mercoledì 19 marzo 2014

Trail della filigrana - il percorso - di Elisabetta Iurilli

Trail della filigrana. – Il percorso.

Sono le due del pomeriggio. Ora insolita per me per correre. Scarpe ricoperte di fango secco, macchina fotografica in tasca e soprattutto il gps. Niente bastoncini, quelli li usano gli insicuri. Mi fanno una tale mancanza …
La mia paura più grande tuttavia non è ruzzolare giù da qualche parte per mancanza di un appoggio. E’ quella di essere troppo scarsa rispetto al mio ipercritico compagno di sentieri, insomma paura che si faccia notte e noi ancora lì, per colpa mia, tra boschi e ruscelli a misurare la via.
Sandro sbuca nel parcheggio puntuale.
Il punto di partenza è quello dove l’asfalto cede il posto alle mattonelle ordinate del Caruggio di Campo Ligure. Lì metteremo l’arco gonfiabile ad agosto. Chissà se saranno in tanti …
Via, si parte! Corsetta leggera attraversando il paese, poi gli scalini dei carabinieri e il sentiero del percorso
verde. Gruppi di primule, tanti, sparpagliati ovunque, violette, campanellini, inizia la salita e Sandro spinge. “Se vado veloce dammi un fischio …” Mannaggia non so fischiare, sembra quasi lo sapesse da sempre …
Si sale, il cuore in gola, devo dosare le forze, ce n’è ancora per tanto, lui là avanti rallentato dal mio passo. Un balzo qua l’altro là … qui si divide il percorso, a destra chi farà il trail a sinistra i camminatori. Foglie secche, foglie sparse sul sentiero, una coperta, rametti che scricchiolano rompendosi sotto i miei piedi. Bosco fitto, ora senza fronde, ma poi le foglie cresceranno e il paesaggio cambierà. Ci penserà la natura sempre tanto generosa a rinfrescare i runner. Sempre che ce ne sia bisogno tra Campo e Masone …
Discesona. Ripida ma ben tracciata. Vado a zig zag, penso ai bastoncini, non vedo più il mio compagno, sarà già in fondo. Meno male che c’è la scusa dei chilometri da segnare, io con l’orologio, lui con la bomboletta spray, così non ci perdiamo di vista.
Si risale. Qui siamo quasi sopra al mio paese. Non lo vedo ma l’intuisco. Chiedo conferma del luogo, Sandro i nostri boschi li conosce bene. E’ strana questa percezione del posto in cui vivo praticamente da sempre pur non essendoci nata. E’ un po’ come quando sentendo l’ascensore ad una determinata ora sai con precisione che quello che sta salendo è un tuo familiare e non hai bisogno di sentirlo aprire la porta per mettergli in tavola il piatto caldo. Masone è lì sotto me lo dice il cuore.
Il sentiero continua ma … “C’è un ostacolo!” Fosse uno …
Questa settimana qui hanno lavorato i boscaioli. Lavoro sodo. Cataste di tronchi sparsi ordinatamente sul sentiero a perdita d’occhio. Fosse per me sarei tornata indietro, ma Sandro balza sui tronchi come un capriolo, un piede qua, l’altro in aria, agile come se durante le sue giornate non facesse altro che saltare su tronchi accatastati. Ci provo anche io. Goffa, rigida, metto un piede su un tronco e quelli rotolano tutti … via a fatica il primo gruppo di legname, poi il secondo, spero di non rovinarmi i pantaloncini, al terzo sono esausta, ma dove sarà Sandro, perché non mi viene ad aiutare? Cerco di circoscrivere il quarto arrampicandomi su un pendio scosceso. Ce n’è ancora tanti di ostacoli? … E che diamine … “Ce la fai?” “Guarda che sono sempre una donna, non ti sprechi se mi dai una mano!!!” “Ma non eri tu che volevi fare il percorso di sopravvivenza? Avevo paura di offenderti aiutandoti!” L’ho solo guardato in internet … mai pensato sul serio di parteciparvi; ma perché gliel’ho detto, perché?
Ultima catasta, ho idea che quello che incontrerò di qui in avanti sarà niente in confronto a ciò che ho superato. “Almeno i boscaioli ci puliscono il percorso, sta tranquilla che la prossima settimana qui non c’è già più niente”.
Ancora una salitina e poi giù, sentiero largo, invitante, una goduria. Si apre anche il bosco, c’è una vista stupenda. Spazi verdi coronati da monti alti in lontananza. Qualche cascina qua e là. Nessun rumore tranne quello dei nostri passi e della brezza tra le foglie. Fiori colorati ovunque. Nelle pozze le uova che rinchiudono le prime forme dei girini, con la loro promessa di vita. Saliamo e scendiamo chiacchierando qua e là.
Quando suona il mio orologio Sandro segna il chilometro e io ne approfitto per qualche foto. Tutto alla svelta con la mia paura che faccia buio troppo presto …
“Lo riconosci questo posto?”
Sì lo riconosco, è il percorso del Giabbani, la gara che organizziamo a giugno. “Lo prendiamo a ritroso, ma solo per un piccolo pezzo” E’ il tratto di gara che preferisco, quello del bosco, del ponticello sopra il ruscello. Che oggi sembra una fonte incantata, quella delle favole, con tutti i fiorellini intorno e una principessa che dorme da qualche parte.
