lunedì 9 dicembre 2013

Trail del Monte di Portofino - di Elisabetta Iurilli

Dopo mesi di preparazione per la maratona di Firenze mi ritrovo con una vera allergia all’asfalto. Voglia di monti, di sentieri, salite e discese, dell’odore del bosco. Il trail di Portofino capita a proposito. Tra le varie opzioni che prevede la gara faccio mia la non competitiva da 25 km. Sono realista. non mi posso permettere una competitiva sia per i miei tempi che per il mancato allenamento su sterrato. Sveglia all’alba per trovare parcheggio nel campetto, altrimenti bisogna fare i conti con i prezzi dei parcheggi delle Perle rivierasche. Ci uscirà di sicuro il tempo di un caffè tra amici, invece …
Villa Durazzo incantevole nel suo parco sempre verde, ma così logisticamente distante da tutto … e per
salirci le mattonelle umide rischiano di farci infortunare già prima della gara! Pazienza, si corre a Portofino … Compilo il foglio di iscrizione appoggiata al casco di un ragazzo che me lo offre come tavolino. Peccato manchi lo spazio per essere più comodi, ma sempre meglio che sfruttare la schiena di Danilo che mi accompagna.
Poi via di corsa alla palestra sede dello spogliatoio e deposito borse, la strada da percorrere serve come riscaldamento sia in andata che al ritorno, devono aver pensato a tutto gli organizzatori!!!
La giornata è decisamente bella, non ho dubbi sull’abbigliamento, i dilemmi sono tutti concentrati sul mio naso, preda di un potentissimo raffreddore che lo costringe a perdite enormi di materiale schifoso. Stoffa o carta? Quanta carta? Non posso buttarla, dove la metto? Mentre sono in questi pensieri una ragazza mi chiede se ho “da soffiare” “Sì prendi” le dico porgendole il pacchetto pieno. Me ne rende la metà … Stoffa, vada per la stoffa.
Di nuovo a Villa Durazzo per la partenza, presto che è tardi … e incontro gli amici, tutti in completo da uomo/donna duro, che non deve chiedere mai se non alle proprie gambe e al proprio cuore. Fascia in testa, occhiali, zaino minimale (ma cosa riescono a farci stare in un coso così piccolo?), pantaloni pinocchietto e boots. Ma non fanno prima a correre con quelli lunghi?
Saluti, baci, un po’ di pubblicità al trail che sto aiutando ad organizzare, poi via alla punzonatura. Anche per me, non competitiva. Penso per sicurezza, non si sa mai che mi perda …
Si parte, bello emozionante, come sempre, come la prima volta. So già della salita di Nozarego, cerco di affrontarla al meglio. E’ sempre spietata con quell’asfalto che non lascia tregua neanche nell’immaginazione. Devi salire e basta. D’altra parte è il preludio di un trail, mica una garetta di pochi km su strada. Alcuni runner scattano foto correndo. Il mare sotto sembra strizzare l’occhiolino al sole, in una posa perfetta. Dicembre sui miei monti è diverso.
Finalmente il bosco, il sentiero che porta alle Gave, il cuore inizia a godere di tutto ciò che trova intorno, nonostante la fatica della salita. Siamo piccoli soldatini colorati in colonna. Abbiamo ancora fiato per parlare tra noi, per farci battute, all’inizio, quando si è freschi, è così tra le retrovie. Non penso che succeda altrettanto davanti, tra quelli in lotta, i campioni di cui ricordare il gesto agonistico.
