Un cielo grigio, la pioggia battente,
minuti interminabili ad aspettare un colpo sordo verso l’alto.
Il vento soffia e le maglie si appiccicano
ancor di più alla nostra pelle bagnata. Si comincia ad aver freddo, si desidera
solo il suono di quello start liberatorio che sembra non arrivare mai.
Intorno i venditori ambulanti dalla pelle
scura con i loro ombrelli colorati. Parenti ed amici, il nostro caro pubblico a
cercare riparo sotto il viadotto della soprelevata stipati a loro volta.
Tutti sospesi in un silenzio innaturale
carico d’ansia e di aspettative.
Poi il botto, la fuga, le gambe che si
liberano, i nostri colori che invadono il grigio tutt’intorno, ci sarà l’imbuto
di Porta dei Vacca, via S. Luca dagli odori forti di focaccia con le cipolle e
di fritto misto, il Porto antico con i Magazzini del Cotone che non finiscono
mai e la Lanterna laggiù in fondo, poi ancora Porto antico e il salitone di s.
Lorenzo … Ripasso mentalmente il percorso. E’ la Caruggi, la gara del cuore,
quella con cui ho iniziato la mia vita da podista, quella che non mancherò ad
ogni edizione. E’ la gara che ancora mi fa battere il cuore come la prima
volta, quella che la sera prima quasi non mi fa dormire, quella che da sempre
mi regala più emozioni.
La prima volta con la pioggia battente.
“Occhio ai tombini, alle mattonelle, prendila bassa in s. Matteo, non buttarti
…” le raccomandazioni dell’ultimo minuto.
Via S. Luca, i primi intoppi, un’auto
parcheggiata male che prenderà una bella multa, un camion delle spazzature dove
non doveva essere … motivo di mille battute tra i soldatini della domenica, che
si inseguono in questo percorso così intimo per ogni genovese, così ricco di
storia e di poesia. De Andrè, Fossati, Caproni, Maggiani li sento un po’ qui
anche loro, con i loro capolavori immortali. Noi omaggiamo i vicoli nell’unico
modo in cui sappiamo farlo. Con le scarpe da corsa e tanta grinta.
Si avvicina l’arco che sarà del traguardo,
ci passiamo sotto per poi dirigerci verso i Magazzini del Cotone. La Lanterna
lontana nella dissolvenza della nebbia, a lato navi da crociera con le luci
tutte accese. E noi corriamo evitando le pozze. I mille fori nelle scarpe
acquistano e disperdono acqua incessantemente, si fa di tutto per evitare il
bagnato, ma ci si cade inevitabilmente.
Sento gridare il mio nome più volte,
sorrido, rispondo certe volte a tono certe volte meno, vorrei concentrarmi un
po’ sulla corsa. Ma poi penso a quanta gente ho conosciuto in tutti questi anni
di agonismo, a quanti compagni di avventura ho avuto la fortuna di incontrare,
a quante amicizie sono andate oltre al semplice percorso domenicale. E il cuore
si riempie di gioia e di energia.
A S. Lorenzo è dura la salita. La gente a
lato della strada sorride a denti stretti, intuendo lo sforzo, un po’ avara
nell’incitamento. Noi Genovesi siamo un po’ così, orsi, musoni, poco espansivi.
Ma che male c’è?
Palazzo ducale, Piazza de Ferraris, il
Carlo Felice, la Genova bene, quella superba e maestosa delle cartoline.
Da una bancarella esce un meraviglioso
profumo di focaccia … maledetti!!!
Arriva la discesa, arriva S. Matteo e
contrariamente a tutte le raccomandazioni e a quanto dice il buon senso decido
di buttarmi, per recuperare un po’, solo qualche secondo, la salita ne ha
rubati troppi … non scivolo, non becco i paletti, segnalati benissimo anche dai
volontari che ci assistono pazienti dentro le loro enormi cerate gialle,
recupero forse qualcosa, ma mi si para innanzi un’altra salita. E la pioggia
continua a cadere, penso di non avere un millimetro quadrato del mio corpo
asciutto, passo involontariamente sotto una grondaia rotta, una goccia giù per
la schiena è micidiale. “ti pagassero …” dice ogni tanto mio marito quando mi
vede rincasare fradicia dopo un allenamento sotto la pioggia, o, al contrario,
disidratata in una giornata calda di sole. Inutili i commenti, chi non corre
non può capire …
Via della Maddalena, poi un tratto e si è
in via Cairoli, poi giù di nuovo e rispunta via s. Luca. E il mio nome che
riecheggia per la via … “Elisabetta vai a destra …” Ma chi è? E cosa faccio che
non va bene? “Elisabetta a destra …” mi butto sulla destra per non sbagliare,
ma continuo a non capire e a sentire il mio nome riecheggiare nell’aria …
guardo i runner intorno, meno male che non li conosco, chissà cosa pensano …
Poi una vespetta mi supera, sopra Paolo divertito col megafono mi saluta, che
forte, era lui che mi chiamava! Svelato l’arcano, mi sento più tranquilla!
Intanto le sirene preannunciano il primo
fenomenale runner che taglierà il traguardo. Sento i suoi passi prima dietro,
poi a fianco, ne vedo le spalle, la pelle bagnata, ora è avanti, ora sta
tagliando.
E’ come essere alla guida di una Panda di
seconda mano e venire superati da una Ferrari nuova di fiamma.
Secondo giro. Con un po’ di stanchezza in
più nelle gambe. La pioggia non dà neanche più fastidio, un po’ perché sono di
Masone e quindi abituata all’acqua, un po’ perché nella mente è ancora vivo il
ricordo della sciagurata Venice Marathon dello scorso anno.
Dà fastidio cadere in pozze evitabili, fare
quegli errori che la mente lucida del primo giro aveva accuratamente evitato.
Rivedo i luoghi cari al cuore, le facciate
sobrie che nascondono la ricchezza degli interni, la poesia che si respira viva
tra l’oscurità delle stradine dove non si vede il cielo. Penso al facile
disprezzo di cui sono vittima questi posti, snobbati da chi non conosce, da chi
non capisce. Penso al degrado, alle storie di miseria, ma anche alla bellezza
unica di questo cuore di Genova.
Rivedo il mare, immenso e grigio a perdersi
col cielo all’orizzonte.
Poi la Lanterna, ad indicare a tutti con la
sua luce la retta via.
E intanto i miei piedi volano, lottano con
la strada, le salite e le discese, alternano il ritmo, dribblano le
pozzanghere, evitano le scivolate di queste mattonelle umide, riconoscono
l’asfalto come amico,e infine si posano stanchi su un tappetino blu, dove
decido finalmente di dare loro il giusto riposo …
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