorrei nel mentre riposa immenso.
Trail de Gorrei 2012
“Il giudizio universale”
Il trail dei Gorrei 2012 non era in cerca di bellezza  estetica nella corsa dei suoi passeggeri, anime vaganti.
al gorrei interessava toccare il senso fatale della sorte umana, nell’umana sorte. Giudicare da padre, giusto, equo, non padrone.
Complice la fitta pioggerellina di giornata, i corpi degli atleti in gara assumevano nel volgere delle ore forme tozze e pesanti.
Da una parte i favoriti splendidi ed aurei, come foglie portate dal vento, volavano via da subito scappando verso l’alto
conquistavano faticosamente il cielo aggrappati alle nuvole, quasi fossero solide rocce, o con ambascia  per chi sa quale incantesimo per magia eretti.
Con inquietudine e disperazione pari alle loro “colpe” i dannati invece venivano trascinati, spinti verso il basso da “creature malvagie” da loro stessi proiettate.
Nebbia, pioggia, fatica e dolore, giungendo addirittura ad animarle tratteggiandone i connotati, profili bestiali.
 Pietre, vento ed alberi, erba, cespugli o pozzanghere prendevano vita come le tracce lasciate lungo il passaggio, orme  abominevoli impresse a melma nel fango.
Esseri sfavillanti nei colori, bruciati da brevi raggi di sole sommersi  negli abissi del cielo.
Senza effetto i dannati tentavano  l’assalto al cielo, neanche fossero novelli giganti, ma il Gorrei, con forza, li respingeva così precipitavano duramente, privi d’appello verso sentieri rosseggianti rassegnazione  e sangue.
Altri venivano ammassati in un angolo di dolore da “caronte” percossi  dal remo della loro stessa condotta, annegando le loro anime nell’acqua
 che il cielo gettava al suolo ove, la terra impermeabile respingendo catturava a se.
Il mitologico traghettatore delle anime agli inferi non era tuttavia disegnato come creatura nemica dalle anime inermi, piuttosto raffigurato idealmente quale esempio di costanza perenne, di un volgere eterno.
Il Gorrei frattanto con sguardo paterno e gioioso volgeva l’attenzione all’ascesa dei salvati verso il cielo, nel mentre da un’altra parte
schiacciati a terra i dannati  seguivano attoniti   il gesto imperioso e possente del Gorrei Gigante.
Salendo per l’ultima fatica in  località Moretti non c’era gioia nei volti dei salvati, solo cupo terrore fra i dannati verso il quale si volgeva il giudice divino del Gorrei.
La corsa agonistica si ricomponeva al termine, l’ira del gigante di pietra  era tremenda, tutti erano stati giudicati, il movimento vorticoso degli umani corpi si mescolava alle grida disperate, agli urli dei demoni, all’assordante suono delle trombe degli eletti che, com’è scritto sui sassi del Gorrei, annunciavano l’arrivo del suo eletto.
 Fabrizio Roux.

“Nel mio infinito disperato vagabondare ho provato ad oppormi con tutte le  forze ( … con quelle degli altri) allo strapotere dei miei limiti.
riparato sotto il mio elmo, aggrappato  stretto alla barba,
correndo diversi chilometri dentro i passi di un piccolo grande uomo, Emanuele Zambarino, lui si un GIGANTE.
Ho persino calpestato i ciottoli dopo il suo passaggio, respirato l’ossigeno del suo cielo. Offerto la mia  goffa forma nei passaggi contro vento, una sagoma riparo. Nulla del mio sacrificio  è bastato.
Ho resistito senza risparmio fino ad esplodere deflagrato dal ritmo indemoniato del suo cuore, triturato fra  i suoi passi e del  Gorrei sassi”.

“Scritto liberamente da: gilbertocosta@hotmail.it

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