Un balzo qua, uno là, a destra c’è il Laiasso, noi si và a sinistra, un piccolo tratto in asfalto, dobbiamo misurare quant’è … che poi proprio asfalto non è … ma laggiù ecco Stefano, con balzi agili viene giù da un prato alla faccia dei suoi …’antanni!
Con Sandro discutono dei sentieri qui intorno senza abbandonare la corsa. Io dietro annaspo, dico che ho sete, mi rispondono che forse avanti c’è da bere, e continuano i loro discorsi. Li invidio un po’, padre e figlio con la stessa passione, più legati di quanto qualsiasi discussione tra loro possa metterlo in dubbio.
Di nuovo prato e la cascina, la Baracchetta. E’ bellissimo qui. Fiori ovunque. Un tavolo, un trogolo ma … e l’acqua dov’è? Stefano trova un marchingegno, apre un rubinetto e improvvisamente uno zampillo fresco esce come per magia. Lascio un po’ scorrere, poi accosto le labbra e bevo avidamente quell’acqua fresca e limpida di montagna. Poi rimettiamo tutto a posto. “Qui ci sarà un ristoro” “Anche perché poi viene il pezzo duro” Il pezzo duro è lì davanti che mi guarda. In verticale. “Bisogna salire per di qui?” Il sentiero è tutto in salita. Ad agosto sarà pulito, ora non lo è, ma si intravede lo stesso dove bisogna mettere i piedi. Uno qua, uno là, sempre salendo, che fatica che faccio … Sandro e Stefano invece no, sono già in cima, e sento Sandro raccontare al padre che abbiamo incontrato dei tronchi sul cammino che ci hanno rallentato un po’ …
Ultimo strappo, è fatta, sono contenta, raggiante, per avere superato anche questo ostacolo, sento che l’autostima è salita. “Si vede che non sei una donna da trail, guardati le gambe” Abbasso gli occhi: un lungo graffio superficiale è nascosto da un rivolo di sangue. Non fa male, tuttavia è tanto scenografico, non me n’ero accorta di essermelo procurata. Ma che torto essere apostrofata in questo modo e non potermi difendere … Però il panorama che ho intorno è strepitoso, Prato Rondanino, distese di prati tutt’intorno, i monti in lontananza, sotto il percorso fatto in precedenza, le cascine incontrate … non sono graffi, sono medaglie, e pazienza se per qualche giorno non potrò indossare la gonna!
Stefano ci lascia, proseguirà in solitaria fino ad arrivare a casa tagliando per boschi.
Noi proseguiamo segnando il percorso di gara.
Ora si scende, incontriamo qualche motociclista, giù, sentieri larghi dove correre è fantastico e riesco a farlo anche parlando.
Poi è quasi Campo Ligure, lo vedo, non lo percepisco. “Gira qui” mi dice Sandro. Sotto c’è un fiume largo, invitante “Venite qui d’estate?” Ogni paese in Valle ha la sua “Playa”. Si riaffaccia un sentiero in salita. Terriccio umido e boschivo. Sono stanca ma corricchio ancora. Tra i rami spogli degli alberi a lato vedo le prime case di Campo, sento che siamo vicini all’arrivo, ma Sandro mi smonta, c’è ancora qualche chilometro. Ci si fa incontro un cane che abbaia arrabbiato. Ne ho paura, ma il mio compagno di corsa si prende cura di lui, ci parla, e il quadrupede, pur rimanendo arrabbiato ci lascia andare. Poi dal basso vediamo Beppe che è in alto rispetto a noi, sul sentiero che abbiamo percorso all’andata. E con uno dei suoi bambini a godersi la bicicletta. Li cresce nella natura e nello sport. Ad agosto per la gara sarà dei nostri, anche se ora forse non lo sa.
Sono stanca e affaticata, ma non lo dico. “Il castello bisogna conquistarselo”. Scendiamo la scaletta dei carabinieri. “Marca l’asfalto, ce n’è ancora un tratto”
“Eccolo lì il castello” “No è troppo presto, ora lo desideri solamente”
Si gira un po’ di paese, tra le case, poi si sale sull’asfalto, il castello è là in alto. Intanto sculture bellissime si arrampicano sul pendio della collina. Statue ferme, immobili, che tra qualche mese vedranno combattersi ragazzi indomiti ed infangati, guerrieri gloriosi dei nostri tempi.
Un sentierino costeggia le mura, il maniero simbolo di Campo Ligure è lì davanti a me, alto severo e imponente. E’ un traguardo bellissimo, uno scenario fantastico.
Stoppo il gps. Il sole è ancora alto …
“Dove lo mettiamo l’arco?” Ci perdiamo in discussioni che si confondono coi nostri sogni mentre torniamo al parcheggio dove ho sistemato l’auto.
Mi sento chiamare, è una collega che vedendomi in questa veste, per lei anomala, e con una gamba con un rivolo di sangue ormai seccato, non riesce a trattenersi: “Ma come sei conciata?” “Le hanno sparato di striscio ma non l’hanno presa, chissà come hanno fatto a mancarla …”
E’ l’ultima cattiveria della giornata, almeno spero.
Rido con gli altri.

Prima o poi glielo farò vedere a questa gente che in fondo in fondo anche io sono una donna da trail…

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