… Penso che andrò a correre …
di Elisabetta Iurilli
Stanche ma felici. Portavamo a casa un bottino ricco, sudato, che ci era costato notti insonni e tanti sacrifici. Ma più si soffre più si gusta il premio finale.
Stavamo uscendo dall’aula di anatomia, piena di scheletri, leggere come due farfalle. Non me l’aspettavo che Deborah si fermasse ad attendere l’esito del mio esame. Lei il suo l’aveva affrontato e superato poco prima di me. Poteva andare a casa a mangiare, a godersi il suo momento di gloria, invece aveva deciso di aspettarmi, per consolarmi o dividere la sua gioia con me. E pensare che quando avevo deciso di riscrivermi all’università mi facevano più paura loro, i “ragazzini”, degli esami …
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“Cosa fai oggi pomeriggio Betta? Io ora apro il barattolo di Nutella e ci do dentro, poi mi piazzo sul divano e ci passo la giornata! Insomma recupero!” La guardo sapendo cosa mi aspetta: “… Penso che andrò a correre …” Deborah mi osserva a sua volta con quel sorrisino tipico di chi non capisce e comunque compatisce … Le ho letto in volto “Ma non sei vecchia per fare certe cose? Hai ancora voglia di fare delle fatiche? Chi te lo fa fare? …” E mentalmente le ho risposto “Ti aspetto alla soglia dei quaranta, quando avrai voglia di una cosa che sia tutta tua, non della casa del lavoro della famiglia … quando il corpo sarà un po’ appesantito e ti verrà paura di …”
Baci, abbracci, saluti e ognuna via per la sua strada.
Gusto il momento di infilare le scarpe da ginnastica per tutto il viaggio Brignole-Masone.
Poi finalmente arrivo, libri da una parte, vestiti che volano via altri che scivolano a ricoprirmi e sono, in strada!
La corsa come liberazione, la corsa come premio, la corsa perché sono felice.
E mi sembra di sentire per la prima volta il rumore dei miei passi che toccano ritmicamente l’asfalto. Sento la fatica della salita che affronto da fredda e mi piace che mi stanchi, che mi chieda un po’ di sofferenza e rispetto. Niente si ottiene con le scorciatoie, niente senza fatiche. Quante cose mi ha insegnato la corsa. Rimettermi in gioco. Come in un’altra gara, un altro traguardo importante da tagliare. Quando sui libri mi si incrociavano gli occhi pensavo di essere al 37° km di una maratona. Più volte in questo punto per me cruciale ho pensato “Basta, ora può bastare, mi sono divertita abbastanza ora però non ne posso più …” Non ho mai mollato, mai un ritiro prima del tempo, il traguardo l’ho sempre tagliato al quarantaduesimo. Così con lo studio. Stringo i denti e vado avanti. Entreranno in testa i nomi di tutti ‘sti cavolo di muscoli, le loro origini, le loro inserzioni …
E mi scopro a ringraziarli i miei muscoli che mi portano lontano, mi fanno correre con il loro meccanismo perfetto di contrazione e allungamento. Ho scoperto di avere un tricipite della Sura con qualche acciacco, ma ora so che lo posso chiamarlo per nome e cognome e mandarcelo all’occasione!
La discesa, riprendo fiato. Guardo gli alberi tagliati, il gelo ne ha fatto strage, la galaverna li rende bellissimi ma li uccide.
Ho corso col ghiaccio una di queste mattine. Si scivolava un po’, ma vuoi mettere la bellezza di una natura di cristallo? E il cric croc sotto le scarpe …
Un crocchio di signore mi saluta. Una di loro è un po’ come una nonna per mia figlia. Sento gli occhi di Lina che mi seguono mentre mi allontano. Noi podisti suscitiamo simpatia. Gente strana, un po’ maniaca, ma tutto sommato innocua … corrono, si stancano, sono felici …
Sono in aperta campagna quando decido di tornare. Ho vagato libera, la mente vuota. Sono entrata nel grigio umido della nebbia, ho sentito gli uccelli spostarsi da un ramo all’altro al mio passaggio. Sono stata inseguita da un cane che in realtà aveva solo voglia di giocare. Ho dato sfogo alla mia voglia di vivere ogni attimo come fosse il più prezioso.
Ora sono stanca. Un ultimo sforzo, ancora qualche ora al lavoro, poi anche io come Deborah … Nutella e divano!
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