martedì 14 giugno 2011

G.P. Piscine Geirino - di Elisabetta Iurilli

G.P. “Piscine Geirino”
di Elisabetta Iurilli
“La vedi quella chiesetta lassù? E’ al terzo chilometro, dopo è discesa”. “Ma fin là bisogna arrivare?” A me quella chiesetta sembrava tanto distante, e i sei chilometri della gara li dilatavo nella testa in quella sorta di pigrizia-paura che mi prende sempre prima di ogni gara, dalla più breve alla maratona.
Tanti, tantissimi i partecipanti a questa serale di sapore estivo in mezzo alla settimana. C’è chi come me è fermo da un po’ perché impegnato a guerreggiare su altri fronti, ma c’è anche chi sta solo scaldando le

gambe in vista dei 60 km da percorrere domenica prossima tra i monti più belli del mondo.
Il podismo accontenta tutti. Dà ad ognuno la possibilità di esprimersi sulla distanza che più sente sua. E lo sforzo della piccola competizione non è sminuito dalla grande.
Quelli di stasera sono chilometri da correre veloci, col cuore che scoppia in gola.
La partenza lo permette, è veloce con quel pezzo di falso piano percorso già alla Stradolcetto. Non vedo i primi, ma li immagino con le loro gambe leggere che si allungano impazzite ed incontenibili ad aprire la strada al gruppo. Chissà se sentono gli odori e i profumi degli alberi, il vento che li sfiora, o la loro attenzione è volta solo al battito del proprio cuore e a quello delle scarpe sull’asfalto di chi insegue.
La salita inizia a vedersi prima che a sentirsi nei polpacci. E più la percorro più penso alle tante colpe da espiare, e mi sembra che sia ancora poco come punizione, finché i polpacci non iniziano a bruciare, il fiato si fa pesante e il buon senso dice che bisogna camminare, ma una voce da dentro difende la dignità di runner … lotta, eterna lotta, dualismo tra dovere e volere, cuore e ragione, ora vince uno ora si riprende spazio l’altra, inutili compromessi da gara podistica, palestra per la vita.
Ma poi c’è lo sterrato che prelude al bosco, al sentiero con la terra ancora umida e fangosa che sa di muschio, il buio creato dagli alberi, dalle fronde che scendono copiose ad oscurare la via. Qui il mio cuore gioisce. Ma apprezza anche il chiarore della natura disegnata a vigna dalla fatica dei contadini che compare alla fine della piccola selva. Apprezza un po’ meno quella curva in salita che si para innanzi agli occhi, la visione degli altri podisti inerpicarsi quasi in verticale alla volta di una bellissima chiesetta di campagna. Sento rumore di mezzi meccanici, non ho tempo di guardare, ma sono incuriosita da quell’affaccendarsi serale intorno all’uva nascente.
Sono stanchissima quando giungo “in vetta”, ma mi sento dire che d’ora in poi sarà tutta discesa, e un po’ mi rassereno. Penso a come gestirla al meglio visto che si tratta di tre chilometri e non posso sprecare tutto subito. Ma è difficile ponderare le spese energetiche, fare i conti col proprio carburante, con le proprie risorse.
Quando arrivo al falso piano della partenza capisco che la gestione è stata buona, ho ancora fiato per concludere dignitosamente questi ultimi metri di gara. E per gustarmi un profumo buonissimo che alcuni alberi decidono di regalare con abbondanza per un lungo tratto a chi passa di lì.
Chiudo la mia gara e vedo un quadretto familiare bellissimo. Ad un papà podista viene consegnato un passeggino, insieme padre e figlia vanno ad aspettare l’arrivo della mamma. Il nonno è passato prima in barba a tutti e si sta già gustando il suo bel bicchiere di the parlando della prossima gara !

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