Caruggincursa 2011
“… Noi siamo quelli delle illusioni delle grandi passioni,noi siamo quelli che vedete qui.
Abbiamo frequentato delle pericolose abitudini …
Noi siamo liberi di volare …
liberi di sognare …”
Il Vasco di sempre mi accompagna alla Caruggi, alla mia gara preferita, quella nel cuore di Genova.
Sono insolitamente in anticipo, mi voglio gustare tutto, voglio cogliere gli ultimi preparativi, gli arrivi festosi, l’ansia dei grandi, i sorrisi dei bimbi, le impennate dei gabbiani, il rifrangersi delle onde del mare.
Il pettorale lo ritiro dai Genovini della mia società. Riuniti nella solita panchina circolare, dove per stare insieme bisogna darsi le spalle. E insieme a propositi di km ci si scambia pezzi di vita rimasti in sospeso. Ad ogni gara un aggiornamento. E senti che anche se la vedi poco quella gente ti capisce, perché è fatta della stessa sostanza di cui sei fatto tu.
Cerco un attimo di solitudine, ne ho bisogno. Il riscaldamento è una scusa per uscire dal gruppo.
Ha iniziato a piovere, gocce grandi e calde che non dureranno a lungo. Il colore del cielo è quello dei tetti di Genova, un colpo d’occhio fantastico. Mi dirigo verso l’acquario, poi la Nave Italia. Quando ero più giovane qui venivo spesso. Se ero in crisi, osservare il volo dei gabbiani placava i miei tormenti. Proseguo verso il mare, verso la passerella di legno sulle zattere.
Francesca dove sei? Dove sono i panini di Sottoripa, quelli scelti tra mille gusti, quelli che colano olio che ci piaceva tanto mangiare insieme sedute su queste panchine sospese tra cielo e mare? Lo faremo ancora? Riusciremo ancora a stare sole io e te ora che fra noi c’è Martina?
… Noi siamo liberi, liberi, liberi di sognare, liberi, liberi di ricominciare …
“Ciao, dove sei stata che non ti abbiamo più vista?” E’ la Susy, che mi lascia anche il segno del rossetto, ma poi è anche l’abbraccio di Sara e di Dorothee, la Gina e la gioia reciproca nel vederci la si legge negli occhi. Grandi donne. Rocce. Dolcissime, intrepide lottatrici, nella vita come nelle gare.
Cerco i ragazzini, lo so che ci sono, anche se non me l’hanno detto. Sono a scaldarsi con tutta la tribù, scesa dalla Valle in gran numero quest’oggi. Decido prima di osservarli, con la scusa di stirare i polpacci, e mi avvicino a Bessini il vecchio, che a sua volta sta guardando compiaciuto la truppa che ha radunato quest’oggi al gran completo. Un po’ burbero, un po’ contestatario, un po’ turbato dalla presenza di troppi suoi coetanei a cui stare attento in gara. Ma sa che il figlio si farà onore, che Danilo spenderà ogni forza, che Alessandro finirà con l’appassionarsi sempre più, che i due che non si sono iscritti in tempo alla competitiva si faranno onore nella corta, che Michela sarà la prima donna del gruppo e ritornerà presto anche ad altre gare, che Massimo c’è …
“Betta non vieni?” Mi unisco. Danilo e Alessandro ai miei lati, mi raccontano della Acqui Cimaferle, dell’acqua che hanno preso, ma sempre meglio del sole della mezza di Arenzano, anche se al tramonto, mi dicono che si stanno divertendo, che Alessandro con l’inverno non mollerà perché gli piace troppo questo mondo che … ma vengo fermata da un altro abbraccio, quanti oggi, è Roberto, che mi racconta della sua maratona sul lago di Garda dove il sole ha fatto da padrone, ma ecco Lucia … quella di tutti i giorni al S. Martino, sta cercando la posizione migliore per vedere suo marito in partenza … e quando è al seguito di Pasquale Lucia è splendida. Cambia proprio, si illumina, si trucca in modo più vivace, risalta maggiormente gli occhioni verdi e si scopre le ginocchia. Tutto per il suo uomo!
Mi giro e vedo il nastro di partenza su cui si stanno piombando i primi runner, quelli più bravi. La Susi ci arriva di corsa alla sua posizione in prima linea, ha già tirato fuori gli artigli e tramutato la sua espressione dolcissima in quella di una tigre. Altri le stanno sgomitando accanto. Pian piano tutto diviene calca e la tensione si fa palpabile. Sono un po’ distante devo affrettarmi anche io sennò parto troppo dietro. E mentre cerco il mio spazio “sardina” vedo Massimo nei miei paraggi. “Ma che ci fai qui?” Mi risponde che non è in forma, ma lui è una persona umile e lo sgrido simpaticamente invitandolo ad allontanarsi da me.
