lunedì 9 maggio 2011

Vai come vuoi - di Elisabetta Iurilli

Via come Vuoi
di Elisabetta Iurilli



Sono allineata in partenza. Ultimissime file come sempre. Non riesco a capire se siamo partiti e c’è un imbuto o se, semplicemente, è stato chiesto al gruppo di avanzare un po’. Seguo il gregge come una brava pecorella litigando con il mio orologio, poi decido di guardarmi indietro. Allineati sotto un arco giallo gonfiabile ci sono i bambini della 3 km. Sono meravigliosi. I piccini davanti, i più alti dietro, secondo un ordine di logica che noi
crescendo abbiamo perso. Assorti, battaglieri, vivaci. Chissà se il sogno continuerà da grandi …
Arriva lo sparo quello vero, quello che si sente anche tra noi che chiudiamo il gruppo, ed è subito uno scatto in avanti a guadagnare il più possibile in questa discesina di Villa Serra.
L’asfalto arriva subito a segnare il nostro percorso. I numerosi volontari con le bandierine ci proteggono dalle auto un po’ arrabbiate di chi si trova la strada occupata e non capisce. Ai lati qualche passante incuriosito, qualche battito di mani, i fotografi ad immortalare i nostri sforzi. Noi corriamo. Passiamo veloci col nastro grigio sempre sotto. Avvolti nei misteri delle nostre vite, concentrati nel risultato che vogliamo ottenere, col cuore che batte a segnare la nostra fatica, la nostra lotta.
“4 km di piano all’inizio … “ diceva un podista vicino a me. “Piano falso come Giuda!” mi viene da pensare ora che lo percorro. Nella mia memoria il tracciato iniziava con 8 km di salita. L’anno scorso avevo partecipato alla mia prima edizione di questa gara, e mentre transito su questo primo tratto di strada mi chiedo se oggi non avessi nient’altro da fare che svegliarmi presto per venire qui a faticare. Ma poi so che i pensieri cattivi passano, subentra il divertimento, la gioia dell’esserci, del sentirsi vivi, la fierezza del sapere che il traguardo che si avvicina.
Ora è solo lotta. Con le curve che si susseguono e fanno vedere solo salita, con i profumi degli alberi in fiore di cui non mi posso deliziare, con un fisico a cui chiedo di dare sempre di più. E’ la testa che comanda, la mente che durante la settimana fa i conti con realtà molto diverse, ma che ora si concede solo di dare ordini ben precisi ai miei muscoli.
Intorno gente dal fiato sempre più corto, sempre più provata. “Le salite mica le inventano solo per me, le percorrono anche gli altri!” mi viene da pensare. Quando si fatica non viene mai in mente che non siamo i soli a lottare in questo mondo. E invece tutti, chi più chi meno …

… Grandi corridori di corse in salita
Che alzavano lo sguardo (dal manubrio)
Per vedere se fosse finita
Allenati alla corsa allenati alla gara
E preparati a cadere
E a tutto quello che si impara …[1]

Ampie vallate intorno, tanto verde, paesi abbarbicati ai monti qua e là, località di cui ignoro nomi e storia, ma i cui abitanti sono di sicuro un po’ zeneizi come me.
Si gira, un gruppo di case antiche, tra loro un viottolo di pietre ed erba. Se non abitassi già nel mio amato paese vorrei abitare in un posto così. Intanto sono contenta di correrci in mezzo, anche perché, se memoria e Garmin non mi tradiscono, fra poco arriva la discesa.
Punzonatura e ristoro. Mi accorgo di avere tanta sete, mani gentili mi porgono acqua e sorrisi, e così, oltre all’appagamento fisico, viene garantita una coccola a tutti.
Giù per la discesa ripida, che sballo! Costeggio una chiesetta di cui si vede una traccia medievale nel campanile, ma non ho tempo di fermarmi, ora finalmente posso dare sfogo alle mie gambe provate dalla pendenza di prima. Qua trottano contente, anche se la testa ogni tanto frena i facili entusiasmi “Ricordi l’anno scorso, nell’ultimo pezzo piano quanta fatica? Avevi bruciato tutto, non ti era restata neanche un po’ di forza …” Ma gambe e testa non comunicano volentieri, la razionalità è spesso un optional di lusso …
E così giù a palla fin dove possibile … e la frase, quella di De Andrè scritta su un muro, ci sarà ancora? Ma sì, eccola lì, in tutto il suo splendore di poesia:

… Una corsa degli occhi negli occhi
A scoprire che invece
E’ soltanto un riposo del vento
Un odiare a metà …[2]

E la mente vaga alla bellezza del primo verso, alla difficoltà di guardare negli occhi, a quella di non abbassare lo sguardo, di non nascondersi dietro un paio di occhiali …
Ma la discesa è finita, cavoli, e mancano ben 2 km, e ho finito la benzina, e non potevano metterlo qui il traguardo, perché proprio laggiù, sarà pure incantevole il posto, adatto al pasta party che seguirà, ma la fine della gara andava fatta qui, non laggiù …
Sono gli ultimi chilometri di una gara, come l’ultima ora di lavoro, quelli che fregano, quelli che pesano di più sulle spalle, che si vorrebbe saltare a piè pari. Cerco di camminare, ma poi, dannazione, spunta il fotografo, e stringo i denti (non sia mai …) e corro, ma fuori dalla portata dell’obbiettivo … spunta l’amico che mi saluta, di nuovo a passo di gara, e mentre gli sorrido e contraccambio il saluto dentro di me lui sta prendendo ben altra via … spunta il vecchietto che fa il tifo e indica che il traguardo non è il primo arco ma il secondo … e lo mando in cuor mio a far compagnia all’amico e al fotografo, ma intanto … sono arrivata.
Stanca e felice come ad ogni gara.
I bambini che hanno gareggiato hanno la medaglia al collo. Sono ancora lì per i prati, continuano a rincorrersi, loro non hanno ancora finito di sognare …



[1] Naviganti Ivano Fossati
[2] Disamistade Fabrizio de Andrè


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