Trail
del Gorrei.
“Betta, lo facciamo insieme il Trail del
Gorrei?” “Magari …” e in quel magari c’era tutta me stessa. Con la mia vita
complicata, le giornate troppo corte per fare tutto, figuriamoci per allenarmi
per cotanta impresa. Però che tentazione … non me lo chiedeva una persona
qualunque di correre con lui, me lo chiedeva Giovanni, il responsabile della
mia vita podistica, senza di lui io non saprei niente di quello che si prova
con un paio di scarpe di ginnastica ai piedi.
Come fare a dire di no?
Masone mi ha visto sveglia presto, correre
nel buio a cercare le salite. Ho maledetto il mio fiato pesante, il passo
goffo, i chili di troppo, l’urlo cieco dei polpacci che bruciano, il non
riuscire a correre con una determinata pendenza. Ho cercato le discese ripide
nello sterrato, ho tentato di vincere il timore di cadere, ho rovinato un paio
di scarpe …
Nelle mie ansie ero incoraggiata e
consolata dai sogni di un amico, anche lui iscritto a questo trail, ma per il
percorso lungo …
… immagino di cadere, ruzzolare
in un burrone ed il telefonino si rompe in mille pezzi. Beh, prendo il
fischietto, nell'impatto però la pallina che c'è dentro salta fuori, ci metto
una pietrolina
ma è pesante, provo ad urlare, non ho voce, allora recupero il "telo
termico" quel foglio di "cuki" che mettono sulle spalle a fine
maratona, ma una
folata di vento lo tramuta in aquilone ...
Non mi resta che scrivere un enorme help con le pietre sperando in un
elicottero attento, nessuno capisce l'inglese, accidenti.
Provo ad accendere un fuocherello, non c'è vegetazione, uffa!!!
Allora prego la natura, parla al suolo d'un tratto volo.
Fine del sogno.[1]
Vedo le foto di Giovanni su Facebook. E’
vestito da runner, è in un posto magico da cui pendono decine di salami.
Dice che si trova lungo il percorso di
gara … Si sta allenando, penso. Non posso sfigurare …
Piove, non fa che piovere il giorno prima,
penso ai sentieri, ai fiumi di fango che mi aspettano, ai prati pregni d’acqua,
alla giacca che fa solo finta di essere impermeabile, al freddo di questa primavera.
Poi, magari, domani Moretti di Ponzone mica lo trovo …
E invece, su e giù con Danilo per le
colline madide del Piemonte, riusciamo a trovare alla prima anche il piccolo
paese della partenza. E’ la simpatia di Beppe a stemperare un po’ la mia ansia,
o forse il fatto di essere ormai lì, di fronte al mio destino ineluttabile e
fortemente voluto.
Danilo è al suo primo trail, il battesimo,
fa un sacco di domande a cui vorrei saper rispondere, trova strano il modo di
calzare il pettorale alla coscia, è divertito da questo nuovo ambiente in cui
conosce ben pochi di quelli che frequenta tutte le domeniche nelle gare su
strada.
Io riconosco i miti di queste imprese, ne
sento parlare, ne vedo le foto, ne ammiro l’agilità e la forza. Ora sono qui in
carne ed ossa e per un pezzo di strada fanno anche il mio percorso!
Abbiamo tutti un’aria un po’ selvaggia ed
incosciente. Sono felice che nessuno dei miei familiari mi veda in questi
momenti.