Mi piazzo vicino a Beppe, come nelle serali piemontesi, come nelle mezze importanti, come sempre. E’ una presenza rassicurante. Scorgo poco più in là l’onorevole … e il pensiero va al libro di antropologia che ho dovuto studiare per un esame universitario. Ne aveva fatto pubblico elogio nella presentazione da lei curata. Io invece non ho apprezzato assolutamente nulla di ciò che veniva proposto né il modo in cui veniva esposto il pensiero dominante. Mi ero chiesta se aveva letto davvero il libro, o se quelle righe, infondo, si potessero adattare bene a qualsiasi scritto … poi mi ero ricordata di lei con la magliettina rossa e i pinocchietto faticare al sedicesimo km della Mezza di Genova. Lei che annaspava, ma che non mollava, lei che infondo è una donna come me, una runner. Allora l’avevo perdonata …
“… dovrete guadagnare centimetro per centimetro il vostro percorso …” l’atmosfera si sta surriscaldando, il grande evento si riconosce dagli speaker, dalla musica alta, dal numero elevato dei partecipanti “ … dovrete uscire dal baratro e lottare …” Betta ti ricordi? Ricordi la tua prima gara, quanto tempo è passato, quanti chilometri hai fatto, come sei cambiata, ora hai consapevolezza di te, non ti nascondi più, se vuoi una cosa lotti per averla, ma sei partita di qui dalla Caruggi “ … e al mio via scatenate l’inferno!”
L’arena è Genova con i suoi vicoli stretti, i gladiatori siamo noi, cuori intrepidi da leoni che sprigioniamo la nostra forza, la nostra vita nel susseguirsi dei nostri passi veloci, liberi di volare finalmente, liberi di sognare.
… Se ti inoltrerai lungo le calate dei vecchi moli In quell'aria spessa carica di sale, gonfia di odori lì ci troverai i ladri gli assassini e il tipo strano quello che ha venduto per tremila lire sua madre a un nano …
I vicoli frenano, siamo in troppi, chiedono rispetto, ti circondano della loro oscurità. Noi rispondiamo colorati, valanga allegra, gente in festa perché quando si corre si ha il cuore leggero.
Mentre percorro queste strade è impossibile non pensare al grande Faber. Lo sento vicino con la sua voce vellutata e l’atmosfera unica che sa creare con le sue canzoni
Magazzini del Cotone, tratto piano che ora non disturba, ma che al secondo giro mi stancherà più della salita di S. Lorenzo, chissà perché … Ci sei tu e il mare, le navi ormeggiate, il cielo e la Lanterna, alta bella, imponente, simbolica. Poi è palazzo s. Giorgio, il chiosco coloratissimo di frutta esotica e la salita importante della gara, sia per la difficoltà che per i monumenti che si incontrano. Ed è Genova, quella vera, quella che prende in giro gli uomini che corrono dicendo che a fare certe cose viene “il belino molle”, quella che piuttosto che farti il tifo, come avviene dalle altre parti, ti squadra e sorride fra i denti, quella che mugugna al tuo passaggio perché ogni motivo è buono per farlo ed il mugugno non costa niente, quella dei turisti che ci guardano stupiti, evento nell’evento nella loro visita del capoluogo ligure.
Piazza de Ferrari, la bella fontana ariosa, la luce, la discesa veloce di nuovo nei vicoli, il buio, poi di nuovo salita, via Garibaldi, la via Aurea, i palazzi importanti sedi di musei e si scende di nuovo in via della Maddalena e di lì verso il traguardo.
Passano le gazzelle nere, le bianche inseguono, tra bici e moto strombazzanti, i campioni stanno finendo la loro gara, io ho ancora un giro. Di sudore, lotta e fatica. Cercherò di dare il meglio. Sento Massimo, già arrivato trai i primissimi che urla il mio nome, sento l’orgoglio di una città che mostra i suoi gioielli, sento il mio orgoglio di correre tra essi.
Arrivo stanca, sfinita, un po’ per la fatica delle gambe, un po’ per le emozioni che mi hanno travolto. Cambio maglia. La canotta societaria pregna di sudore viene sostituita con la maglia dell’edizione numero 3 della Caruggincursa. E’ la maglia più bella che ho. Di cotone bianco, con un Cristoforo colombo vestito da podista che corre tra i monumenti della Superba col pettorale numero 1492.
Abbraccio ancora amici, ci scambiamo impressioni, ci diamo appuntamenti alla domenica dopo.
E proprio quando sto per andare a prendere l’auto per andare a casa, un ragazzo mi chiede di fermarmi, Guarda la maglia che indosso, dice che è stata la sua prima gara, che poi non ha più smesso di correre … proprio come me.
Di Elisabetta Iurilli
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