venerdì 7 gennaio 2011

Carpaccio alla genovese al Campaccio

CARPACCIO ALLA GENOVESE
di Attilio Pellero
Il Campaccio è una corsa campestre organizzata a San Giorgio su Legnano dall'Unione Sportiva Sangiorgese. Il nome deriva dal fatto che nelle prime edizioni il percorso della gara si snodava tra le stradine di campagna del Comune. Oggi è considerata una delle cinque campestri più importanti d’Europa. Dopo 54 anni una formazione ligure ha fatto qualche cosa di importante. Ho avuto il piacere e la gioia di assistervi e ho provato a trascrivere il resoconto di quella giornata.
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La gara comincia con due minuti d’anticipo su un sinuoso percorso che si snoda a biscia fuori dallo stadio comunale: tutto ben diverso, più compatto e godibile per lo spettatore rispetto al percorso su cui avevo gareggiato 38 anni prima. Assenti giustificati Stalin Ginanneschi (Stalin per la spietatezza e la vaga somiglianza all’originale, intendiamoci), Eleonora Serra da Savona e Luigi Deplano: eccellenti nuovi arrivati del 2011.

Dopo il primo rettilineo il serpentone dei primi 300 (non tutti giovani ma certamente forti) si allunga sui campi di San Giorgio. A Lambert manca tutto tranne il coraggio. Si arrampica sulle gobbe del campo come nel gruppo; un posto alla volta agguanta una decima posizione che vale oro, conquistata con la caparbietà del lottatore di razza, che manterrà sino alla fine sorretto dal nostro entusiasmo.
Sebastiano salta e rimbalza su un terreno non amico ma non smette un istante di lottare e reagisce con rabbia a ogni incitazione. Ne lascia 30 dietro di sé nella sua categoria ed è ben giocato.
Ma siamo solo all’antipasto, perché il bello deve cominciare.
Insieme ad Alberto II Azzarini il Grande tendiamo l’orecchio per sentire lo sparo e aguzziamo la vista per scorgere i primi all’uscita dallo stadio quando partono i <master>: i 160 veri <veci> intendo.
Non abbiamo binocoli, ma passato il primo arco vediamo distinta una figura nero-bianca che bracca un fuggitivo. È lui, non è lui.
<È  Pier Mariano> esulta Lambert, non pago del risultato e passato subito al gruppo del tifo organizzato che salta da un lato all’altro del percorso.
<È leggerissimo> mi lascio sfuggire.  <È mica un pirla qualunque: è campione italiano di campestre!> sentenzia Alberto II. Ed ha ben ragione, perché proprio in quel momento, a metà del primo giro del primo giro Pier Mariano ingrana la quinta e sale in cattedra <Penonen> il finlandese.
Guardarlo fa accapponare la pelle. Non esistono il terreno gelato, le buche, i dossi: scivola via leggero come Lasse Viren il giorno dell’olimpiade, quando proprio nulla, neppure una caduta, poteva fermarlo. Solo il colore della chioma tradisce l’origine mediterranea.
<Dai Pier Mariano li state staccando> strillo sul dosso a tre quarti del primo giro, ma l’urlo mi si strozza in gola, perché dietro c’è Sergio che pare una furia: una vera <ira di Dio>.
Tanto scivola veloce sulla pista (pardon sul circuito) in nostro in testa alla gara, quanto Sergio aggredisce il terreno sollevando zolle nella furia devastante della sua azione.
Corriamo da una parte e dall’altra per far sentire il nostro incitamento, mentre <Penonen> un passo dopo l’altro si invola. È lui, il nostro grande, grandissimo Vainio che adesso impone il ritmo, e che ritmo. L’avversario, compatto e un po’ tozzo, ingrugnito nelle spalle incassate, accusa il colpo.
Guardo Alberto II mentre i primi scompaiono dentro lo stadio.
<Sei mai andato in bicicletta?>, dice Lambert. <Lì quando stacchi qualcuno vuol dire che è proprio finita>, dice serio mentre tocco scaramanticamente tutto quello che c’è da toccare a portata di mano.
Ma lo speaker conferma la nostra sensazione e il secondo giro è uno spettacolo.
<Hai 10 secondi> grido abbondando, ma dopo poche curve sono davvero più di 10 secondi perché il bustocco, sempre più pesante, prima s’imballa e poi alza bandiera banca.
Strilliamo come matti, perché dietro il grande Sergio costruisce una Perla ancora più grande e preziosa del locale della sua Cairo. È sempre tutta grinta: sempre terzo, mai domo.
All’ingresso dello stadio le distanze si fanno corte e alla fine dovrà cedere qualcosa: ma che importa la muta dei lumbard è a oltre mezzo minuto: nella polvere, se il clima non fosse quello invernale.
È un trionfo: due vittorie in due gare. La repubblica di Genova sopra la Lombardia. Dobbiamo dirlo a Mauro Iguera: che atleti, che squadra, che dirigenza! Ed è solo il 6 gennaio.
Mi sono dimenticato dell’indisposizione che mi ha impedito di correre il Campaccio 38 anni dopo.
Sarà per l’anno prossimo o, meglio, tra due anni. Il Campaccio 40 anni dopo: suona meglio.
Tutto dimenticato. Oblié, balayé, effaçé.
Chiamo il Presidente a Nizza: è già sul posto a preparare la Promenade Classique di domenica e già discutiamo se fare la campestre o la corsa dell’Auser domenica prossima e se preferire Casalbeltrame o la Maratonina dei Turchi subito dopo.
Per completezza di cronaca nella gara dei <giovani> è cinque volte Kenia tra gli uomini; Ungheria, Belgio, Portogallo, Russia, Barhein tra le donne: non benissimo. L’ordine d’arrivo sottolinea però l’importanza tecnica del Campaccio e la qualità delle performance dei nostri master.
In mattinata ho visto due ragazzine brave e qualche pallida promessa tra i maschietti ma niente di più. Se la memoria di tempi ormai lontani non mi tradisce la Gabriella Dorio che vedevo nelle campestri degli anni ’70 era un’altra cosa. Dobbiamo ricominciare dai più giovani!
Attilio Pellero

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