lunedì 16 dicembre 2013

la Turin Marathon di Gilberto Costa

Turin Marathon 2013
Stefano Balbi al primo tentativo è sceso sotto le tre ore.
Mi stavo arrendendo. Lo avevo già fatto dopo pochi km. Sono partito senza cognizione alcuna, allo sbaraglio.
Due forse 3 km sotto la media. Ho ascoltato altri che parlavano di 3' 50 sec al km. Sciagurato.
Mi sono chiesto che cosa ci facevo a Torino. Sono sazio della precisione borghese di questa città quadrata, non ho scopo in questa domenica.
Torino mi ha battezzato alla maratona, mi ha regalato la forza di valicare il muro delle tre ore; quindi?
Cosa posso chiedergli ancora?
Prima di Moncalieri fra il 7° e il decimo una gran voglia di pisciare. Un podista non piscia nel mentre combatte, semmai lo fa intanto che persevera nella sua lotta.
Così respingo anche questa sensazione fastidiosa, ma resta in me quell'impellenza.
Corro dietro, al fianco di Stefano Balbi, compagno di squadra. Raramente davanti. Non
posso permettermelo; a Stefano correre gli riesce naturale; diversamente io mi devo trascinare!
Scorrono i chilometri con essi le sentenze di Stefano: 4'15" 4'17" 4' 20" ma anche 4' 09" 4' 12" etc. quindi in linea  con le tre ore. Un raggio laser che riuscivamo tener dietro. Una linea immaginaria, oltre la quale tutto viene spazzato via, distrutto. Bruciato.
Intorno al ventesimo la fatica accumulata  smisurata rispetto al chilometraggio. L'orgoglio di non sfigurare mi corre in aiuto.  Che figura  ci faccio se mollo proprio ora
quando la battaglia è solo schermaglia.
Al 27° km il primo vero contraccolpo psicologico: il laser delle tre ore si avvicina fin quasi a sfiorarci, bruciare la pelle.
Il carro al quale è fisso sta cancellando la terra sotto i nostri piedi.
Stefano aumenta, lo fa con naturalezza, io stento. Combatto col demone che sabota la sfera della volontà.
Il tratto è in favorevole lieve pendenza, appunto mi domando: come mai tutta questa fatica?
Come faccio a proseguire, sento male dappertutto. Arco plantare del piede sinistro, alluce e ginocchia del destro, addirittura il sopra sella!
Sento i  tonfi del mio cuore. Lo  ascolto. Un vecchio locomotore che fa servizio giornaliero in una campagna desueta de i primi del ‘900.
Origlio le folate di vento dei miei polmoni, vessati in passato da mille sigarette. Il fumo denso della capitolazione li asfissia. Che disastro.
Aspetto i trenta come una sorta di benedizione. La vera maratona inizia all'incirca a quelle latitudini. Ho esperienza,
e poi mi esalto quando si fa dura. Amo combattere nelle difficoltà. Riesco a tirare fuori il meno peggio di me stesso.
Inizia la nausea, voglia di cacciare. Vomitare i mostri che abitano le mie viscere. Salgono fino in bocca s'impastano alla saliva, si appiccicano al palato.
Scivolano nel fiele del fegato che pulsa dolore.
Al 33° km cedo per la prima volta in modo significativo. Corro disperatamente, ma non è sufficiente, non basta!
Non ce la faccio, mi stacco venti metri che sembrano chilometri.
Mi scrollo, provo di farlo. L'unico modo che conosco è quello di mettermi a nudo di fronte alla mia coscienza.
Sono alla sbarra, l'arringa severissima, mi condanno. Riesco a strappare una postilla, una promessa al mio (me stesso) giudice:
Prova a rientrare, un unico tentativo. La sentenza dopo di che sarà inoppugnabile. Condanna definitiva.
Rientro per miracolo, e per qualche chilometro godo di questo effimero successo, ne traggo sollievo.
Al 37° chilometro, ecco giungere puntuale lo scontro finale. Dentro o fuori.
Non posso, non voglio arrendermi adesso. Non avrebbe senso.
Prendo il respiro, raccolgo le frattaglie che sono rimaste di me e procedo in apnea.
L'unico pensiero che fisso in mente è quello di non mollare. Il resto lo lascio fuori.
Odio: ho odiato ... i viali interminabili, odiato qualsiasi suono: il ticchettio impazzito dei raggi che girano le ruote, le catene delle  biciclette che si avvicinavano, seguivano precedevano. Chi le montava.
  Odiato il rumore del mio perire, morte sportiva.
 Odiato questa voglia di non cedere. Odiato tutto il mio orgoglio.
Ha dell’incredibile, l'odio mi ha condotto al traguardo. L'odio mi ha guidato all'arrivo. L'odio mi ha consentito di restare sotto  le tre ore. L'odio mi ha insegnato a farne uso positivo, trarne forza.


Per comprendere una maratona domandate ai volti, leggete i visi di coloro che la terminano.
La Maratona cambia i connotati!

Di Gilberto Costa

viabraia@alice.it

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