mercoledì 18 gennaio 2012

Auser - racconto di Elisabetta Iurilli

Auser 2012

L’Auser è correre in riviera, è una mattina di sole, di tanta gente che parla di panettoni da digerire e della scarsa forma fisica perché si è a inizio stagione. Poco importa che tutti sappiano che l’anno podistico si è chiuso solamente da due settimane e comunque con le scarpe da ginnastica ai piedi.
In coda all’iscrizione si parla dei buoni propositi, le gare a venire. Mete lontane o vicine, sia nella geografia che nel tempo. Sogni di fatiche e sudore. Strana categoria la nostra, gente che si diverte mentre si fa il mazzo … e mentre si aspetta pazientemente di progredire di pochi passi verso il bancone, come all’ufficio postale, ma senza la dotazione del numerino, arrivano le telefonate di tizio e caio al tipo che
hai davanti, che finisce per dover dare trenta nominativi corredati di data di nascita e quant’altro, ricevere altrettanti cartellini nei colori più disparati compilati pazientemente dall’addetto, mentre tu aspetti di dare solo il tuo nome e cognome e ti sembra poco. Poi quando la trafila è finita il tizio lo ritrovi a caricarsi sulle spalle casse di bottiglie che tu speri non finiscano lì con lui perché, non avendo nessuna possibilità di arrivare in zona premi, almeno non si torna a casa a mani vuote …
La sfida più grande è togliersi il piumino ed indossare gli abiti leggeri da podista. A Masone si era a -4,5, ma qui siamo ad Arenzano, deve fare caldo, è riviera … ma questo pensiero non mi convince. E provo ancora più freddo a vedere quella bella mostra di bicipiti svelati da sotto le canotte. Qualcuno mi ricorda che il primo dell’anno ero a fare il cimento, a gettarmi tra le acque del mare con altri podisti qui presenti, ma quel giorno lì era diverso, più caldo … Poi la decisione di spogliarmi, arrivata perché gli altri l’avevano già fatto e nel bagagliaio mancava solo la mia borsa, più che per convinzione. Bisogna correre, bisogna scaldarsi.
Lo faccio con due fratelli che vengono giù dai monti. Mi sembra strano che ci siano, che vengano ad una competizione che per uno di loro è senz’altro cortissima, un’inezia. Lui non si muove per meno di una quarantina di km neanche in allenamento infrasettimanale dalle sue parti. A riprova mi confessa che per il percorso odierno ha indosso le scarpe rotte, quelle nuove, buone, servono per ben altre fatiche. Ma io lo so cosa lo spinge qui. Questo mare così blu, questo sole vanitoso che ci si specchia dentro a vedersi riflesso in mille sfaccettature tra le onde, questi gradi in più di cui non gode né il suo né il mio paese ... e forse qualche progetto di gara di cui non sono a conoscenza.
Ma quanta gente, quanti amici si incontrano! E giù abbracci, auguri, aggiornamenti, ma quanti siamo? Tantissimi! Che bello, mi piacciono le gare con tanta gente, mi piace il casino, la partenza colorata, l’invasione pacifica delle nostre scarpe da ginnastica, della nostra allegria, mi piace quando vedo gente come me, con la mia stessa passione, le mie stesse manie e tare mentali. Mi piace quando capisco che non sono sola e insieme siamo una forza. Anche se ora come ora siamo l’uno contro l’altro armati. E possiamo contare solo sulla nostra energia, sui nostri muscoli, sulla nostra volontà.
Il via è la tromba casinista di chi di solito è con noi a correre. Oggi dall’altra parte della barricata a lavorare per la buona riuscita della gara. Ci siete riusciti alla grande! Penso a quando dall’altra parte, a giugno ci sarò io … chissà … mi accontenterei di un quarto di questa gente che c’è qui  …
Le gambe impazziscono, ci si snoda per Arenzano, per il paese a fare la nostra bella figura di gruppo compatto che però man mano si assottiglia … e quando io varco le gallerie il gruppo di testa avrà già preso la fuga di sicuro. Decido che mi voglio dosare, che ormai conosco bene il percorso per non fare gli errori di tutti gli anni, di non dare tutto e subito e arrivare spompata e cadaverica ai magazzini della Coop.
So di non essere forte, di non essere neanche ben allenata, ma voglio godermela questa gara, mi voglio divertire. E lo faccio ancora di più quando sadicamente arrivo alle spalle di un amico sapendo che la mia presenza lì gli farà paura … “Ti ho vista, sono proprio giù di forma” mi dirà molto cavallerescamente all’arrivo. Ma siccome me lo dicono un altro paio di persone penso che in realtà forse quest’Auser mi è andato meno peggio che altri. Ma a me non importa la posizione in classifica, a me piace sentire il vento nei capelli, il cuore che batte forte, le gambe che si impegnano e girano, anche quando sono stanche, anche quando da loro pretendo un po’ di più. Mi piace quando do del filo da torcere a chi mi vuol passare, ma anche quando sono io che mi sforzo a prendere quello lì davanti perché so che se voglio ce la posso fare. Mi piace credere che la mia fatica come quella di altri venga riconosciuta, e che chi è dentro l’auto di grossa cilindrata e smanetta impaziente sul clacson si ponga per un attimo delle domande su cosa significhi stare tranquilli ad aspettare … Mi piace, all’arrivo dare la mano a chi avevo davanti o dietro, insomma a chi ho corso insieme, a quelli che hanno sentito il mio respiro affannato e scorto il mio sconforto nei punti più difficili. A quelli che se volevano ti potevano fregare a pochi metri dall’arrivo ma non l’hanno fatto …
E sono belle le mani dei volontari quando ci danno da bere all’arrivo.
Anche questa è fatta, gara bella e a mio modo combattuta, in una cornice comunque magnifica. Con l’Auser si rompe il ghiaccio, ora può iniziare l’anno podistico 2012.

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