domenica 16 giugno 2013

Marengo Half Marathon e Stra Pioverà 2013 - cronaca di Gilberto Costa

“I papaveri che muoiono soffocati nel mare giallo di grano abbracciati alle spighe bionde ondulate  uno spettacolo al quale impossibile sottrarsi”.
Marengo Half Marathon e Stra Pioverà 2013

Riabbraccio Piovera  (era di febbraio) che non è più la stessa cosa.
Sono cambiati i colori, diversi i sapori, mutate le speranze.
Opposti  i  profumi, distinti i silenzi, contrari gli odori.
C’eravamo incontrati in un’alba incontaminata di un nuovo
giorno, di carattere rigido. Tutto bianco brinato.
Lungo l’argine del fiume Bormida,
come amanti al primo appuntamento.
Il sottoscritto con il cuore in gola
l’affanno morso in bocca per la corsa
a  “spron battuto” nel tentar  d’essergli degno, di piacergli.
Piovera, femmina esperta, gelida a fidarsi, fredda nel crederci,
antipatica nell’illudersi,
ancora spoglia e scura.
Scoperta dall’immenso e grande inverno.
Nuda la sua terra, lenta nel rifarsi
bella, irraggiungibile.
Innamorati rincorrersi  in lungo ed in largo,
attraverso  le rive del Tanaro.
Vecchi spasimanti inseguirsi lungo le sponde del fiume Po.
Entrambi in punta di piedi, monelli capricciosi,  titubanti  l’uno dell’altra.
Piovera  nei miei riguardi, per quel mio correre pesante,
quella forza scaricata in fatica che consumava le sue strade.
Me stesso nei suoi confronti per quei lineamenti,
lontani dal mio sognare.
Invece furono sufficienti pochi passi
incroci e sguardi.

Costretti a rifiorire per rivivere quelle emozioni.
Un’esperienza eccezionale da rievocare.

Mercoledì 12 giugno, appena scorso, era pressoché irriconoscibile.
Avvenente, attraente … seducente. Irresistibile.
Eppure non la scorgevo, scrutavo gli orizzonti senza individuarla.
Come protetta in quel dipinto post impressionista
che avevo innanzi. Laggiù, davanti ai miei occhi indifesa.
Impressionante!
Non la riconoscevo in quanto la ricordavo
vecchia di febbraio.
I miei occhi confusi in quella
vastità che preziosa muoveva
dondolata dal vento.
Piovera nel frattempo si era evidentemente
concessa all’inarrivabile
sommo maestro Van Gogh in persona.
Capace di renderla capolavoro fuoriuscita dal nulla.
Amata a tal punto d’esser “impressionata” per sempre nelle
magiche pennellate, posate
tutt’intorno  nel canovaccio del tramonto.
Mimetizzandola in quel quadro meraviglioso
che vivevo rassegnato, papavero rosso
imbrigliato in quella moltitudine.
Commossi di fatica.
Rassegnato alla “sconfitta” consapevole
che in fondo è un gioco
andavo sereno alla deriva sulla mia zattera
del destino
in quel mare biondo fatato,
reso lucente dal sole rosso fuoco che avrebbe trovato
dimora, la morte poco dopo ad occidente, esalando
l’ultima brezza fredda di respiro.
Attonito e muto di parole coglievo
l’occasione per ascoltare il silenzio,
avvistare il rincorrersi di tutti gli altri.
Passo dopo passo, allontanarsi
dal mio svogliato morire.
Appassionati, innamorati della corsa
 ombre lunghe e sottili
in quel mare
di spighe d’orate
raggiungere il traguardo
di quel amore sperato.

Di Gilberto Costa
viabraia@alice.it













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