martedì 7 agosto 2012

Trail dei Fieschi - cronaca di G. Costa


Trail dei Fieschi 2012
“Vissuto”
La gara partita alle 16 locali si è dipanata come tradizione nel passaggio iniziale per i vicoli stretti del paese, entrando nel “dopo pranzo” della gente di Savignone. Sfiorando usci cheti, calpestando soglie sorridenti, giardinetti in festa, orticelli in fiore. I più piccoli ad accendere la miccia: timidi applausi, qualche impacciato
incitamento, cartoncini e lenzuoli disegnati con i pennarelli. Quanta fatica in quei tratti calcati.            Lasciato alle spalle il bagno di folla,  inizia quello di sudore. L’inizio della salita che porta al pianetto è ardente. Tratti scoperti alternati ad altri difesi da castagni  che stentano a mitigare la calura. Nei momenti  aperti al sole non c’è abbastanza aria per respirare, non c’è sufficiente azzurro al quale abbandonarsi. Persino le ombre si fanno sottili fino a dissolversi nel rogo delle rocce incandescenti. I primi vanno via. Eppure sembrano lenti, appaiono miraggi lontani, se ne vanno. Il bianco candido della cappelletta appoggiata in vetta al piano, segna il primo confine fra oblio e sofferenz. Si scende cavalcando la spina dorsale scarnificata  dal tempo. Terreno solitamente calpestato con agilità propria alla sua natura da capre di montagna. Ovini soliti ad evoluzioni mozzafiato sopra la magia del forte dei Fieschi. Fortezza  protetta da un cordone di rocche poderose, dominare con  lo sguardo la valle sottostante,consumato quel tanto da renderlo simile ad un castello di sabbia aggredito dalle onde, sopportare con veemenza lontana le scorribande delle epoche, assalito dall’evo. Il bosco travalica i partenti in direzione Inagea. Un’angusta discesa in contropendenza irta di trabocchetti, sparsi nella terra asciutta, secca  e  sdrucciolevole. Superficie calpestata che genera polvere, impasta bocche assetate dei disseminati, soffocando l’ossigeno di pulviscolo acre. Finito la discesa, il sentiero, spiana brevemente, si allarga mutando i trailers in trattori ecologici  con motore a scoppio, altri  a  pedali. La tregua con la sofferenza è esile quanto un filo d’erba, precisa pari ad un laser chirurgico. Si asfissia nei conati di vomito, chi nei  crampi. Milza, reni e fegato  pulsano fitte di dolore, fendenti mirati, vere stilettate. Si  scoppia, si salta in aria. L’odore di sudore diventa puzza schifosa. Il bosco capisce il momento, si fa silente. Avvolge la fatica di un rispettoso silenzio. La salita si fa cattiva, continua, noiosa. Solo il vento sussurra fra gli alberi piccoli aliti di vento, dolci brezze soffiate alle sagome che si fanno deformi. Volti scavati dallo sforzo, occhi sfiniti di fatica. Le fauci soffocate lente muoiono. Si riemerge agonizzanti nei prati di Martellona, tutto diventa sordo. Sembra un film muto. Eppure le persone esistono, i volontari applaudono, incitano, incoraggiano, macché tutto vano. Legati simili a schiavi con catene alle caviglie, veniamo trascinati da i negrieri della competizione fino a risalire il meteorite monte Maggio raggiunto da dietro,  alle spalle, per nulla  sorpreso od intimorito da guerrieri svuotati, asciugati dentro. Privati di tutto, essiccati dalla solitudine. Impagliati e messi sulle pareti del percorso come animali da caccia grossa. Una rappresentazione tragicomica, un safari.                                                                                                                                                                  I mille metri  del Maggio vengono salutati dalla miriade di scatti fotografici che tributano ai superstiti Sonia ed il redivivo  Matteo Ceschina … forse altri. Capace di smettere il capellino alla Vasco, infondendo luce al suo volto. Era l’ora, bravo!                                                                                                                                                                                           Si rotola a valle con quel che resta, desiderando l’acqua, sospirando l’arrivo. Una discesa fantastica, una galleria larga, ombrosa. Le fronde carnose, serrandosi restituiscono un po’ di lucidità a cervelli ormai in pappa. Neanche il tempo di accorgersi  del dinosauro ex Colonia che il bosco inghiotte pensieri uomini e parole. Sali e scendi che permettono di conquistare con fatica incontrollata i piedi di Savignone. Nuovo passaggio fra le casette all’ora dell’aperitivo. In attesa di cenare, attendono il passaggio dei sazi corridori plaudendo tutti. Traguardo che viene tagliato all’ingresso del parco di palazzo  Fieschi al cospetto dell’anfiteatro montuoso appena battuto. 
Di Gilberto Costa

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