domenica 8 settembre 2013

La mezza di Arenzano di Elisabetta Iurilli

La mezza di Arenzano

Oddio non c’è più posteggio … ma quanti siamo … e la coda all’iscrizione … ma sono veloci … loro sì, non io, qui oggi esclusivamente per il mio lungo in vista di un sogno chiamato Firenze.
Gli inconvenienti dell’ultimo minuto fanno si che non rimanga tempo per scaldarsi. Peccato, ma curiosiamo chi c’è … mi sento chiamare, intravedo Nando, poi Monica in borghese “La caviglia …” si giustifica. No, anche lei … mi viene in mente la mia, i postumi di una distorsione di tanti anni fa che mi perseguitano quando aumento i km. E non sono sicura che sia un dolore vero o psicosomatico, da ieri quasi non la posso muovere, mentre ora mi ha fatto male solo quando Monny me l’ha ricordata. “Corri anche per me!” mi dice. Mamma mia che responsabilità …
E intanto scorro volti e maglie societarie cercando di riconoscere tra i tanti presenti gli amici. Ecco Roberto, il Vikingo, poi Alessandro e … cosa ci fa qui l’autista delle corriere del mio paese? “Accompagno Simone, mio figlio, è tutta estate che nuota e va in bici, chissà cosa gli ha preso oggi che mi è toccato accompagnarlo qui …” Io suo figlio Simone non so chi è. A Masone ci conosciamo tutti per soprannome, vabbè c’è da andare siamo in partenza. Ma chissà Marco … la sua prima
mezza, iscritto ieri con mille peripezie sia alla gara che alla Fidal, è passato da me in negozio prima di partire per Arenzano, inutile dare dritte a chi ha imparato da poco e sa volare meglio di te. Tra i tanti partenti Fulvio, che bello rivedersi, poi Mauro, anche lui in allenamento da maratona, la sua prima, Venezia. Ci si incrocia la domenica sempre su questo percorso, stanchi ma fieri, con un unico traguardo in testa: il panificio di Priano, la sua focaccia come premio.
Che bello, occupiamo tutta la strada gli automobilisti saranno irritati per questi 5 minuti scarsi in cui solo chi va a piedi è padrone di muoversi … un attimo di concentrazione, siamo in tantissimi, la testa dice che è solo un allenamento, un lungo anticipato, ma allora perché il cuore batte forte, e l’adrenalina la senti scorrere come il sangue nelle vene?
Ecco lo sparo, segnale liberatorio per cuori e gambe indomite. E tutti intorno a guardarci, sorridere e battere le mani. Mi vengono i brividi. Tante gare in tanti anni, eppure l’emozione è sempre nuova. Sono felice. Sono passate tutte le “angosce” del pre-gara, ora sto correndo, conta questo e basta.
Ci accoglie subito il primo tunnel, tratto fresco e umido, le mattonelle che conosco bene, già pestate e ripestate tante volte nei miei allenamenti in vista dei 42km in giro qua o là.
Pian piano la luce a prendere il sopravvento, quella discreta della sera, che si prepara a tingere tutto di rosa col sole che tramonta e si specchia nel mare. Poi ancora tunnel ed un tratto amato dal cuore. Rivedo la panchina dove sono stata a lungo col papà già malato. Chiacchiere leggere di fronte al mare. Ma prima che la malinconia abbia la meglio ecco sulla mia destra una “carrozza” con due bambini, e dietro a spingere Gaetano. Che forte!!! Gli chiedo un passaggio, più avanti però, mi dice di infilarmi! Che fortuna questi due bambini … penso alla mia Martina, mi dispiace per lei, io quell’aggeggio per portarmela dietro, anzi davanti, non me la sento di comprarlo! Già faccio fatica a correre trasportando “solo” il mio peso … Gaetano sarà vicino per tutti i 21 km di questa gara, mi supererà svariate volte, poi si fermerà per le esigenze dei bambini, per poi riprendere non appena finito di sistemare il golfino al piccolo, l’acqua alla grande …
Eccoci a Cogoleto, quel tratto lunghissimo che porta al centro del paese, in questo momento racconta tutta la bellezza di un tramonto infuocato, al ritorno sarà il mio pezzo difficile, il tratto in cui soffrirò di più, mi conosco, lo conosco, è monotono, dritto, non finisce mai.