Arriva anche Giovanni, anche lui in tenuta
da uomo duro. Da tempo non ci si vede. Mi viene da sorridere se penso alla sua
tenuta giacca e cravatta, quando ancora mi sembrava un uomo serio …
“Cosa
succede Betta?” All’epoca ero una sua cliente, e lui il mio rappresentante di
penne e accendini. Ero entrata nella mia tabaccheria col muso lungo di chi ha
appena avuto una brutta notizia. Avevo da poco iniziato a correre, ma, da
profana, avevo sbagliato tutto ciò che potevo sbagliare. A cominciare dalle
scarpe che mi avevano cotto i piedi e fatto cadere le unghie. “Si dia alla
calzetta, non corra più neanche per sogno” era stato il responso di un medico
con qualche chilo di troppo. Avevo iniziato a raccontare il verdetto a Giovanni
quando lo vedo slacciarsi le scarpe lucide, togliersi un calzino e farmi vedere
il suo piede nudo. “E’ più o meno così anche il tuo? Lascia stare quello che ha
detto il dottore. Sono un maratoneta, dai che ti do due dritte!” Mi aveva
ridato speranza, fatto correre e infine introdotto nell’ambiente podistico. Un
paio di gare insieme, poi io avevo continuato per la mia strada e lui aveva
smesso. “Mi sono stancato” mi aveva detto mentre lo ascoltavo incredula. “Come
Forrest Gump!”
Il cielo ha voluto baciare ogni
partecipante in partenza per mezzo della sua pioggia. Era forse il suo modo di
sfidarci. Il via è arrivato sulla musica di Rocky, mentre i più urlavano un
liberatorio “Adriana, Adriana!”
Una salitina in partenza, poi inizia una
lunga discesa di sterrato, un sentierino ci mostra il primo fango su cui si
riesce a fatica a stare in piedi, ma ci si aiuta, vedo mani che mi sorreggono,
altre che mi recuperano nel momento difficile, grazie!
Al primo guado un’asse fa da passerella.
Non mi bagno le scarpe, penso, ma i piedi sono già fradici. Si corre su e giù
per sentieri, prati, spunta anche un laghetto, vicino c’è una casupola. In giro
è’ tutto bagnato, i fiori hanno il capo chino, gli alberi gocciolano sulle
nostre teste, le scarpe a tratti sono pesantissime, ma non desidererei essere
altrove. Mi sto divertendo da matti a correre, schizzarmi di fango, prendere Giovanni
e farmi prendere, rotolare sulle pietre, fra le pietre, guadare corsi d’acqua
senza paura di immergermi fino alle ginocchia in una giornata fredda. Ci sono i
burroni, se non guardo giù non ho paura, il panorama altrove è da urlo, lo
immagino in una giornata più clemente, voglio tornare, fatico in salita,
ansimo, penso che i polpacci questa volta sanno il fatto loro, i bastoncini
affondano nel terreno, scaricano le mie spinte, mi aiutano in salita. Com’è
bello questo trail!
Poi Giovanni diventa taciturno, una smorfia
di dolore, un crampo. Il primo di una lunga serie. “Tu vai!” “No!” rispondo
fiera. Siamo solo al decimo chilometro. Ne mancano più del doppio. Arriveremo
tardi, ma per me il mio amico ce la può fare. Ha anche smesso di piovere, a
tratti un po’ di nebbiolina, ma abbiamo la fortuna di conoscere Andrea e Laura
che ci accompagneranno fino alla fine. Abbiamo più o meno la stessa età, la
vita piena di guai, la passione per lo sport, per la natura, ci si racconta
come se ci si conoscesse da sempre. E intanto i chilometri scorrono sotto i
nostri passi, il paesaggio diventa a tratti aspro, come quando a mezza costa il
fango non ci lasciava salire nel bosco, a tratti ospitale come nella splendida
pineta o nel tratto prima del bivio per i quarantasei km.
Giovanni fatica ma non molla.
Dopo un sentierino stretto su un costone di
un precipizio intravedo una splendida cascata. Mi si apre il cuore, è da
poster, bellissima, il vero premio per aver fatto tante fatiche. Andrea dice
che la dobbiamo attraversare. Io ci ho preso gusto a questo contatto con
l’acqua, tanto a saltellare sulle pietre che portano dall’altra parte non ci
riesco, e le caviglie un po’ ne traggono giovamento. E’tutto splendido, mi godo
il momento, la mente sogna, il cuore è appagato, si può ripartire. Siamo quasi
arrivati. Giovanni mi dice che ha seriamente pensato di non farcela. Chissà
quanto ha sofferto, ma è stato un duro, ha tagliato il traguardo. Lo tagliamo
insieme, mio marito ci aspetta, scuote la testa. “Non ti ho perso neanche questa
volta …”
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