La
mezza di Arenzano
Oddio non c’è più posteggio … ma quanti
siamo … e la coda all’iscrizione … ma sono veloci … loro sì, non io, qui oggi
esclusivamente per il mio lungo in vista di un sogno chiamato Firenze.
Gli inconvenienti dell’ultimo minuto fanno
si che non rimanga tempo per scaldarsi. Peccato, ma curiosiamo chi c’è … mi
sento chiamare, intravedo Nando, poi Monica in borghese “La caviglia …” si
giustifica. No, anche lei … mi viene in mente la mia, i postumi di una
distorsione di tanti anni fa che mi perseguitano quando aumento i km. E non
sono sicura che sia un dolore vero o psicosomatico, da ieri quasi non la posso
muovere, mentre ora mi ha fatto male solo quando Monny me l’ha ricordata.
“Corri anche per me!” mi dice. Mamma mia che responsabilità …
E intanto scorro volti e maglie societarie
cercando di riconoscere tra i tanti presenti gli amici. Ecco Roberto, il
Vikingo, poi Alessandro e … cosa ci fa qui l’autista delle corriere del mio
paese? “Accompagno Simone, mio figlio, è tutta estate che nuota e va in bici,
chissà cosa gli ha preso oggi che mi è toccato accompagnarlo qui …” Io suo
figlio Simone non so chi è. A Masone ci conosciamo tutti per soprannome, vabbè
c’è da andare siamo in partenza. Ma chissà Marco … la sua prima
mezza, iscritto
ieri con mille peripezie sia alla gara che alla Fidal, è passato da me in
negozio prima di partire per Arenzano, inutile dare dritte a chi ha imparato da
poco e sa volare meglio di te. Tra i tanti partenti Fulvio, che bello
rivedersi, poi Mauro, anche lui in allenamento da maratona, la sua prima,
Venezia. Ci si incrocia la domenica sempre su questo percorso, stanchi ma
fieri, con un unico traguardo in testa: il panificio di Priano, la sua focaccia
come premio.
Che bello, occupiamo tutta la strada gli
automobilisti saranno irritati per questi 5 minuti scarsi in cui solo chi va a
piedi è padrone di muoversi … un attimo di concentrazione, siamo in tantissimi,
la testa dice che è solo un allenamento, un lungo anticipato, ma allora perché
il cuore batte forte, e l’adrenalina la senti scorrere come il sangue nelle
vene?
Ecco lo sparo, segnale liberatorio per cuori e gambe
indomite. E tutti intorno a guardarci, sorridere e battere le mani. Mi vengono
i brividi. Tante gare in tanti anni, eppure l’emozione è sempre nuova. Sono
felice. Sono passate tutte le “angosce” del pre-gara, ora sto correndo, conta
questo e basta.
Ci accoglie subito il primo tunnel, tratto
fresco e umido, le mattonelle che conosco bene, già pestate e ripestate tante
volte nei miei allenamenti in vista dei 42km in giro qua o là.
Pian piano la luce a prendere il
sopravvento, quella discreta della sera, che si prepara a tingere tutto di rosa
col sole che tramonta e si specchia nel mare. Poi ancora tunnel ed un tratto
amato dal cuore. Rivedo la panchina dove sono stata a lungo col papà già
malato. Chiacchiere leggere di fronte al mare. Ma prima che la malinconia abbia
la meglio ecco sulla mia destra una “carrozza” con due bambini, e dietro a
spingere Gaetano. Che forte!!! Gli chiedo un passaggio, più avanti però, mi
dice di infilarmi! Che fortuna questi due bambini … penso alla mia Martina, mi
dispiace per lei, io quell’aggeggio per portarmela dietro, anzi davanti, non me
la sento di comprarlo! Già faccio fatica a correre trasportando “solo” il mio
peso … Gaetano sarà vicino per tutti i 21 km di questa gara, mi supererà
svariate volte, poi si fermerà per le esigenze dei bambini, per poi riprendere
non appena finito di sistemare il golfino al piccolo, l’acqua alla grande …
Eccoci a Cogoleto, quel tratto lunghissimo
che porta al centro del paese, in questo momento racconta tutta la bellezza di
un tramonto infuocato, al ritorno sarà il mio pezzo difficile, il tratto in cui
soffrirò di più, mi conosco, lo conosco, è monotono, dritto, non finisce mai.