Ecco il ristoro, alpini scherzosi, mi faccio avanti per la mia razione d’acqua, cerco il bicchiere, non ne scorgo sul tavolo “Accosta le mani, te la verso dentro!” Non ci credo, mi stanno prendendo in giro … poi vedo che gli altri fanno così e mi adatto. “Fa molto spirito trail!” aggiunge il signore che me la versa più volte, perché le mani non sigillano bene il contenuto che cola ovunque ad eccezione che dove deve andare. Mi chiedo quanta acqua si sprechi in questo modo, ma vedo vicina una sorgente, ecco svelato tutto! Doppio risparmio garantito! Forse i bicchieri mancano perché poi si devono raccogliere … ma di solito chi dà una mano alla gara poi lo fa tranquillamente … ma qui siamo a Portofino, posto di signori … vabbè, però il panorama è bello …
Riparto per le Pietre Strette. Sempre in salita, implacabile, talvolta a scalini, ma il fondo è asciutto, la voglia di corsa per monti non è ancora soddisfatta, corro e sono felice di questa fatica, di essere in grado di sopportarla e vincerla. Il naso però prende a colare in maniera oscena e imbarazzante. In più ci si mette la tosse. Il fazzoletto si bagna sempre più. E che sarà mai? Ma mi scoccia dovermi fermare per soffiare e tossire e lasciare che gli altri mi passino. Oggi ho optato per lo spirito non competitivo, ma diamine, un po’ d’orgoglio rimane sempre …
Arrivo ad un altro ristoro. Nessun bicchiere sul tavolo e l’Alpino ha del the nella brocca. Se è caldo mi ustiono le mani, se è freddo mi rimangono comunque le mani appiccicate. Prendo un biscotto e sorseggio l’acqua portata da casa dal serbatoio del camel bag. Sapendo dei ristori l’ho riempito il minimo indispensabile, speriamo basti.
Verso Semaforo Vecchio. Ancora salita. Corri Betta che presto è Natale e tutto ciò che mangi si spalma sui fianchi … ma ecco finalmente la discesa, tranquilla, a zig zag, e la risalita col monte Tocco, per giungere di nuovo a Pietre Strette.
Più di così non si sale, arriva la discesa. Ed è quella verso l’Abbazia di s. Fruttuoso! La adoro, con la sua grazia medievale, custodita come un tesoro dal suo mare.
Una discesa importante, mi è stato detto in partenza, il pezzo più brutto del trail. Ma non è poi così brutto … uno scendere infinito, spacca un po’ le gambe, questo è vero, sono già state tanto messe alla prova, ma forse l’emozione di ciò che mi aspetta lenisce la fatica, insieme al ricordo dell’ultima volta che percorsi questo sentiero. Beppe ed io eravamo fidanzatini, lui aveva accettato i miei capricci di amante delle passeggiate quando ancora non correvo, ma capisco ora tra queste pietre e questo dislivello quanto può essergli costato questo sentiero in discesa. Doveva anche essere operato ad un ginocchio …
E mentre sono in questi pensieri scorgo due runner che già da un po’ di tempo si rincorrono poco avanti o dietro di me. Lui la accompagna, ma è molto più bravo e scalpita un po’. D’altra parte non vuole lasciare sola l’amica, per cui se va avanti per un tratto poi si ferma ad aspettarla. Lei è consapevole della differenza di potenza e incoraggia l’amico a proseguire solo, a farcela senza di lei, ma si capisce che è felicissima di vederlo correre al suo fianco. Che belli che sono! Taglieranno il traguardo insieme, mano nella mano, ne sono sicura!
Intanto l’Abbazia si avvicina sempre più, pare quasi si possa toccare, mentre invece la strada da fare aumenta e tu non ti sai spiegare perché.
Le gambe iniziano a lamentarsi, il naso riprende a perdere inesorabilmente, ma ecco che mi fanno passare sotto un voltino e poi … la spiaggia, il mare, l’Abbazia nella sua strepitosa bellezza austera. Sembra di correre in una favola … piccoli passi nel pietrisco, tanta voglia di fare un bagno ed immergersi nel profondo di questo blu … che diamine sono in una non competitiva quindi posso, ma … un colpo di tosse mi richiama all’amara realtà, alla mia salute un po’ compromessa nelle vie respiratorie, niente cimento oggi.
Due fotografi a cui sorridere poi nuovi scalini. Ristoro. Questa volta con qualche bicchiere che viene lavato di volta in volta. Ho sete, mi adatto, sarà un covo di germi, pazienza, aggiungerò i miei!
