domenica 6 ottobre 2013

Caruggincursa di Elisabetta Iurilli


Un cielo grigio, la pioggia battente, minuti interminabili ad aspettare un colpo sordo verso l’alto.
Il vento soffia e le maglie si appiccicano ancor di più alla nostra pelle bagnata. Si comincia ad aver freddo, si desidera solo il suono di quello start liberatorio che sembra non arrivare mai.
Intorno i venditori ambulanti dalla pelle scura con i loro ombrelli colorati. Parenti ed amici, il nostro caro pubblico a cercare riparo sotto il viadotto della soprelevata stipati a loro volta.
Tutti sospesi in un silenzio innaturale carico d’ansia e di aspettative.
Poi il botto, la fuga, le gambe che si liberano, i nostri colori che invadono il grigio tutt’intorno, ci sarà l’imbuto
di Porta dei Vacca, via S. Luca dagli odori forti di focaccia con le cipolle e di fritto misto, il Porto antico con i Magazzini del Cotone che non finiscono mai e la Lanterna laggiù in fondo, poi ancora Porto antico e il salitone di s. Lorenzo … Ripasso mentalmente il percorso. E’ la Caruggi, la gara del cuore, quella con cui ho iniziato la mia vita da podista, quella che non mancherò ad ogni edizione. E’ la gara che ancora mi fa battere il cuore come la prima volta, quella che la sera prima quasi non mi fa dormire, quella che da sempre mi regala più emozioni.
La prima volta con la pioggia battente. “Occhio ai tombini, alle mattonelle, prendila bassa in s. Matteo, non buttarti …” le raccomandazioni dell’ultimo minuto.
Via S. Luca, i primi intoppi, un’auto parcheggiata male che prenderà una bella multa, un camion delle spazzature dove non doveva essere … motivo di mille battute tra i soldatini della domenica, che si inseguono in questo percorso così intimo per ogni genovese, così ricco di storia e di poesia. De Andrè, Fossati, Caproni, Maggiani li sento un po’ qui anche loro, con i loro capolavori immortali. Noi omaggiamo i vicoli nell’unico modo in cui sappiamo farlo. Con le scarpe da corsa e tanta grinta.
Si avvicina l’arco che sarà del traguardo, ci passiamo sotto per poi dirigerci verso i Magazzini del Cotone. La Lanterna lontana nella dissolvenza della nebbia, a lato navi da crociera con le luci tutte accese. E noi corriamo evitando le pozze. I mille fori nelle scarpe acquistano e disperdono acqua incessantemente, si fa di tutto per evitare il bagnato, ma ci si cade inevitabilmente.
Sento gridare il mio nome più volte, sorrido, rispondo certe volte a tono certe volte meno, vorrei concentrarmi un po’ sulla corsa. Ma poi penso a quanta gente ho conosciuto in tutti questi anni di agonismo, a quanti compagni di avventura ho avuto la fortuna di incontrare, a quante amicizie sono andate oltre al semplice percorso domenicale. E il cuore si riempie di gioia e di energia.
A S. Lorenzo è dura la salita. La gente a lato della strada sorride a denti stretti, intuendo lo sforzo, un po’ avara nell’incitamento. Noi Genovesi siamo un po’ così, orsi, musoni, poco espansivi. Ma che male c’è?
Palazzo ducale, Piazza de Ferraris, il Carlo Felice, la Genova bene, quella superba e maestosa delle cartoline.
Da una bancarella esce un meraviglioso profumo di focaccia … maledetti!!!
Arriva la discesa, arriva S. Matteo e contrariamente a tutte le raccomandazioni e a quanto dice il buon senso decido di buttarmi, per recuperare un po’, solo qualche secondo, la salita ne ha rubati troppi … non scivolo, non becco i paletti, segnalati benissimo anche dai volontari che ci assistono pazienti dentro le loro enormi cerate gialle, recupero forse qualcosa, ma mi si para innanzi un’altra salita. E la pioggia continua a cadere, penso di non avere un millimetro quadrato del mio corpo asciutto, passo involontariamente sotto una grondaia rotta, una goccia giù per la schiena è micidiale. “ti pagassero …” dice ogni tanto mio marito quando mi vede rincasare fradicia dopo un allenamento sotto la pioggia, o, al contrario, disidratata in una giornata calda di sole. Inutili i commenti, chi non corre non può capire …
Via della Maddalena, poi un tratto e si è in via Cairoli, poi giù di nuovo e rispunta via s. Luca. E il mio nome che riecheggia per la via … “Elisabetta vai a destra …” Ma chi è? E cosa faccio che non va bene? “Elisabetta a destra …” mi butto sulla destra per non sbagliare, ma continuo a non capire e a sentire il mio nome riecheggiare nell’aria … guardo i runner intorno, meno male che non li conosco, chissà cosa pensano … Poi una vespetta mi supera, sopra Paolo divertito col megafono mi saluta, che forte, era lui che mi chiamava! Svelato l’arcano, mi sento più tranquilla!
Intanto le sirene preannunciano il primo fenomenale runner che taglierà il traguardo. Sento i suoi passi prima dietro, poi a fianco, ne vedo le spalle, la pelle bagnata, ora è avanti, ora sta tagliando.
E’ come essere alla guida di una Panda di seconda mano e venire superati da una Ferrari nuova di fiamma.
Secondo giro. Con un po’ di stanchezza in più nelle gambe. La pioggia non dà neanche più fastidio, un po’ perché sono di Masone e quindi abituata all’acqua, un po’ perché nella mente è ancora vivo il ricordo della sciagurata Venice Marathon dello scorso anno.
Dà fastidio cadere in pozze evitabili, fare quegli errori che la mente lucida del primo giro aveva accuratamente evitato.
Rivedo i luoghi cari al cuore, le facciate sobrie che nascondono la ricchezza degli interni, la poesia che si respira viva tra l’oscurità delle stradine dove non si vede il cielo. Penso al facile disprezzo di cui sono vittima questi posti, snobbati da chi non conosce, da chi non capisce. Penso al degrado, alle storie di miseria, ma anche alla bellezza unica di questo cuore di Genova.
Rivedo il mare, immenso e grigio a perdersi col cielo all’orizzonte.
Poi la Lanterna, ad indicare a tutti con la sua luce la retta via.

E intanto i miei piedi volano, lottano con la strada, le salite e le discese, alternano il ritmo, dribblano le pozzanghere, evitano le scivolate di queste mattonelle umide, riconoscono l’asfalto come amico,e infine si posano stanchi su un tappetino blu, dove decido finalmente di dare loro il giusto riposo …

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