A sinistra musicisti a provare microfoni ed
altro, a lato bagnanti rispettosi del nostro passaggio, reduci da una giornata
di tintarella, ora seduti a guardarci passare, intuiscono la nostra fatica, ci
battono le mani, ci fanno coraggio.
Inizia il pezzo più bello, più poetico,
quello dove il percorso ti dona la montagna a destra e gli scogli a sinistra.
Quando c’è burrasca arrivano gli schizzi, ma oggi è tutto tranquillo. Ogni
tanto un lampo di oscurità, una tregua, un tunnel, poi la bellezza di questo
tratto di Liguria riappare prepotente ai nostri occhi. Chissà cosa pensano i
“foresti” così numerosi oggi … chissà che invidia!!!
Le bici in senso opposto preannunciano i
bolidi, i velocissimi campioni in arrivo. Ed ecco di lì a poco gli uomini scuri
e leggeri, quelli che non fanno smorfie col viso, che sembra non conoscano la
fatica. Il grido d’ammirazione/incitamento viene da dentro, insieme anche ad un
po’ di sana invidia.
Poi tutti gli alti, gli inseguitori
arrabbiati. Li guardo correre al mio fianco, guerrieri d’altri tempi, in lotta
contro il tempo, se stessi, gli avversari di sempre. Tesi nello sguardo, nei
muscoli, nei movimenti rapidi delle loro gambe. Ne conto circa una trentina tra
i quali Chaki e Marco … che onore i
ragazzi di Masone!!! Ci scommetto che non ci credono neanche loro, così poco
avvezzi alle gare!!!
E’ bello quando ci si vede, quando il
tratto che sta per curvare incrocia il tratto che ha già curvato e tra amici ci
si chiama, ci si incoraggia. Vedi i loro sforzi tanto simili ai tuoi, vedi la
tua stessa maglia, ti riconosci in quei colori anche se chi la indossa non è
tra la schiera dei tuoi compagni più stretti.
Finalmente il giro di boa, la metà del
percorso è fatta, ma ciò che rimane fa paura.
I primi km scorrono più o meno tranquilli,
poi arriva il 18esimo e le gambe diventano di legno, senti la stanchezza
prendere il sopravvento, vedi gli amici che erano più avanti correre al tuo
passo sopraffatti dalla stanchezza, da una marcia iniziata troppo velocemente.
Le mezze sono così, bisogna sapersi dosare,
riconoscere i propri limiti, non lasciarsi andare a facili entusiasmi che poi
si pagano amaramente. Non esistono scorciatoie, furbate. Nella corsa paghi
tutto, e lo paghi sulla tua pelle.
Vedo Mauro, gli dico che ci manca un
impulso importante, la focaccia di Priano. Lui conferma. Mi accorgo che è
cotto, così come lo sono io.
Maledico il giorno in cui ho iniziato a
correre, la maratona prossima che di sicuro non farò, le mie gambe in
movimento, la strada. Non correrò mai più. Penso a quale alternativa avrei in
questo momento se non fossi qui, una cena tranquilla, un’ uscita serale nel mio
bel paese vestito a festa, una delle ultime visto il mese.
E invece no. Devo torturarmi, mettermi alla
prova, lottare costantemente contro me stessa. Mi credo furba?
Eccolo là il traguardo illuminato, le
bandiere, la festa. Eccolo così a portata di mano eppure così distante. Sono
gli ultimissimi metri i più difficili.
L’arco blu, lo passo, no ce n’è ancora uno,
è un imbroglio … poi taglio finalmente, stanchissima, stravolta.
Danilo mi aspetta, mi dice il suo tempo,
così diverso dal mio, lo vedo felice. Poi vedo la moglie di Marco rincorrere
uno dei suoi bambini, poco distante il marito. Sono i bambini quelli che li
preoccupano, del suo 25esimo posto niente pubblicità, solo un sorriso … io
invece lo sbandiero ai quattro venti con tutti quelli che incontro, e più tardi
lo farò col paese intero, come fosse mio! Poi, al ristoro, dietro alla focaccia
trovo Chaki, il figlio dell’autista, che mi chiede se 1.28 è un bel tempo … Urka!!!
Ci scappa subito la telefonata a chi è
rimasto a casa. Parlo dell’onore con cui i ragazzi di Masone si sono difesi,
del loro ardore, del valore dimostrato, della difficile battaglia intrapresa e
vinta in un tramonto rosso fuoco …
“Ma tu Betta come sei andata”?
“io … mi sono divertita!!! La prossima è
Novi o Castellazzo?”
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