Si riprende la salita. Destinazione Base “0”. Mi accorgo di essere stanca, di fare fatica. Salita dura a gradini a volte, incontriamo persone che come noi percorrono i sentieri, ma in direzione opposta. Di qualsiasi età, giovani e canuti, di quelli che pensi che hanno parecchi coetanei a rischio rottura femore per una bazzecola. Li ammiro. E mentre salgo un’occhiata oltre le siepi. Il cielo e il mare si fondono all’orizzonte, panorami mozzafiato. Un pietrone si allunga a coprire il sentiero, dovrò camminare in pendenza. Sotto gli occhi vigili di un soccorritore pronto ad aiutarmi in caso di caduta. Mi dice che son brava nonostante arranchi. Nei punti difficili ci sono sempre. Pronti al peggio mentre noi ci divertiamo. Sento odore di bistecca. Penso ad un’allucinazione dovuta all’orario. Ma no, è bistecca davvero! Qualche metro avanti gli addetti al ristoro pranzano allegramente. Passo, auguro buon appetito e sono invitata a fare parte del gruppo. Ringrazio ma corro via. Sperando in una discesa. Anzi in un piano. In tutta la strada percorsa fin’ora non credo di averne fatti 10 metri di seguito. La discesa arriva in breve, è quella che porta a Portofino, non più sentiero, ma lastricato, largo, un invito a correre. Ci sono ulivi, prati curatissimi, ville di vips. Qui ci sono venuta varie volte è un paesaggio familiare, legato solo a bei ricordi. Corro, recupero tempo perso, mi accorgo di avere ancora il comando sulle mie gambe stanche e ne sono felice. So che tra breve inizierà il pezzo che preferisco, quello che va a Paraggi, sentiero nel bosco che costeggia la costa. Un sali scendi tranquillo, il mare oltre le piante. L’incanto di questi posti che continua a mostrarsi ai miei occhi mai sazi di bellezza. Mi godo questo passaggio pensando di essere ormai alla fine della gara e invece a Paraggi…
“Si va di là” indicano i volontari. Di là è una scalinata severa ed ostile di cui non si vede la fine. Inizio la salita. Sono stanca. Le gambe sono diventate dure. Ho la tosse e il naso che cola. Il ragazzo davanti a me si ferma per il sopraggiungere di crampi. I gradini aumentano, così come la loro altezza. A che piano sarei se la scala fosse in un palazzo? Il dodicesimo? E ce n’è ancora … ma quella riflessione attraversa il mio cervello a ragion veduta. L’ascensore di casa in revisione, abito in attico, devo fare quattro piani a piedi prima di giungere a casa mia … mi viene quasi da piangere, stasera vado a dormire dalla mamma. Scalino dopo scalino, mi fermo prendo fiato, scruto la lunghezza da percorrere che si intravede. Non ce la farò mai … Ma ecco la fine, la cappelletta della Gava, è fatta, di qui ci siamo già passati, di qui si scende solamente. E giù, di corsa, gli ultimi sentieri, poi una creuza bella come tutte le creuse della nostra strepitosa Liguria, vedo Villa Durazzo e intuisco la fine della gara. Un po’ macchinoso l’ultimo tratto, i vigili fermano il traffico e mi lasciano attraversare la strada e immettermi sul tappeto che mi porta al traguardo.

Taglio sfinita, sono stanca, ho sete e fame. “Betta vieni a bere c’è una fontanella laggiù” mi dicono Claudio e Danilo che mi aspettano all’arrivo. Dico loro di non prendermi in giro che non ne ho voglia, di indicarmi dove hanno messo il ristoro. “Non c’è, finito tutto già da tempo!” Mi sembra assurdo. A febbraio alla Mezza delle Due Perle mancava la medaglia, ma almeno un po’ d’acqua, solo un po’ d’acqua sono riuscita a berla, ora nemmeno quella … però è un posto bellissimo, un posto da signori.

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