A sinistra musicisti a provare microfoni ed altro, a lato bagnanti rispettosi del nostro passaggio, reduci da una giornata di tintarella, ora seduti a guardarci passare, intuiscono la nostra fatica, ci battono le mani, ci fanno coraggio.
Inizia il pezzo più bello, più poetico, quello dove il percorso ti dona la montagna a destra e gli scogli a sinistra. Quando c’è burrasca arrivano gli schizzi, ma oggi è tutto tranquillo. Ogni tanto un lampo di oscurità, una tregua, un tunnel, poi la bellezza di questo tratto di Liguria riappare prepotente ai nostri occhi. Chissà cosa pensano i “foresti” così numerosi oggi … chissà che invidia!!!
Le bici in senso opposto preannunciano i bolidi, i velocissimi campioni in arrivo. Ed ecco di lì a poco gli uomini scuri e leggeri, quelli che non fanno smorfie col viso, che sembra non conoscano la fatica. Il grido d’ammirazione/incitamento viene da dentro, insieme anche ad un po’ di sana invidia.
Poi tutti gli alti, gli inseguitori arrabbiati. Li guardo correre al mio fianco, guerrieri d’altri tempi, in lotta contro il tempo, se stessi, gli avversari di sempre. Tesi nello sguardo, nei muscoli, nei movimenti rapidi delle loro gambe. Ne conto circa una trentina tra i quali Chaki e Marco …  che onore i ragazzi di Masone!!! Ci scommetto che non ci credono neanche loro, così poco avvezzi alle gare!!!
E’ bello quando ci si vede, quando il tratto che sta per curvare incrocia il tratto che ha già curvato e tra amici ci si chiama, ci si incoraggia. Vedi i loro sforzi tanto simili ai tuoi, vedi la tua stessa maglia, ti riconosci in quei colori anche se chi la indossa non è tra la schiera dei tuoi compagni più stretti.
Finalmente il giro di boa, la metà del percorso è fatta, ma ciò che rimane fa paura.
I primi km scorrono più o meno tranquilli, poi arriva il 18esimo e le gambe diventano di legno, senti la stanchezza prendere il sopravvento, vedi gli amici che erano più avanti correre al tuo passo sopraffatti dalla stanchezza, da una marcia iniziata troppo velocemente.
Le mezze sono così, bisogna sapersi dosare, riconoscere i propri limiti, non lasciarsi andare a facili entusiasmi che poi si pagano amaramente. Non esistono scorciatoie, furbate. Nella corsa paghi tutto, e lo paghi sulla tua pelle.
Vedo Mauro, gli dico che ci manca un impulso importante, la focaccia di Priano. Lui conferma. Mi accorgo che è cotto, così come lo sono io.
Maledico il giorno in cui ho iniziato a correre, la maratona prossima che di sicuro non farò, le mie gambe in movimento, la strada. Non correrò mai più. Penso a quale alternativa avrei in questo momento se non fossi qui, una cena tranquilla, un’ uscita serale nel mio bel paese vestito a festa, una delle ultime visto il mese.
E invece no. Devo torturarmi, mettermi alla prova, lottare costantemente contro me stessa. Mi credo furba?
Eccolo là il traguardo illuminato, le bandiere, la festa. Eccolo così a portata di mano eppure così distante. Sono gli ultimissimi metri i più difficili. 
L’arco blu, lo passo, no ce n’è ancora uno, è un imbroglio … poi taglio finalmente, stanchissima, stravolta.
Danilo mi aspetta, mi dice il suo tempo, così diverso dal mio, lo vedo felice. Poi vedo la moglie di Marco rincorrere uno dei suoi bambini, poco distante il marito. Sono i bambini quelli che li preoccupano, del suo 25esimo posto niente pubblicità, solo un sorriso … io invece lo sbandiero ai quattro venti con tutti quelli che incontro, e più tardi lo farò col paese intero, come fosse mio! Poi, al ristoro, dietro alla focaccia trovo Chaki, il figlio dell’autista, che mi chiede se 1.28 è un bel tempo … Urka!!!
Ci scappa subito la telefonata a chi è rimasto a casa. Parlo dell’onore con cui i ragazzi di Masone si sono difesi, del loro ardore, del valore dimostrato, della difficile battaglia intrapresa e vinta in un tramonto rosso fuoco …
“Ma tu Betta come sei andata”?

“io … mi sono divertita!!! La prossima è Novi o Castellazzo?”

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